Certi affaristi, certi storici, certi politici scrivono di eventi passati e distorcono la verità – supposto che sia nota. Alcuni lo fanno per interesse economico: ad esempio cancellano i propri debiti. Altri mirano a nobilitare o rendere più interessante la fama propria o quella di amici. Altri ancora lo fanno per ragioni ideologiche: negano, ad esempio, i misfatti di uomini famosi o i genocidi perpetrati da imperi e regimi.
Io ho scritto vari racconti di fantastoria (termine che preferisco al sinonimo “ucronia”). Che sarebbe successo se l’Impero Romano avesse adottato la religione del dio Mitra invece del Cristianesimo? Oppure se l’America fosse stata colonizzata dagli italiani, invece che da spagnoli, portoghesi, olandesi e inglesi? E se nel 1849 Garibaldi avesse spazzato via gli zuavi francesi con le sue
mitragliatrici? E se davvero Lenin fosse stato un emissario dei capitalisti di Zurigo a cui avrebbe accreditato il plus-valore dei lavoratori russi?
Partendo da queste ipotesi, si possono costruire intrecci divertenti. Però è anche possibile guardare con occhi diversi la storia come ci viene raccontata e interpretarla in modi interessanti. Alcuni di questi possono anche sembrarci non fantasie paradossali, ma verità segrete finora tenute nascoste.
Gli orologi da cui siamo attorniati, confermano di continuo che la variabile tempo è unidirezionale. Il tempo va all’indietro soltanto nelle storie di miracoli – oppure nelle sequenze di eventi studiate dalla fisica quantistica che molti di noi ignorano e sulle quali soltanto pochi di noi riescono a ragionare in modo sensato, a teorizzare e a calcolare.
Non si occupano del tempo solo scienziati, affaristi, imprenditori, politici e storici. Ne parlano anche i poeti: qualche volta in modo gradevole e inaspettato, anche se spesso vago. Ho trovato una strana coincidenza fra alcuni versi di due noti poeti – uno italiano e uno argentino.
Nei primi anni del secolo scorso il torinese Guido Gozzano (1883-1916) scrisse “Cocotte”. È una poesia crepuscolare, delicata sulla breve, superficiale amicizia di un ragazzino con una prostituta, che la mamma del ragazzo definisce una “cattiva signorina”.
Gozzano la ricorda dopo 20 anni: già invecchiata? Non la rivedrà più. Ci si intenerisce. Contiene i versi famosi:
“Non amo che le rose che non colsi
“Non amo che le cose che potevano essere e non sono state.”
Oltre mezzo secolo dopo Jorge L. Borges (1899-1986) inserì nella raccolta di poesie “Storia della notte” dodici versi intitolati
THINGS THAT MIGHT HAVE BEEN [Cose che avrebbero potuto essere]
Non le commenta. Lascia che il lettore capisca che la sera della Croce e la sera della cicuta sono le morti di Cristo e di Socrate, che avrebbero potuto NON accadere come tramandato. Fra quelle che avrebbero potuto accadere inserisce:
“l’opera inconcepibile che a Dante fu dato forse di intravedere
ormai corretto l’ultimo verso della Commedia”
“il dilatato impero che i Vichinghi non vollero fondare”
“la vittoria dei Sudisti confederati a Gettysburg nel 1865”
“l’amore che non abbiamo condiviso”
“il figlio che non ebbi”
Queste ultime due cose avrebbe potuto condividerle con Gozzano – non le altre a cui Gozzano non avrebbe mai pensato.
Curioso che Borges non abbia pensato ai matematici: i manoscritti perduti di Archimede, la dimostrazione di Fermat del suo ultimo teorema, i teoremi che Evariste Galois avrebbe potuto scrivere se non fosse morto in uno sciocco duello.
- Pubblicato su L’OROLOGIO il19/07/2022