Fenomenologia di Chat GPT e considerazioni sull’AI in generale

[Questo lavoro è stato diviso in due parti e questa è la seconda. La prima (Il Caos Management n° 146, https://www.caosmanagement.it/2023/05/25/a-proposito-di-ai/) era scritta in forma di dialogo e delineava i tratti dello scenario attuale partendo dai dati storici; in questa seconda parte si approfondisce la questione del confronto tra le macchine “AI” e gli esseri umani con riferimento soprattutto ai fondamenti della loro diversa natura.]

SECONDA PARTE – Di macchine e di uomini

di Roberto Maffei

(con un commento di Andrea Fiaschi)

________________________________________________

[AI (o A.I.) è l’acronimo inglese per “Artificial Intelligence”, cioè Intelligenza Atificiale; abbiamo scelto questo, invece dell’italiano “IA”, perché è quello più utilizzato abitualmente. Per l’esperimento di interrogazione di Chat GPT descritto in questo articolo abbiamo usato la Versione 3 del software.]

Parlare dell’Intelligenza Artificiale è difficile, ma non tanto per le difficoltà tecniche implicate dal capire le sue macchine; quelle più importanti sono le difficoltà concettuali. E’ sorprendente quanto ci stiamo spingendo avanti su un terreno quasi ignoto soltanto sulla base di pregiudizi, fantasie e illazioni; d’altra parte, la sindrome dell’apprendista stregone è un tratto caratteristico dell’umanità. Fare cose per le quali non siamo pronti e, magari, basare su di esse aspetti importanti della nostra vita, è una specie di standard per noi esseri umani.

Perché dico che ci stiamo spingendo avanti su un terreno “quasi ignoto”? Innanzitutto perché, ad oggi, non esiste una definizione di “intelligenza” che sia condivisa nel mondo della ricerca e anche tra la gente comune; esistono, piuttosto, tante definizioni. Ce n’è una che dice che il comportamento intelligente coincide con la capacità di risolvere problemi; così, sulla base di esperimenti di laboratorio disegnati ad hoc, si può sostenere, per esempio, che certi insetti sono intelligenti in quanto risolvono i problemi che sono posti loro dai ricercatori. Un famosissimo entomologo francese di oltre un secolo fa1, basandosi sull’osservazione diretta della natura e del comportamento degli insetti, arrivò a concludere che le creature che osservava erano inesorabilmente stupide.

Tra la gente comune ci si interroga per stabilire se personaggi come Donald Trump o Silvio Berlusconi sono (o sono stati) intelligenti o solo “furbi” (e qual è la differenza?); se coloro che guidano la malavita organizzata si possono definire intelligenti, nonostante la loro evidente cattiveria2, e così via. Non riusciamo a decidere; di fatto non sappiamo cos’è l’intelligenza. Però stiamo lavorando a costruirne una “artificiale”, evidentemente basata, concettualmente, sul niente perché ci manca il concetto-base. Oppure basata su un concetto di intelligenza che è rimasto implicito.

La paura dell’AI

Ma procediamo in modo pragmatico; dato che l’AI esiste (nel senso che vengono già commercializzati prodotti con questa etichetta), andiamo a vedere di che si tratta, cerchiamo di capire, prima di prendere una posizione. Partiamo dal prodotto più in voga: Chat GPT (abbiamo usato la versione 3).

Chat GPT è un prodotto commerciale nato, sembra, come interfaccia in linguaggio naturale. Ma a che può servire? E’ un giocattolo? Serve a passare il tempo? In che consiste, esattamente, questa interfaccia e a cosa risponde quando viene interrogata? Potrebbe essere lei, collegata a Internet come fonte di informazioni, il Manuale delle Giovani Marmotte di disneyana memoria? Lo avete presente? Il Manuale delle Giovani Marmotte è un libro che non esiste perché è frutto della fantasia degli autori della Disney, in particolare quelli delle storie di Paperino e dei suoi 3 nipotini Qui, Quo e Qua. Sono i nipotini che consultano il Manuale, che risulta comodissimo perché vi si trovano risposte alle domande più impensate; e il Manuale risponde sempre, in modo mirato e assolutamente attendibile. Chat GPT può essere (o diventare) qualcosa del genere? Vediamo.

La prima cosa che Chat GPT ha innescato è un dibattito ideologico: AI SI / AI NO. Inoltre ha suscitato paure perfino fra gli esperti: il 22 marzo 2023 è stata pubblicata una lettera aperta intitolata Pause giant AI experiments (Sospendete gli esperimenti AI di grande impatto / di grandi dimensioni). Quando l’ho scaricata (circa metà maggio 2023) erano dichiarate 27.565 firme; tra queste spiccano quelle di Elon Musk (Amministratore Delegato di SpaceX, Tesla e Twitter), di Steve Wozniack (co-fondatore della Apple) e di Alan Frank Thomas Winfield (Professore di Etica Robotica presso i Bristol Robotics Laboratories in Gran Bretagna). Che si tratti di gente esperta è fuori di ogni dubbio.

La lettera aperta è un appello per una sospensione di almeno 6 mesi “nell’addestramento di sistemi AI più potenti di GPT-4”3. La frase di apertura è emblematica: “Sistemi AI con un’intelligenza capace di competere con quella degli esseri umani possono costituire profondi rischi per la società come per l’umanità, come è mostrato da ricerche estensive e riconosciuto dai più avanzati laboratori AI”4; a conferma di ciò, la lettera è corredata da un’ampia bibliografia. Ciò che la rende emblematica è quanto viene dato per scontato in questa affermazione iniziale: che i sistemi AI attuali siano in grado di sviluppare intelligenza; che questa intelligenza sia capace di competere con quella degli esseri umani; che tali sistemi siano ormai in grado di competere con gli esseri umani anche su questioni aventi un carattere generale5.

A partire da qui si pongono quattro domande: (1) Dovremmo lasciare che le macchine inondino i nostri canali informativi con propaganda e falsità? Dovremmo affidare all’automazione tutti i lavori, compresi quelli più critici? Dovremmo sviluppare menti non-umane che possano, alla fine, soverchiarci numericamente e in acume rendendoci obsoleti, e sostituirci? Dovremmo rischiare la perdita di controllo della nostra civiltà? E su questo si specifica: queste decisioni non dovrebbero essere delegate a leader [di aziende] tecnologiche non eletti. La letteratura di riferimento che esprime timori sull’AI è tutta in questa chiave6.

