Arrigo Boito conobbe Eleonora nel 1884 e la loro storia d’amore durò sette appassionati ed intensi anni.
Erano i primi di maggio, proprio del 1884: tre amici quarantenni in gita a Superga, Arrigo Boito, Giovanni Camerana e Giuseppe Giacosa, entrati in un ristorante, videro seduta ad un tavolo Eleonora Duse con Giovanni Verga e l’attore Tebaldo Checchi, suo marito.
La Duse, allora venticinquenne, era un’attrice già molto nota, specialmente dopo il successo ottenuto nel gennaio di quell’anno nella Cavalleria rusticana, riduzione teatrale dell’omonima novella contenuta nella raccolta verghiana Vita dei campi.
Colpito dall’irresistibile fascino della giovane attrice, Arrigo Boito andò ad appartarsi in un angolo della sala e in un baleno concepì questi stupefacenti versi.

Noi siamo tre romei:
Madonna, fa’ che si diventi sei.
Scesi dall’Alpi algenti
ove dan morte turbinando i venti
qui ne venimmo dove
preghiam dal viso tuo dolcezze nove.
Fa’ che tu ne promette,
sul bel colle, lontan dall’empie sette,
tanto dall’occhio bruno
che sembri dire “intorno a me v’aduno”.
E ne farà felicise l’assenso richiesto “a voi do” dici;
ché, se rivolgi ad altre e stranie cose le pupille scaltre,
noi sentiremo il fiotto stagnar dal core e piangerem dirotto.
Esaudi i tre romei,
se buona se gentil se santa sei.

Questa “invitante” poesia, scritta d’impeto, con grande maestria, appare degna di un letterato bizzarro e di spiccata modernità quale Arrigo Boito, uno dei principali esponenti della scapigliatura milanese, ma anche e soprattutto un geniale librettista e musicista.
L’eccezionalità dei versi dedicati alla Duse sta soprattutto nel fatto che essi contengono uno straordinario gioco linguistico: nella composizione poetica sono celati  al termine di ogni endacasillabo alcuni numeri che, sommati, danno al termine della composizione il numero sessantasei, che è l’esatta soluzione aritmetica. Non c’è da stupirsi, quindi, se la Duse, di fronte a tanta seduttiva abilità del galante poeta, si mostrò ben lieta di accogliere al suo tavolo Arrigo Boito e i suoi amici scrittori.

Si conobbero, si frequentarono e si amarono: appassionatamente!


Il poeta, membro della Famiglia Artistica Milanese, l’introdusse negli ambienti della Scapigliatura cittadina e partecipò agli adattamenti di pièces teatrali shakespeariane (Antonio e Cleopatra, Macbeth, Romeo e Giulietta) nei quali la Duse recitò.
A testimoniare di quest’infuocato legame un carteggio che s’interrompe solo con la morte del sommo poeta nel 1918, e che è stato pubblicato nel 1979 in una collana della Mondadori.
La frenetica passione di Eleonora Duse, di quindici anni più giovane, è ben esplicitata da questa sua lettera: 

“Arrigo! Io voglio vedervi, presto, presto…
Un giorno, una notte, non più, tu verrai…
Ecco vedi, se parlo d’arte… mi rassereno…a ppena parlo di vita – la gola mi si serra…e non so più parlare…
Se sapessi parlare – ti direi che mi sento – sento il mio spirito – tutta me – nel periodo più… più… come posso dire? – Più propenso… (è poco) – più assorbente (è misero)… non so… non so…
Sento il cuore e il cervello – così aperto – così dischiuso al bene…
Sento che CAPIREI tante cose – che ne apprenderei tante altre…
Sento che NULLA è più disposto a “salire” che il mio cuore – e qualche altra cosa che chiamassi “capire”- ma chi alimenta le disposizioni buone e fertili dell’ingegno e del core – è lontano lontano!”

Fonti:
http://www.giorgioweiss.it/node/124
http://www.eschaton.it/arrigoboito/vita.htm

Posted on 3 dicembre, 2014 by fatateam