Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla.
(Lao Tzu)
Provo a scongelare nella mia mente un libro del 1996 di Aldo Bonomi (1950), Il trionfo della moltitudine (1996), Sociologo italiano che nel 1984 ha fondato l’istituto di ricerca Consorzio A.A.S.TER. e negli anni ne ha accompagnato la crescita in qualità di direttore. Tra parentesi la bibliografia è molto ampia e coinvolge i temi prediletti dell’autore (e dei suoi lettori), le paure e il rancore sociale, la società circolare, il capitalismo infinito, le tessiture sociali, dalla smart city alla smart land, ma anche tant’altro, per esempio il capitalismo personale e molecolare.
Sono intimamente legato a questo testo perché seguendo il titolo dell’articolo qui proposto mi si chiarirono i profondi cambiamenti sociali in corso, insieme ad altre letture, in primis Marco Revelli (1947) politologo e accademico politicamente impegnato. Cito un suo libro fra tutti La sinistra sociale (1997), nel quale Revelli affronta il problema della ricostruzione di una strategia della sinistra, a partire dalla consapevolezza della radicalità della trasformazione dell’economia, della società e della politica verificatasi negli ultimi due decenni del secolo. Nell’opera di questi due autori è centrale il radicale mutamento delle forme produttive oggi pienamente dispiegate nell’epoca del capitalismo neo-liberista e impresa snella nonché trans-nazionale.
Veniamo al punto.
Negli anni ’90, se era oramai pienamente svelato “ciò che non era più”, il capitalismo socialmente regolato, il welfare, la coesistenza tra stato e mercato, l’istituzionalizzazione del mercato del lavoro e la forma unica di impresa, in una parola il “paradigma fordista e keynesiano”, meno chiaro appariva il “post-fordismo”, ossia la rottura del circolo virtuoso sviluppo/occupazione, la fine della centralità del lavoro salariato, la finanziarizzazione dell’economia, lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la rivoluzione dei trasporti. Il problema centrale è che da un certo momento storico in poi la terza rivoluzione industriale, che va dai primi anni ’80 fino ad oggi, vede lo sviluppo su scala mondiale degli enormi e complessi sistemi di comunicazione nonché il rapido ed economico trasferimento di merci e tecnologie a livello mondiale (in sostanza i processi di globalizzazione dell’economia) che svincolano l’impresa dai territori nazionali originari per disseminarla ovunque nel mondo, tramite outsourcing e decentramento produttivo.
Da allora in poi gli stati nazionali concorrono tra loro per accaparrarsi investimenti industriali, sedi fiscali, mercati mondializzati, lasciando in sofferenza le voci di spesa dello stato sociale e indebitandosi, conseguentemente, sul mercato finanziario per rincorrere i bisogni sociali e sanitari in espansione nei paesi sviluppati che a loro volta risultano non competitivi rispetto ai paesi in via di sviluppo largamente de-istituzionalizzati.
Qui irrompe, all’epoca, il saggio di Aldo Bonomi e la sua attenzione è volta alle trasformazioni sociali esito di quelle economiche, tecnologiche e dei nuovi assetti capitalistici in corso d’opera.
A quel punto è finito il tempo storico delle appartenenze di classe e di popolo che ha caratterizzato la storia del Novecento e l’inoltrarsi è un “cammino che facciamo da soli” addentrandoci verso il “non conosciuto” e l’altrove senza il pesante carico sociale-storico dei decenni passati; un sentiero che si perde nel fine secolo, nella ipermodernità, un esodo privo di pluralità, non di massa ma singolare, che lascia il soggetto solo e senza un filo rosso del sociale.
La “società che viene”, dunque, è allo stesso tempo individuale e globale e forse glocale.
L’uomo “libero” risulta così deterritorializzato, sradicato, svincolato dalle appartenenze e viaggia “nomade” nello sviluppo dell’economia mondiale.
Le regole del gioco non sono più dettate dalla “famiglia, comunità, Stato nazionale, fondamenti del vivere” ma occorre accettare il capitalismo neoliberista alla “ricerca del massimo di opportunità” usando la parola chiave della “competizione” per cogliere “il mutamento continuo della domanda e dei mercati”.
Certo il pericolo è la perdita della “identità” storica, ricostruita nella forma estrema del “lavoro indipendente” via di fuga o simulazione di libertà, con la crescita dell’incertezza e della società del rischio. Difficile immaginare alla luce dell’”oggi” che fosse possibile (all’epoca) ricostruire l’identità dei soggetti attraverso quella che Bonomi chiamava “la società di mezzo”, relazioni e legami locali non messi “al lavoro” dal capitalismo globale, sottratti, dunque, alle dinamiche competitive, al “massimo di simbiosi tra società e mercato” nell’economia generalizzata. Pur tuttavia, i “patti territoriali” si basano (tutt’ora) su strategie di “concertazione tra i rappresentanti del lavoro e delle imprese su base territoriale”, mobilitando le risorse locali per un’azione competitiva, interagendo allo stesso tempo con le istituzioni locali e garantendo “quei processi di socializzazione” che la crisi del welfare “tende a delegare a pure logiche di mercato”.
Come dire il locale nel globale ci salverà?
Scrive l’autore “l’essere nomade e il fare esodo sono entrambi comportamenti sociali che rimandano a un agire antico” e la ricerca della “terra promessa” un nostro comune bisogno; il problema è individuarla e come raggiungerla.
Penso di aver colto solo una parte di questo piccolo ma prezioso saggio di Aldo Bonomi ma vorrei trarne anche delle indicazioni personali.
Alcune domande.
Il dissolvimento oramai acclarato delle aggregazioni sociali è stata una perdita irreparabile? L’individualizzazione della società uno scenario inevitabile? La “società di mezzo” si è realizzata? Dopo lo “spaesamento” di fine secolo c’è un diverso e più rassicurante radicamento?
Una cosa è certa il “capitalismo molecolare” impedisce tuttora il formarsi di nuove identità collettive. L’emergere delle soggettività ha avuto aspetti comunque positivi. Più responsabilità e decisioni degli attori. Ma una nuova classe media non è emersa, anzi quasi scomparsa, e questa è una fragilità anche del pensiero politico oltre che dello strapotere della “borghesia dei saperi”. La paura e l’ansia sociale è infine endemica e senza rimedio. Possiamo contare solo sulle nostre forze, niente più Stato e politica meno che mai idee e valori.
Nella nuova economia globalizzata e competitiva si sente solo il fantasma del “luogo” e l’intensità del “tempo”, che evidenziano il deficit di spazi “come luoghi di metabolizzazione e di produzione di norme etiche e valori adeguati ai tempi” e l’organizzazione sociale del “tempo”, una necessità legata all’esistenza stessa di ogni sistema sociale.
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Aldo Bonomi, Il trionfo della moltitudine, forme e conflitti della società che viene, Bollati Boringhieri,1996. Nota corrispondente al titolo dell’articolo.