Se, parafrasando Umberto Eco, questo può essere considerato il filone degli “apocalittici” delle posizioni sull’AI, di contro ne esiste uno di “integrati”, al quale appartengono, per esempio, Open AI (la società che ha creato e commercializzato Chat GPT) e alcuni dei suoi personaggi di spicco. Nel testo “Planning for AGI7 and beyond” (Pianificando l’AI generale e oltre, di Sam Altman) si immaginano futuri luminosi per l’AGI e per l’umanità che la utilizza. L’epigrafe in copertina dichiara “La nostra mission è di assicurare che l’Intelligenza Artificiale Generale – cioè sistemi AI che sono in generale più acuti degli esseri umani – produca benefici per tutta l’umanità”. La frase di apertura si sbilancia ancora di più: “Se l’AGI verrà creata con successo, questa tecnologia potrebbe aiutarci a elevare l’umanità aumentando l’abbondanza, mettendo il turbo all’economia globale e aiutando nella scoperta di nuove conoscenze scientifiche capaci di cambiare i limiti delle possibilità”.

Ma se si analizzano i testi alla ricerca di quali sono i fondamenti, su cosa esattamente si basano le paure e le aspettative esagerate, non troviamo quasi niente di concreto. La commensurabilità (se non l’identità) del cervello umano e di una macchina AI è data semplicemente per scontata, non è argomentata, e le ipotesi che dalla AGI possa uscire del bene o del male hanno, di fatto, basi ideologiche (AI “sì” contro AI “no”), aprioristiche, immotivate.

Invece un passaggio fondamentale è proprio l’argomentare sugli assunti, non lasciarli impliciti ma tirarli fuori ed esaminarli criticamente. E l’aspetto principale sul quale portare l’attenzione è proprio la comparazione fra una “AI machine” (diciamo Chat GPT) e un essere umano, che oggi viene spesso assunta, a priori, come una sostanziale identità di funzionamento. Ma il punto è che tale assunto è arbitrario.

Infatti nel patrimonio di conoscenze disponibili relativo ai due termini del confronto c’è una fondamentale asimmetria: non li conosciamo allo stesso modo. Tra Chat GPT e il comportamento umano la prima la conosciamo benissimo (l’abbiamo costruita noi) mentre il secondo è ancora un oggetto sostanzialmente sconosciuto. La vera domanda da porsi non è come funziona Chat GPT, ma come “funziona” un essere umano perché è su questo che abbiamo le maggiori incertezze. Cosa sappiamo, davvero, dei processi cognitivi di un essere umano? Quanto è realmente legittimato un tale confronto? Non è possibile entrare nei dettagli qui ma, per un sintetico resoconto su questo aspetto, si può consultare una recente “Letter” postata da Roberto Maffei sul social network scientifico “Academia”8.

Insomma: da una parte, è necessario andare a vedere cosa sappiamo dei processi cognitivi umani; dall’altra, bisogna andare a vedere cosa succede quando un essere umano si confronta con Chat GPT. Per l’esattezza la domanda “quanto è legittimato” il confronto andrebbe riformulata come “cosa accade concretamente nell’interazione fra un essere umano e Chat GPT?”. Cosa accade concretamente vuol dire la fenomenologia, i FATTI che stanno dietro le interpretazioni, sia per quanto riguarda il comportamento umano che le interazioni umano-macchina. E’ solo studiando la fenomenologia che possiamo stabilire, per esempio, se le paure espresse anche dai “guru” dell’informatica sono reali. Vediamo, dunque, un esempio di interazione fra degli esseri umani e Chat GPT, un piccolo esperimento che io e Andrea Fiaschi abbiamo fatto insieme (il testo integrale dell’interazione è riportato in Appendice, in calce all’articolo è trascritto un commento di Andrea Fiaschi).

Chat GPT in azione

Specificamente, abbiamo provato a interrogare Chat GPT su una questione che conoscevamo già bene per verificare, fenomenologicamente, cosa emergeva. Poiché io e Andrea Fiaschi siamo entrambi appassionati di storia della Seconda guerra mondiale, dunque conosciamo abbastanza gli accadimenti per valutare le risposte, abbiamo deciso di testare Chat GPT su due eventi specifici, cioè la battaglia di Dunkerque (la disfatta della Francia e il recupero delle truppe circondate contro il mare, maggio-giugno 1940) e la battaglia aeronavale che segnò il punto di svolta della guerra nel Pacifico: Midway, 3-4 giugno 1942, nel corso della quale, solo 6 mesi dopo l’attacco a sorpresa a Pearl Harbor (che distrusse una grossa parte delle navi da guerra USA), gli americani, per quanto in condizioni di pesante inferiorità, riuscirono a infliggere una sconfitta decisiva al Giappone. Per motivi di spazio trascriviamo in Appendice solo l’interazione relativa a questa seconda battaglia e solo questa discuteremo.

Le risposte fornite da Chat GPT su Midway (si veda l’Appendice) possono essere valutate distribuendole nelle seguenti categorie:

  • Risposte CORRETTE

  • ERRORI ASSOLUTI

  • Risposte CONFUSE o CONTRADDITTORIE

  • Informazioni MANCANTI

Nel proporre le nostre valutazioni faremo una selezione dei punti emblematici perché, altrimenti, i riferimenti per ogni categoria sarebbero troppi (l’Appendice è lunga circa 5 pagine). Inoltre dovremo dare per scontata una conoscenza almeno approssimativa della battaglia di Midway e del contesto storico nel quale si svolse perché anche solo riassumerla richiederebbe troppo spazio9.

Risposte CORRETTE – E’ vero che un fattore di successo della vittoria americana a Midway fu l’intelligence, che si avvaleva della (parziale) decrittazione dei codici giapponesi dovuta al ritrovamento fortuito, poco prima della guerra, di documenti indosso al cadavere di un ufficiale di marina giapponese ripescato nel Mare di Bering.

E’ altrettanto vero che un altro fattore furono le qualità umane di alcuni comandanti americani, in particolare Nimitz e Spruance.

La soddisfazione relativa a queste risposte corrette viene tuttavia mitigata dal fatto che le informazioni non vengono adeguatamente specificate. Per esempio l’intelligence non era in grado di fornire informazioni chiare e univoche al comando navale americano, e ciò che risultò veramente essenziale furono l’intuito e le capacità di interpretazione dei comandanti a fronte degli indizi (indizi!) raccolti dal geniale capo dell’ufficio cifra di Pearl Harbor, il Comandante Rochefort.

E, a proposito delle qualità umane dei comandanti, l’indipendenza di pensiero (anche nei confronti dei comandi generali in patria) e la capacità di assumersi rischi furono essenziali per la conduzione della battaglia, conferendo agli americani la flessibilità indispensabile in una situazione così complessa. Quando l’Ammiraglio Nimitz (il comandante in capo) decise che Midway era il vero obiettivo mentre l’azione contemporanea contro le Isole Aleutine era solo un diversivo, lo decise unilateralmente, assumendosi un grosso rischio (infatti a Washington non tutti erano d’accordo e c’era molta preoccupazione, si temeva che l’attacco fosse diretto contro il territorio metropolitano, contro la costa occidentale degli Stati Uniti).

