Il giornalismo è l’insieme delle attività e delle tecniche volte a reperire, diffondere e commentare notizie tramite ogni mezzo di pubblicazione.
Il giornalista è un professionista del settore dell’informazione; si occupa di scoprire, analizzare, descrivere e scegliere notizie per poi diffonderle.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una profonda trasformazione della professione giornalistica: nel contenuto, nelle modalità, nello stile.
I canoni classici della professione prevedono che il giornalista ricerchi informazioni, notizie, testimonianze su fatti accaduti, ne verifichi la veridicità e l’esattezza ed infine le diffonda.
In Italia non sono mancati illustri giornalisti, professionisti che pur avendo valori e storie diverse hanno profuso nella professione quella serietà e quell’approfondimento che la stessa richiede. Basti pensare a Indro Montanelli, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari, Luigi Barzini senior, Enzo Biagi, Oriana Fallaci.
I loro approfondimenti, le loro riflessioni, i loro commenti hanno fatto pensare milioni di italiani, e sono stati da stimolo profondo al confronto di idee, tesi ed opinioni. Potremmo definirli giornalisti- intellettuali, ovvero giornalisti che hanno fatto dell’approfondimento, della ricerca, dell’indagine, dello studio la base di ragionamenti che hanno trasferito e diffuso al pubblico.
Oggi assistiamo, complice l’utilizzo sempre più massivo della televisione e del web rispetto alla carta stampata, a interventi sempre più estemporanei dei giornalisti e quindi per natura poco approfonditi e superficiali. Peraltro la moltiplicazione dei talk show (anch’essi figli della società liquida che tutto permea e nulla radica) ha trasformato i giornalisti (presenti in massa a questo genere di trasmissioni) in opinionisti, in uomini di spettacolo, in comunicatori (a volte in pessimi comunicatori), in intermediari di fonti di informazione a loro volta spesso superficiali e per tale natura spesso inutili.
Assistiamo ormai quotidianamente a trasmissioni e a giornalisti che non fanno altro che dirigere (spesso male) il traffico tra i vari testimoni che invitano ai loro show, ovvero di rimbalzare una domanda da un testimone all’altro senza aggiungere alcun valore. Tali attività, oltre ad essere riduttive della professione del giornalista è svolta molto spesso male per due fondamentali motivi:
il primo perché i testimoni sono quasi sempre gli stessi e quindi si forma un salotto con le stesse persone i cui pensieri ed opinioni dopo una volta che si sono ascoltati si conoscono già; il secondo perché la conoscenza della comunicazione da parte dei giornalisti conduttori di tali trasmissioni lascia molto a desiderare. In particolare mi riferisco alle tecniche, alle dinamiche ed al processo di comunicazione che ha le sue leggi e se non le si rispettano la comprensione da parte del pubblico che vede ed ascolta la trasmissione ne risente fortemente costringendo gli stessi, in certi casi, ad abbandonare la trasmissione per manifesta incomprensione.
Non è episodico infatti assistere ad accavallamenti di parole tra il giornalista conduttore ed i suoi ospiti sia in studio, sia collegati in videoconferenza. Ciò è drammatico da un punto di vista professionale e deleterio per la comprensione del pubblico radiotelevisivo. Per quanto riguarda gli ospiti in studio tale atteggiamento prevaricatore del giornalista conduttore nei confronti degli ospiti non consente spesso agli stessi di esprimere compiutamente il proprio pensiero, di fare delle riflessioni più articolate, di approfondire il tema o la domanda posta; per gli ospiti collegati in videoconferenza oltre a quanto esposto per gli ospiti in studio si aggiunge la incomprensibile e manifesta incapacità del giornalista conduttore di attendere il tempo tecnico necessario per far arrivare la comunicazione (come noto c’è un tempo di attesa di qualche secondo affinché la voce di una persona collegata in videoconferenza giunga in studio e viceversa, ebbene questi tempi non vengono quasi mai rispettati con la conseguenza che le voci delle persone si accavallano in un valzer senza fine a scapito di chi ascolta). Di ciò pare che nessuno se ne preoccupi, eppure dovrebbe far parte delle conoscenze di base di coloro che si ritengono giornalisti e conduttori.
Poi c’è un problema di contenuti. Spesso queste trasmissioni inseguono il gossip, il pettegolezzo, le notizie scandalose pubbliche o private che siano anziché concentrarsi sui problemi seri e profondi della politica come dell’economia o dell’attualità. Anche queste scelte avvicinano sempre più le trasmissioni giornalistiche a trasmissioni che, con un eufemismo, potremmo chiamare di costume.
Infine c’è un problema di tempi. Quasi tutte le trasmissioni giornalistiche ed i talk show ormai hanno un ritmo molto serrato. Molti temi, molti ospiti, tempi velocissimi per il trattamento delle informazioni. Siamo al supermarket del giornalismo e dell’informazione. Sono scelte, legittime ben inteso. Ma mi chiedo: che differenza c’è con il leggere i titoli di un giornale della carta stampata o vedere velocemente una rassegna stampa sul cellulare o su un tablet? C’è bisogno di organizzare una trasmissione televisiva, invitare ospiti, scomodare personaggi noti e ignoti, tecnici radiotelevisivi, giornalisti, truccatori etc. per avere come risultato un elenco di titoli, ovvero se vi piace di più una passerella di ospiti e poco approfondimento? Forse che le trasmissioni giornalistiche sono diventate come il festival di Sanremo? C’è un assioma da qualche parte che affermi che la maggior quantità possibile di informazioni trattate per unita di tempo lascia un segno profondo nei telespettatori? Consente di riflettere, di farsi un idea sui temi trattati, di confrontarsi con altre persone, di crescere intellettualmente?
Non mi sembra che esista un tale assioma, anzi, semmai le leggi della comunicazione ci dicono che più dati ed informazioni vengono inoltrate ad una stessa persona o pubblico e meno resteranno impresse, meno si ricorderanno e se non si ricordano a cosa servono? L’inoltro di una pluralità di informazioni in una scarsa unità di tempo non permea e quindi è essenzialmente inutile.
Ecco siamo giunti alla sintesi: il giornalismo odierno, in particolare quello televisivo per i motivi esposti in molti casi (non tutti beninteso, c’è ancora qualche trasmissione e qualche giornalista che svolge egregiamente il suo mestiere ma non sono molti) è quindi spesso inutile, ovvero non utile allo scopo per il quale il giornalismo è nato.
Ve li immaginate Oriana Fallaci, Indro Montanelli, Luigi Barzini, Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca prestarsi a tali dinamiche? L’unico che partecipa a volte a queste trasmissioni e prova a divulgare il suo pensiero è ancora Eugenio Scalfari che per l’appunto a causa dei tempi serrati viene spesso interrotto.
Ebbene credo di essere in buona compagnia se affermo che i suddetti giornalisti-intellettuali hanno lasciato un segno nella società, ci hanno stimolato a pensare, ci hanno a volte costretti a confrontarci, hanno fatto un servizio utile alla crescita intellettuale e democratica del nostro Paese. Ma cosa ricorderemo di trasmissioni come Otto e mezzo, Quarta Repubblica, Di martedì, L’arena, Propaganda live e cosa ci resterà dei loro giornalisti conduttori?