“Quello che alla fine è importante nella vita è la famiglia.” “Un amico è più importante di una donna, anche se ti tradisce.”
Due battute. Due claim. Due ossimori. Vengono da due delle serie tv italiane più importanti di questo periodo. La prima è da A casa tutti bene di Gabriele Muccino, prodotta ed in onda su Sky. La seconda arriva dalla stagione finale di Gomorra, il fenomeno nato dal libro-inchiesta di Roberto Saviano. Non sembrerà all’apparenza che abbiano in comune qualcosa il contesto delle vicende di una famiglia borghese con i suoi drammi familiari e le vicende di una guerra di camorra partiti dalla Napoli di Secondigliano per arrivare nel resto del mondo. Caino e Abele, Giasone e Medea, Agamennone e Clitennestra, Romolo e Remo. Bastano? Perché la lista potrebbe davvero continuare per molto ancora ed in tutte le culture per testimoniare quando il tradimento sia un topos fondamentale delle vicende e, di conseguenza, delle narrazioni umane.
“Padri e maestri, io mi domando: “Che cos’è l’inferno?” E do la seguente risposta: “La sofferenza di non essere più capaci di amare”, c’è scritto questo in quell’immenso capolavoro della letteratura mondiale che è I Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Non c’è luogo più forte dove l’amore è messo a prova durissima come la famiglia. Perché, chiariamoci, la famiglia non è sangue. Anzi. Lo è. Ecco perché tutti i legami e i sodalizi criminali nelle culture del mondo, dalle ‘ndrine calabrese alla yakuza giapponese, hanno dei riti di iniziazione legati al sangue per entrare nelle “famiglie”. La famiglia come luogo d’affetto e di cura è un’altra cosa. “Ti voglio bene” in italiano o “I take care of you” in inglese indicano e rappresentano un’azione legata alla volontà.
In quel capolavoro che è The Funeral – Fratelli di Abel Ferrara – uno di quei film che non aver visto nella vita è davvero un peccato – storia di tre fratelli, con Vincent Gallo, Christopher Walken, Chris Penn e molti altri, Chez Tempio, interpretato da Chris Penn, dice “Se dio avesse voluto non mi avrebbe fatto vivere con i nemici.” Questa è la tesi iniziale ed il finale è, come ovvio, il suo rovesciamento.
La quinta stagione di Gomorra è l’atto conclusivo della serie cult Sky Original prodotta da Cattleya in collaborazione con Beta Film L’ultimo tassello del grande racconto sulla camorra, narrata attraverso la storia della famiglia Savastano e il genere del crime, ma senza mai distaccarsi dalla realtà. Una serie che scaraventa impietosamente lo spettatore nel brutale sottomondo della criminalità e che non si preoccupa di rendersi accomodante allo sguardo esterno. C’è lo scontro fra due “fratelli, come Genny Savastano, interpretato da Salvatore Esposito, e Ciro L’Immortale, Marco D’Amore, tornato proprio dalla morte. Perché la famiglia ha sempre a che fare con la morte. E anche oltre. Leggerete tantissime cose su questa stagione, sul finale, su cose che non funzionano perfettamente. Vero. Proprio come nelle famiglie e nei legami veri ed importanti, non quelli da bar. Anche nei social nascono legami veri, perché i social media per chi li conosce bene non sono solo luogo di #novax e fan di #gfvip e fake influencer. I legami sono imperfetti e per questo sono veri e reali. La stagione finale è un crescendo di tensione straordinaria. C’è la crescita incredibile di Marco D’Amore come attore e non solo, visto che ha lavorato nella direzione artistica. Credo che sentiremo ancora parlare moltissimo di lui.
Però Gomorra non si riduce solo a loro. C’è sangue. Inteso come odio e vendetta. La volontà qui è nel difendere il proprio clan. Come sempre ci sono personaggi femminili che mostrano – come se ancora ce ne fosse bisogno – quanto l’idea della femminilità legata alla delicatezza e ai “buoni sentimenti” sia davvero vecchia e sorpassata, ma come resista in alcuni ambienti. Nell’universo cupo e cinico di Gomorra tutti i personaggi sono negativi, eppure capaci di suscitare empatia, ma ciò che più colpisce è la loro credibilità, e non perché ispirati a persone realmente esistite. Genny ricorda in parte la follia di Cosimo Di Lauro ma anche la figura di Francesco Schiavone Sandokan, boss dei Casalesi. Le stesse vicende sono tratte da fatti realmente accaduti. La ragazza vittima della violenza di Ciro nella prima stagione, per esempio, rievoca la tragica fine di Gelsomina Verde, barbaramente uccisa nella prima faida di Scampia.
La credibilità dell’intera serie, dunque, poggia su una narrazione che si giustifica con la verosimiglianza di personaggi, situazioni, lingua e soprattutto luoghi. Interamente girata tra piazze di spaccio, rifugi-bunker, cimiteri, garage e appartamenti sfarzosi al limite del kitsch, rivestiti da cromatismi notturni, Gomorra conduce lo spettatore nei veri luoghi delle famiglie della camorra. Emblematiche le Vele di Scampia, spesso inquadrate dall’alto, ovvero il cuore del più grande supermercato della droga d’Europa, dove enormi guadagni illeciti scatenano guerre di potere sanguinose. Gomorra non usa la narrazione per raccontare la realtà, ma l’opposto, ed è questa la chiave del suo successo.
A Casa Tutti Bene nasce dall’omonimo film di Muccino e ruota intorno alle vicende della famiglia della borghesia romana Ristuccia. Nel film, infatti, le vicende si svolgevano nell’arco di tre giorni sull’isola di Ischia, qui, il regista approfondisce i rapporti protagonisti. Ci sono tutte le caratteristiche del cinema di Gabriele Muccino, compresa la perenne e soggiacente auto-assoluzione. Anche se non sembra, comunque alla fine “tutto s’aggiusta”. Muccino non vuole tradire la “famiglia”, vuole continuare a crederci fino in fondo ed invece di guardare lo specchio preferisce coprirlo. Sono due mondi crudeli, pieni di sangue e di violenza, che non è mai solamente quella delle pistole.
Da Happy Days alla fossa di Six Feet Under
La famiglia è un setting ed un tema ricorrente in moltissime serie tv. Non posso non pensare a Six Feet Under, storia di una famiglia di impresari funebri, con un grande Micheal C. Hall, che poi sarà Dexter-Serial Killer dei Serial Killer. Una serie che fa vedere i rapporti difficili della diversità dei fratelli che sono costretti a lavorare insieme. Pensare ad Happy Days, la famiglia americana tipo degli anni ’50 e del conformismo, fa sorridere. Però le storie di Fonzie, sono anche quelle di Ricky Cunningham, che nelle ultime stagioni erano molti simili a quelle del suo interprete, il regista Ron Howard, che voleva diventare scrittore. Anche Breaking Bad parla di famiglia e moltissime altre serie diverse fra loro, come Gilmour Girls. Il fatto è che dove c’è famiglia c’è conflitto, l’anima della narrazione. Altrimenti si cambia canale.