Al contrario, dal lato giapponese, il piano dell’Ammiraglio Yamamoto era troppo rigido, richiedeva il rispetto esatto di date e orari (in una situazione nella quale era imposto il silenzio-radio assoluto) e non lasciava margini ai subalterni. Quando, in fase di preparazione, fu simulata la battaglia, tutti i tentativi di introdurre elementi che deviavano dal quadro delineato da Yamamoto furono respinti arbitrariamente. E lo stesso Yamamoto ignorò intenzionalmente piccoli segnali che divergevano dal suo quadro ma che avrebbero potuto rivelarsi essenziali, se fossero stati approfonditi.

Proprio questo produsse una situazione nella quale l’Ammiraglio Nagumo (comandante della forza principale di attacco, quella con le 4 portaerei che furono affondate a Midway) fu costretto a improvvisare, in un momento critico, delle mosse basate su informazioni locali e del tutto insufficienti; e inevitabilmente sbagliò.

ERRORI ASSOLUTI – Cominciamo da quelli più clamorosi: innanzitutto, l’affondamento delle 4 portaerei giapponesi attribuito agli aerosiluranti è semplicemente falso, furono i bombardieri in picchiata ad affondarle. Inoltre non è vero che il Capitano Elliott Buckmaster rimase ucciso quando la sua nave, la portaerei Yorktown, affondò. Buckmaster, dopo la battaglia, fu promosso e messo a capo di una scuola per l’addestramento dei piloti a Kansas City; morì in California nel 1976, all’età di 87 anni.

Ancora è falso che gli Stati Uniti godessero di un vantaggio tecnologico rispetto ai giapponesi. A livello di aerei, il caccia giapponese Mitsubishi A6M “Zero”, adatto al decollo da una portaerei, era insuperato al momento della battaglia di Midway: leggero, altamente manovrabile, armato di cannoncini e non di mitragliere (quindi con una maggiore potenza di fuoco). Da parte americana i “Wildcat” (migliori dei loro predecessori ma ancora inferiori agli “Zero”) erano in arrivo ma pochi parteciparono alla battaglia; in molti casi si dovettero usare gli obsoleti “Brewster Buffalo”, facile preda dei caccia giapponesi.

Lo stesso era per molti altri aerei, in particolare gli aerosiluranti: i Grumman TBF “Avenger” erano almeno comparabili con i corrispondenti giapponesi ma anche di questi ce n’erano pochi; Quelli che attaccarono le portaerei giapponesi erano dei Douglas TBD “Devastator”, ormai superati, lenti soprattutto nella cabrata, anche questi facile preda dei caccia di scorta alle portaerei giapponesi. Quindi l’informazione che “gli aerosiluranti americani affondarono quattro portaerei giapponesi” è semplicemente falsa: furono i dive bombers, i bombardieri in picchiata, che affondarono tre portaerei giapponesi nel corso di una singola azione (la Kaga, la Akagi e la Soryu), e una quarta portaerei (la Hiryu) più tardi. Per quanto riguarda il ruolo degli aerosiluranti americani, al quale Chat GPT sembra molto attaccato (o attaccata? Sarà maschile o femminile?), e non si capisce perché si ostini quasi a “difenderli”, gli storici parlano apertamente di “sacrificio”: i piloti degli aerosiluranti si sacrificarono, andarono all’attacco con poche speranze, volavano bassi per sganciare i siluri e gli “Zero” di scorta alle portaerei li vedevano dall’alto, scendevano e li massacravano. Oltretutto i piloti giapponesi erano addestrati a temere gli aerosiluranti più dei bombardieri perché sapevano che un solo siluro poteva affondare una portaerei, quindi si accanivano particolarmente contro di essi. La squadriglia del Capitano Waldron, 15 aerei e 30 uomini, fu completamente distrutta senza neanche un siluro a segno; oltre metà degli equipaggi furono abbattuti addirittura prima che potessero lanciare i siluri.

In totale, di diverse decine di aerosiluranti partiti dalle portaerei americane o dalla base a terra di Midway, solo circa una decina di aerei, spesso malconci, riuscirono a tornare indietro; e nessun siluro andò a segno. E’ vero che questo sacrificio ebbe l’effetto secondario di scompaginare la difesa aerea delle portaerei giapponesi perché gli “Zero” ruppero l’ombrello protettivo per attaccare gli aerosiluranti che volavano a pelo d’acqua e poi per inseguire i superstiti, lasciando scoperte le portaerei quando arrivarono i bombardieri in picchiata. Però questo non fu certo intenzionale, ed è arduo sostenere che gli aerosiluranti “rappresentarono comunque un elemento cruciale nella strategia americana”. E’ vero che l’Ammiraglio Spruance (uno dei comandanti americani, si veda più avanti) cercò di calcolare, in base al momento dell’attacco aereo sull’atollo di Midway, i tempi di recupero, da parte delle portaerei dell’Ammiraglio Nagumo, degli aerei che avevano attaccato, e la posizione e la velocità delle proprie portaerei in modo da tentare di sorprendere la squadra giapponese con i ponti ingombri di aerei. Però, in realtà, i giapponesi furono più rapidi del previsto e il fatto che i bombardieri in picchiata americani arrivassero con il cielo sgombro dai caccia (impegnati a inseguire gli aerosiluranti) fu un puro caso. Se la fortuna ebbe il suo ruolo nel corso della battaglia, questo fu il vero colpo di fortuna degli americani.

Risposte CONFUSE o CONTRADDITTORIE – Ce ne sono diverse; quelle più clamorose riguardano le portaerei americane che parteciparono alla battaglia e il personale in comando. Parteciparono alla battaglia 3, e non 4 portaerei: L’Enterprise, la Hornet e la Yorktown. La Lexington (come si corregge poche righe dopo Chat GPT) era stata affondata nella precedente (un mese prima di Midway) battaglia del Mar dei Coralli. La stessa Yorktown, che aveva partecipato alla battaglia, era stata pesantemente danneggiata e aveva ripreso il mare rabberciata alla meglio (48 ore di riparazioni contro il mese intero almeno previsto dai tecnici, la nave aveva ancora a bordo degli operai che continuavano le riparazioni, quando salpò); in realtà, le portaerei erano 4 giapponesi contro 2 e mezzo (o anche meno) americane. Inoltre la Saratoga non c’era proprio, come vedremo meglio tra un attimo.

Le portaerei americane erano organizzate in “squadre”: la Task force 16 (Hornet e Enterprise) e la Task force 17 (Yorktown). E qui viene introdotto un altro elemento di confusione tra i comandanti delle “navi” e i comandanti delle “squadre”. I primi nomi indicati (corretti) sono quelli dei comandanti delle singole navi (i “capitani”). Ma le squadre delle portaerei erano soltanto due, e non 3: la Task force 8 (alla quale Chat GPT attribuisce le portaerei Lexington e Saratoga) forse esisteva prima della battaglia del Mar dei Coralli, ma la Lexington era stata affondata proprio in quella circostanza e la Saratoga stava arrivando dagli Stati Uniti. Arrivò il 6 giugno, a battaglia ormai finita.

I comandanti delle squadre di portaerei erano Fletcher (comandante di entrambe le Task force ma imbarcato sulla Yorktown, Task force 17), e Spruance (imbarcato sull’Enterprise ma comandante della Task force 16, comprendente anche la Hornet). E’ corretta la sostituzione del comandante designato della Task force 16 (Bill Holsey detto “Bull”) da parte di Spruance a causa dell’aggravarsi di una malattia della pelle cronica (“dermatite generale”, non specificata da Chat GPT) di Holsey.

Informazioni MANCANTI – La battaglia di Midway non fu (pensiamo che nessuna lo sia) solo una successione di eventi rendicontabili attraverso informazioni staccate l’una dall’altra; questa battaglia ebbe un senso profondo senza comprendere il quale non si comprende davvero cosa accadde. Questo aspetto manca totalmente nelle risposte di Chat GPT, e non è un caso.

Innanzitutto le dimensioni: l’Ammiraglio Yamamoto aveva concepito un’azione navale che si doveva sviluppare su una scala continentale, con ben 6 squadre navali, tutte molto numerose e distribuite, praticamente, sulla metà occidentale dell’Oceano Pacifico, dalle Isole Aleutine (azione diversiva sviluppata da due squadre, più una terza più piccola, distaccata dalla flotta principale guidata da Yamamoto stesso) alle Isole Hawaii, con altre 4 squadre impegnate. L’idea di base era quella di attaccare l’atollo di Midway come esca per attirare le portaerei americane, date per ferme a Pearl Harbor, in mare aperto e distruggerle usando la potenza di fuoco delle squadre giapponesi.

Ma la stessa grandiosità era uno dei punti deboli del piano; non c’era, come nel caso dell’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 (il piano era sempre di Yamamoto), un obiettivo preciso e unico sul quale far convergere le forze impegnate. Al contrario, gli obiettivi erano tanti e diversi, perché Midway non doveva essere semplicemente minacciata per funzionare come esca, ma doveva essere effettivamente conquistata, e anche le Aleutine dovevano essere tenute almeno per alcuni mesi. E la stessa forza principale d’attacco (la Prima flotta dell’Ammiraglio Nagumo, solo una delle 6 squadre) doveva perseguire simultaneamente due obiettivi, non uno solo: con i suoi aerei doveva distruggere le difese dell’isola per consentire lo sbarco dei fanti giapponesi ma doveva anche attaccare e distruggere le portaerei americane che si fossero presentate. Il tutto in una situazione di totale insufficienza di informazioni sulla flotta nemica, ostinatamente data per presente a Pearl Harbor quando, invece, aveva precocemente (prima ancora che i giapponesi avessero allestito una rete di sommergibili per sorvegliare le mosse degli americani) preso posizione a Nord-Est di Midway proprio nella speranza di intercettare gli attaccanti giapponesi.

La noncuranza manifestata dallo stesso Yamamoto sul problema del quadro informativo è sorprendente: invece di adattare il suo piano alla realtà di un quadro informativo aggiornato, escludeva sistematicamente (intenzionalmente?) quelle informazioni che contrastavano con il suo piano. Il suo piano era l’unico riferimento possibile. C’era dell’arroganza, nei piani di Yamamoto, probabilmente alimentata da una esagerata sottovalutazione dell’avversario il quale, come tutti gli occidentali, era ritenuto appartenente a un popolo decadente e imbelle. E l’arroganza fu punita grazie a degli “imbelli” che però sapevano lavorare in squadra, sapevano prendere decisioni e assumersi responsabilità. Ed erano disposti a mettere in gioco la propria vita per qualcosa in cui credevano, come i piloti degli aerei americani coinvolti nella battaglia (in particolare i piloti degli aerosiluranti) ampiamente dimostrarono. E, sorprendentemente, questa è una chiave di lettura che può essere applicata a tutta la Seconda guerra mondiale: i “signori della guerra”, cioè i fanatici nazisti come i fanatici giapponesi, nel confronto fisico diretto, furono sconfitti dalla gente comune adeguatamente organizzata ed equipaggiata. Per esempio coloro che sbarcarono in Normandia non erano, propriamente, dei “guerrieri”, ma artigiani, agricoltori, operai, professionisti che avevano dovuto lasciare la vita civile e combattevano per una causa in cui credevano. E vinsero.

La paura dell’AI, rivisitata

Possiamo tirare le somme, fare un bilancio del confronto fra l’intelligenza artificiale di Chat GPT e l’intelligenza “naturale” di amatori esperti sullo specifico argomento che abbiamo trattato? Secondo noi sì.

Innanzitutto, Chat GPT non è il Manuale delle Giovani Marmotte concepito dai disegnatori Disney, che è sempre puntuale e esatto nelle sue risposte: troppi errori, troppe imprecisioni, troppa confusione, troppe carenze, in particolare a livello del senso generale. Se la battaglia di Midway fosse stata l’oggetto di un esame universitario, potremmo concludere che Chat GPT non si è comportata come un umano minimamente acculturato sul tema ma come uno studente mal preparato che non solo aveva raffazzonato informazioni approssimative, insufficienti e errate, ma non aveva minimamente colto il senso degli eventi. Probabilmente avrebbe dovuto essere bocciato.

Come possiamo spiegarci un risultato di questo genere? Chat GPT è brava (o “bravo”?) a costruire discorsi in linguaggio naturale, può produrre testi che simulano con una certa efficacia discorsi umani; dicono addirittura che sia in grado di compilare questionari di valutazione perfino superiori a quelli degli esseri umani; ma nella costruzione di questi testi presenta carenze fondamentali. E’ chiaro che è in grado di raccogliere “informazioni” relative a un argomento, ma non è in grado di usare criteri per discriminarle, per valutarne l’attendibilità; il quadro che emerge è un ammasso di informazioni indifferenziate, raffazzonate, nel quale sono mischiate quelle attendibili con quelle inaffidabili e nel quale Chat GPT non riesce neanche a individuare le contraddizioni fra l’una e l’altra.

Non parliamo poi del “senso” che si può ricavare da queste informazioni: questo è totalmente precluso a Chat GPT. Il cambiare punto di vista e guardare gli eventi a livello locale (restringendoli alla “battaglia”in senso tecnico, anzi, a una parte di essa) ma poi ampliando la visione alla scala continentale del piano di Yamamoto, e confrontare le due visioni per trarne conclusioni in termini di “senso”, è qualcosa totalmente al di fuori della sua portata. Perché gli esseri umani hanno qualcosa che Chat GPT non può imitare: la consapevolezza e le emozioni.

Gli esseri umani sono capaci di elaborare informazioni, anche se a una velocità molto più bassa di quella di Chat GPT; ma non è su questo che si basano per le loro “interpretazioni” di eventi e situazioni. L’interpretazione è un processo totalmente diverso dall’elaborazione di informazioni: attribuire il piano di Yamamoto all’arroganza (che è un’emozione) richiede una conoscenza che non si basa solo su “dati”. Bisogna averla provata, direttamente o indirettamente, questa emozione per riconoscerla ed estrarla da un ammasso di informazioni altrimenti confuso e non decifrabile. Qui non è solo una questione di “cervello”; provare le emozioni coinvolge il corpo, e Chat GPT non ce l’ha. E non ha l’esperienza di vita, intessuta di emozioni provate e non solo descritte, che le consenta di inferire le componenti emotive da quadri complessi di dati. Chat GPT non ha consapevolezza, non sa discriminare, non sa valutare, non sa scegliere le informazioni rilevanti da quelle secondarie. Chat GPT, semplicemente, non “sa” niente (in termini di consapevolezza cosciente); è in grado solo di confrontare stringhe di testo e di applicare ad esse le probabilità prefissate che a una parola ne segua un’altra. Sono algoritmi, il che significa meccanismi: niente sfumature, niente ambivalenze, niente emozioni. Il punto è che il mondo degli esseri umani non funziona così (e “mondo” va inteso sia come mondo naturale che come mondo sociale).

E anche se Chat GPT è in grado di “imparare” e, in qualche modo, di evolvere, lo può fare solo nei limiti fissati (o incontrati) da chi la programma. La natura meccanica di questo software gli impedisce, per quanto possa “apprendere”, di acquisire consapevolezza e di provare (provare!) emozioni. Non potrà mai essere un vero competitor degli esseri umani per il semplice motivo che gli esseri umani “funzionano” in modo diverso.

Non posso approfondire questo tema, oggetto di una letteratura sterminata. Mi limito solo a segnalare che, per quanto riguarda i processi cognitivi umani, ci sono due filoni di pensiero e di ricerca che si stanno confrontando. Le teorie di tipo cognitivista sono quelle che possono supportare il filone “apocalittico” delle posizioni sull’AI perché assimilano totalmente il cervello a un computer e gli attribuiscono il potere di gestire, da una posizione centrale, l’intero organismo. Per i cognitivisti l’essere umano e Chat GPT funzionano nello stesso modo, quindi tutti i timori sono legittimati. Ma ci sono altre teorie, raggruppabili sotto l’aggettivo inglese embodied, che sostengono che non c’è solo il cervello, che il corpo ha un ruolo primario nella conoscenza umana e che fra corpo, cervello e ambiente esterno si instaurano processi caratterizzati da una “causalità circolare” (in parole povere: si influenzano reciprocamente di continuo senza che i risultati possano essere attribuiti univocamente all’uno o all’altro).

Con il Gruppo di ricerca A.L.B.E.R.T., interno all’Associazione di Promozione Sociale ARPA-Firenze APS, stiamo lavorando da diversi anni su queste tematiche, abbiamo pubblicato alcuni lavori e abbiamo proposto una terza impostazione (che è terza, è altra, non è intermedia tra le due correnti). Tale impostazione si basa sull’osservazione che sia il cognitivismo che le teorie embodied condividono una visione scissa dell’organismo umano: anche se concepiti con rapporti diversi a seconda dei casi, abbiamo comunque un corpo separato dal cervello (o dalla mente). Noi proponiamo di considerare l’organismo umano come una unità, senza distinzioni, e abbiamo dimostrato che, osservando la fenomenologia dei processi da questo punto di vista, si possono ottenere risposte che in altri modi non si ottengono.

Proviamo a concludere: non c’è motivo di avere paura dell’AI (di Chat GPT, dei prodotti analoghi e di quanto altro verrà prima o poi tirato fuori) perché sono solo macchine a disposizione degli esseri umani. Però c’è motivo di avere paura di come gli esseri umani le potranno utilizzare. Per esempio l’idea di usarle per automatizzare decisioni che abbiano un impatto sulla vita lavorativa o personale degli esseri umani è pericolosa; la vita sociale è complessa e usare dei meccanismi automatici per provare a delegare la gestione di questa complessità può veramente provocare disastri. Se decisioni come le assunzioni di lavoratori, il diritto a ricevere determinati benefici, la possibilità di accendere un mutuo o di stipulare una polizza assicurativa o, addirittura, le sentenze dei procedimenti giudiziari10 verranno affidate acriticamente a sistemi meccanici (anche se li chiamiamo “intelligenti”) sarà un vero problema11.

E’ recentissima la notizia di uno sciopero del mondo dello spettacolo per antonomasia, a Hollywood, uno dei cui punti principali consiste proprio nella minaccia rappresentata da Chat GPT e simili per i creativi (soprattutto sceneggiatori e scrittori), dato che sembrano in grado di sviluppare creatività e scrivere storie al posto loro e a costi incomparabilmente più bassi. Non so se sia stato già fatto ma, per decidere sul grado di “creatività” del quale questi software possono essere capaci, bisognerebbe scendere in dettaglio nella fenomenologia, cioè confrontare un testo prodotto da un autore umano con uno prodotto da una macchina e valutare analogie e differenze. Comunque, anche in questo caso, il pericolo non è costituito dalle tecnologie, ma dall’uso umano delle tecnologie.

In conclusione dobbiamo chiederci, alla fine di questa riflessione, se c’è comunque un modo “sano”, utile di impiegare queste potenzialità. Qui la risposta va data, settore per settore, da esperti del settore, non da esperti delle tecnologie stesse. Per quanto mi riguarda, mi intendo un po’ di ricerca scientifica e, secondo me, c’è un ambito della ricerca che potrebbe avvalersi della cosiddetta “AI”. In questo ambito si sa che la produzione industriale delle pubblicazioni impedisce di seguirle fruttuosamente per l’enorme quantità. Due medici inglesi, un cardiologo e uno statistico, si sono posti seriamente il problema di confrontare le condizioni standard di lavoro di un professionista della medicina con la valanga di pubblicazioni in ogni campo; ne hanno scelto uno molto circoscritto (la diagnostica per immagini in cardiologia) e sono arrivati alla conclusione che, se un cardiologo volesse seriamente aggiornarsi sulla diagnostica per immagini, non avrebbe, semplicemente, il tempo di fare altro (non potrebbe dedicarsi alla professione)12. La frase di apertura del loro articolo è particolarmente significativa:

Ogni medico ha il dovere etico di tenersi aggiornato. Questo sta diventando semplicemente più difficile o è già diventato impossibile? Da quando Alvin Toffler ha coniato la frase “overload informativo” nel 1970, la crescita dell’informazione scientifica e medica è stata inesorabile. Oggi [2010] esistono 25400 riviste in ambito scientifico, tecnologico e medico, e il loro numero aumenta del 3,5% l’anno; nel 2009 hanno pubblicato 1,5 milioni di articoli. PubMed cita, ad oggi, più di 20 milioni di lavori.13

Un effetto collaterale di questo è che le pubblicazioni vengono rapidamente superate, nel senso che quelle pubblicate in un certo periodo su un dato tema vengono soverchiate da quelle nuove e “invecchiano” rapidamente. Il punto è che vengono soverchiate in termini di quantità, non necessariamente di qualità: le ultime pubblicazioni dovrebbero tener conto di (più o meno) tutte quelle precedenti ma i ritmi legati all’industrializzazione del processo di produzione delle pubblicazioni scientifiche e la pressione sui ricercatori perché pubblichino in fretta (vengono valutati sul numero delle loro pubblicazioni) ha innescato una progressiva caduta della qualità. Il risultato complessivo di tutto questo è la diffusione, nella Comunità scientifica, della convinzione che nelle pubblicazioni del passato siano disperse, o nascoste, parti di conoscenza che potrebbero essere molto utili oggi, che potrebbero evitarci l’onere di dover “riscoprire” cose già note. In passato il problema era meno pressante14, ma non inesistente. Insomma ci sarebbe, nel campo delle pubblicazioni scientifiche, un immenso database che per gli esseri umani è di fatto impossibile da esplorare ma che potrebbe esserlo per macchine “AI” appositamente “addestrate”. Ci sarebbero molti problemi da risolvere, come la digitalizzazione in formato testo dei lavori più vecchi, nati al di fuori di ogni digitalizzazione, o lo studio dei criteri di ricerca sui quali impostare la macchina; però dovrebbe essere possibile risolverli.

Questo potrebbe essere un modo per integrare l’umano e il tecnologico in un modo funzionale, con obiettivi utili e concreti e con la prospettiva di raggiungerli, sgombrando il campo da inutili fantasie e fughe in avanti senza basi e senza senso.

==================================================

APPENDICE

Trascrizione delle interazioni con Chat GPT sulla battaglia di Midway (1942)

———————————————

Noi – Le ragioni della vittoria americana a Midway

Chat GPT La vittoria americana nella battaglia di Midway durante la Seconda Guerra Mondiale fu determinata da diversi fattori, tra cui:

 

Decrittazione del codice giapponese: grazie al lavoro del team di decodificatori americani, noto come “Magic”, gli Stati Uniti erano a conoscenza dei piani giapponesi per l’attacco a Midway.

Intelligenza navale: gli Stati Uniti disponevano di informazioni precise sulla composizione e la posizione della flotta giapponese, grazie a un’efficiente rete di ricognizione.

Superiorità tecnologica: la Marina americana era dotata di aerei e portaerei di ultima generazione, come il Grumman F4F Wildcat e il Grumman TBF Avenger, che erano più avanzati rispetto ai corrispondenti aerei giapponesi.

Capacità di comando: il contrammiraglio americano Raymond Spruance, che era a capo della flotta americana a Midway, era un comandante esperto e dotato di un’ottima strategia di battaglia.

Fortuna: gli Stati Uniti erano fortunati nell’aver scoperto i piani giapponesi e nell’essere riusciti a posizionarsi in una posizione favorevole per affrontare la flotta nemica.

 

In sintesi, la vittoria americana a Midway fu il risultato della combinazione di diversi fattori, tra cui l’efficacia del servizio di intelligence, la superiorità tecnologica e la capacità di comando dei loro ufficiali militari.

Noi – E gli aerosiluranti?

Chat GPTGli aerosiluranti furono un elemento fondamentale della strategia americana durante la battaglia di Midway. La Marina americana impiegò il Grumman TBF Avenger, un aerosilurante imbarcato di ultima generazione, per attaccare le portaerei giapponesi.

 

Il TBF Avenger era un aereo molto efficace, dotato di un radar che gli consentiva di individuare le navi nemiche anche in condizioni di scarsa visibilità. Inoltre, il suo armamento era costituito da un siluro da 457 mm, che poteva infliggere danni devastanti alle navi nemiche.

Durante la battaglia di Midway, gli aerosiluranti americani affondarono quattro portaerei giapponesi: l’Akagi, la Kaga, la Soryu e la Hiryu. Queste perdite furono un colpo durissimo per la Marina imperiale giapponese e rappresentarono una svolta decisiva nella guerra nel Pacifico.

 

In sintesi, gli aerosiluranti americani, in particolare il Grumman TBF Avenger, furono uno strumento cruciale per la vittoria americana a Midway, in grado di infliggere danni letali alle portaerei nemiche e di ribaltare le sorti della battaglia.

Noi – Ci risulta che la superiorità era dei bombardieri rispetto agli aerosiluranti

Chat GPT È vero che durante la battaglia di Midway i bombardieri in picchiata, come il Douglas SBD Dauntless, furono utilizzati con grande efficacia dalla Marina americana. Tuttavia, gli aerosiluranti come il Grumman TBF Avenger rappresentarono comunque un elemento cruciale nella strategia americana.

 

Mentre i bombardieri in picchiata erano in grado di colpire le navi nemiche con bombe a caduta libera, gli aerosiluranti erano specificamente progettati per affondare le navi con siluri. Grazie alla loro capacità di volo a bassa quota e alla loro velocità, gli aerosiluranti erano in grado di penetrare la difesa aerea nemica e di colpire le navi con maggiore precisione.

Inoltre, gli aerosiluranti erano dotati di un radar che consentiva ai piloti di individuare le navi nemiche anche in condizioni di scarsa visibilità, come la notte o le giornate nuvolose. Questo li rendeva particolarmente utili per attaccare le portaerei nemiche, che erano il principale obiettivo della Marina americana a Midway.

 

In sintesi, sebbene i bombardieri in picchiata fossero molto importanti nella strategia americana a Midway, gli aerosiluranti rappresentavano comunque un elemento cruciale, in grado di affondare le navi nemiche con maggiore precisione e di penetrare la difesa aerea giapponese con maggior facilità.

Noi – Ma gli attacchi degli aerosiluranti furono contrastati tutti con estrema efficacia. Nessun siluro andò a segno.

Chat GPT In effetti, durante la battaglia di Midway, gli attacchi degli aerosiluranti americani incontrarono una forte resistenza da parte della difesa aerea giapponese e degli avversari. L’efficacia degli aerosiluranti americani fu quindi limitata, e nessun siluro colpì effettivamente una nave giapponese.

 

Tuttavia, gli aerosiluranti svolsero comunque un ruolo importante nella battaglia di Midway. Il loro attacco aiutò a distrarre e a dividere la difesa aerea giapponese, aprendo la strada per l’attacco dei bombardieri in picchiata americani. Inoltre, gli aerosiluranti inflissero danni significativi alle navi giapponesi, danneggiando la corazzata Nagato e costringendo la portaerei giapponese Hiryu a interrompere le operazioni di volo.

 

È importante sottolineare che la battaglia di Midway fu una battaglia estremamente complessa e difficile, in cui entrambi gli schieramenti fecero ricorso a una vasta gamma di armamenti e strategie. Gli aerosiluranti americani non furono in grado di affondare le navi giapponesi, ma svolsero comunque un ruolo importante nella battaglia e contribuirono alla vittoria americana complessiva.

Noi – Perché prima hai detto che gli aerosiluranti hanno colpito le navi e adesso dici di no?

Chat GPT Chiedo scusa per la mia imprecisione. In realtà, durante la battaglia di Midway, gli aerosiluranti americani riuscirono ad affondare una sola nave giapponese: il cacciatorpediniere Arashio. Questo è stato un successo significativo per gli aerosiluranti americani, ma non sono riusciti ad affondare le portaerei giapponesi, che erano il principale obiettivo della Marina americana.

 

Tuttavia, è importante sottolineare che gli aerosiluranti americani hanno comunque svolto un ruolo cruciale nella battaglia di Midway. Anche se non sono riusciti ad affondare le portaerei giapponesi, gli aerosiluranti hanno contribuito a distrarre e a dividere la difesa aerea giapponese, aprendo la strada all’attacco dei bombardieri in picchiata americani. Inoltre, gli aerosiluranti hanno inflitto danni significativi alle navi giapponesi, danneggiando la corazzata Nagato e costringendo la portaerei giapponese Hiryu a interrompere le operazioni di volo.

Noi – Chi era il comandante americano?

Chat GPTIl comandante americano durante la battaglia di Midway era l’ammiraglio Chester W. Nimitz. Nimitz era il comandante in capo della flotta del Pacifico degli Stati Uniti e aveva la responsabilità di guidare l’offensiva americana contro le forze giapponesi nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Nimitz aveva una vasta esperienza nella gestione delle operazioni navali, essendo stato precedentemente il comandante della flotta dell’Atlantico degli Stati Uniti. Durante la battaglia di Midway, Nimitz fu in grado di utilizzare la sua esperienza e la sua abilità strategica per coordinare efficacemente le forze americane, prendere decisioni rapide e decisive e guidare le sue truppe alla vittoria.

 

Grazie alla sua leadership e alla sua abilità tattica, Nimitz è considerato uno dei grandi comandanti navali della storia americana e la sua vittoria a Midway è stata un momento cruciale nella storia della Seconda Guerra Mondiale nel Pacifico.

Noi – E le portaerei?

Chat GPT Le portaerei americane che parteciparono alla battaglia di Midway erano quattro: l’USS Enterprise, l’USS Hornet, l’USS Yorktown e l’USS Lexington.

 

L’USS Enterprise e l’USS Hornet erano le due portaerei di flotta che parteciparono all’attacco a sorpresa contro le isole Marshall e che successivamente furono schierate nella battaglia di Midway. L’USS Yorktown era la terza portaerei di flotta che si unì alla battaglia di Midway, mentre l’USS Lexington era un’altra portaerei che operava nella zona, ma fu affondata durante la battaglia delle Salomone Orientali il 7 maggio 1942, un mese prima della battaglia di Midway.

Le portaerei americane svolsero un ruolo fondamentale nella battaglia di Midway, essendo state la spina dorsale della forza di attacco americana. Furono le portaerei americane a lanciare gli attacchi aerei contro le navi giapponesi, e furono in grado di lanciare diversi tipi di aerei da combattimento, bombardieri e aerosiluranti.

 

L’USS Yorktown fu affondata durante la battaglia, ma l’USS Enterprise e l’USS Hornet riuscirono a infliggere danni significativi alle navi giapponesi, inclusa la portaerei Hiryu che fu affondata. Le portaerei americane furono un elemento chiave della vittoria americana a Midway e rappresentano un esempio di come la tecnologia navale avanzata, come le portaerei, potesse essere utilizzata in modo efficace durante la Seconda Guerra Mondiale.

Noi – E i comandanti delle portaerei?

Chat GPTI comandanti delle portaerei americane che parteciparono alla battaglia di Midway furono:

 

USS Enterprise: il capitano George D. Murray, che era il comandante della portaerei durante la battaglia.
USS Hornet: il capitano Marc A. Mitscher, che era il comandante della portaerei durante la battaglia.
USS Yorktown: il capitano Elliott Buckmaster, che era il comandante della portaerei durante la battaglia.

Il capitano Mitscher dell’USS Hornet era uno dei migliori piloti e comandanti di portaerei dell’epoca e guidò personalmente l’attacco contro le navi giapponesi durante la battaglia di Midway. Dopo la battaglia, Mitscher venne promosso al grado di contrammiraglio per il suo coraggio e la sua abilità.

Il capitano Murray dell’USS Enterprise, invece, era un comandante meno noto ma altrettanto abile e determinato. Durante la battaglia, la sua portaerei fu coinvolta in diversi scontri con i caccia giapponesi, ma Murray riuscì a tenere la sua nave al sicuro e a lanciare efficaci attacchi aerei contro le navi giapponesi.

Il capitano Buckmaster dell’USS Yorktown fu ucciso durante la battaglia a bordo della sua nave, ma la sua leadership e la sua abilità tattica furono essenziali per la riuscita dell’attacco americano contro le forze giapponesi.

 

In sintesi, i comandanti delle portaerei americane erano dei professionisti altamente qualificati e determinati, che svolsero un ruolo fondamentale nella vittoria americana a Midway.

Noi – I comandanti delle squadre di portaerei?

Chat GPTDurante la battaglia di Midway, le portaerei americane erano organizzate in tre squadre di portaerei, ognuna con un proprio comandante. Ecco i comandanti delle squadre di portaerei americane durante la battaglia:

 

Task Force 16 (composta dall’USS Enterprise e dall’USS Hornet): l’ammiraglio William F. Halsey Jr. Era il comandante della Task Force 16, ed era anche il comandante dell’intera flotta americana che partecipò alla battaglia di Midway. Tuttavia, durante la battaglia, Halsey dovette lasciare la Task Force 16 a causa di una malattia, e il comando passò al suo vice, il contrammiraglio Raymond A. Spruance.

Task Force 17 (composta dall’USS Yorktown): il contrammiraglio Frank Jack Fletcher era il comandante della Task Force 17, che includeva l’USS Yorktown e diverse altre navi di scorta.

Task Force 8 (composta dall’USS Saratoga e dall’USS Lexington): l’ammiraglio Aubrey W. Fitch era il comandante della Task Force 8, che operava a sud-est di Midway per fornire copertura aerea e supporto alle operazioni della flotta americana.

L’ammiraglio Halsey aveva la responsabilità generale della battaglia come comandante della flotta americana, ma durante la battaglia dovette lasciare il comando a causa di una malattia. Il contrammiraglio Spruance, che prese il comando della Task Force 16 al posto di Halsey, dimostrò abilità e intelligenza tattica durante la battaglia, e contribuì in modo significativo alla vittoria americana.

 

In generale, i comandanti delle squadre di portaerei americane erano ufficiali di alto livello e altamente qualificati, con una vasta esperienza nella guerra navale e aerea. Grazie alla loro leadership e alle loro abilità tattiche, furono in grado di coordinare efficacemente le operazioni delle loro squadre di portaerei durante la battaglia di Midway, contribuendo alla vittoria americana.

Noi – Ma la Lexington era stata affondata nel Mar dei Coralli

Chat GPT Hai ragione, mi scuso per l’errore nella mia risposta precedente. La USS Lexington fu affondata nella battaglia del Mar dei Coralli, che si svolse nel maggio 1942, un mese prima della battaglia di Midway. La USS Lexington, insieme alla USS Yorktown, fu una delle due portaerei americane perse nella battaglia del Mar dei Coralli.

 

Durante la battaglia di Midway, le portaerei americane presenti furono l’USS Enterprise, l’USS Hornet e l’USS Yorktown, come correttamente specificato nella mia risposta precedente sui comandanti delle squadre di portaerei.

==================================================

COMMENTO

di Andrea Fiaschi

———————————————

Caro Roberto, mi sembra che siamo riusciti a portare ChatGPT di OpenAI ad un certo livello di difficoltà. In effetti, non deve essere facile per un modello di linguaggio naturale improvvisarsi storico e stratega militare. Mi sembra che si sia centrato il punto: se si fosse trattato di un esame da sostenere all’università sull’argomento della battaglia di Midway, il candidato sarebbe sicuramente risultato in forte carenza.

Appare evidente che il sistema vada a pescare e presentare informazioni in formato di linguaggio strutturato dando priorità alla velocità piuttosto che alla precisione o veridicità delle risposte. Questo comportamento non dovrebbe sorprendere granché, in quanto si tratta di un modello che è stato sviluppato in modo da presentare il linguaggio in un modo definito “naturale”. Che si tratti di informazioni reperite tramite qualche tipo di intelligenza artificiale, ricevute tramite i vari mezzi di informazione o da chissà quale altra fonte umana, resta sempre fondamentale il ricorrere alla propria sensibilità e soprattutto al controllo incrociato delle fonti. Potremmo dire che anche ChatGPT vada a compiere l’errore dell’ammiraglio Yamamoto di escludere alcune informazioni cruciali, per via del “training” che ha ricevuto.

Sussiste, cioè, l’estrema difficoltà di computare enormi moli di dati, anche se negli anni abbiamo visto un netto miglioramento sotto questo punto di vista. Non che gli umani, da parte loro, non commettano l’errore dell’ammiraglio Yamamoto a loro volta. Sovente le persone cercano di dare giudizi arbitrari su qualche argomento sconosciuto, che può essere lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, con quello che oggi si chiama correntemente confirmation bias. Ho come il sospetto che, in questo caso, abbiano il loro bel gioco le vecchie famose emozioni.

Tornando al test: come tu vai a citare, alla fine sono stati i cosiddetti fautori del mondo Libero a trionfare sugli “esperti” della guerra. Sebbene l’Asse disponesse di tecnologie belliche avanzatissime, Stati Uniti e Regno Unito sicuramente potevano vantare migliori infrastrutture e catene di approvvigionamento. Proprio in quest’ottica di disponibilità strategiche, proporrei di vedere le nuove possibilità garantite dall’intelligenza artificiale. Escludendo dal discorso l’intelligenza artificiale generale, che rimarrà nel novero della fantascienza ancora per un lasso di tempo ignoto, direi che si tratta sempre di capire a chi giova l’approvvigionamento delle risorse umane, industriali e computazionali.

Nel nostro caso, si parla di ChatGPT, il quale funziona utilizzando grossi server che solo pochi grandi attori possono permettersi. Già nel presente, ma in misura maggiore in futuro, chi avrà la maggior parte delle risorse si accaparrerà anche i maggiori vantaggi offerti da queste nuove categorie di macchine logiche e quantistiche. Perché sempre di macchine si parla, e sempre con un determinato consumo di energia e di risorse si va a confrontarsi. Ad oggi, i sistemi generativi di intelligenza artificiale possono sostituire con facilità gli avvocati e i servizi legali, mentre sulla ricerca speculativa e sull’interpretazione della strategia, come abbiamo visto, ci sono ancora molte difficoltà.

Chiaramente, i lavori che vediamo sostituiti sono quelli dagli aspetti più ripetitivi e meccanici.

Come tu, giustamente, facevi notare: è difficilissimo stare dietro alla mole di lavori scientifici che vengono pubblicati, ma questo è un perfetto caso di utilizzo per le AI che conosciamo oggi.

Ad esempio, un caso virtuoso (che può darci vantaggi tangibili ed accettabili) può essere quello del sistema Watson di IBM, direttamente applicato alla diagnosi medica. Fermo restando che si tratta sempre di un “macchinario” che va a coadiuvare, supportare, ma difficilmente sostituire nella professione medica.

Concludo con una battuta che ritengo molto esemplificativa: quale sistema AI avrebbe potuto prevedere il tentativo di colpo di stato di Prigozhin in Russia? Ma soprattutto: quale computer avrebbe potuto prevedere che a 12 ore di distanza il tutto si sarebbe sciolto come neve al sole? Forse il vero contributo dell’informatica sarebbe venuto nel presentare le forze in gioco in tempo reale tramite una vasta rete di sensori per dare un vero vantaggio decisionale.

In conclusione, la scelta e, come dicevamo, l’intuito sembrano destinate a restare prerogative umane. Fino a quando l’intelligenza artificiale non gestirà direttamente, senza intervento umano, il lancio delle migliaia di testate nucleari di cui dispongono le superpotenze, non credo ci sia da sentirsi particolarmente preoccupati.

1Jean Henry Fabre, autore dei monumentali “Souvenirs Entomologiques” stampati, in 10 volumi, tra il 1879 e il 1907.

2Il giudice Giovanni Falcone, ucciso nell’attentato di Capaci, più di una volta aveva parlato di “menti raffinatissime” riferendosi ai mafiosi che combatteva.

3We call on all AI labs to immediately pause for at least 6 months the training of AI systems more powerful than GPT-4.”

4“AI systems with human-competitive intelligence can pose profound risks to society and humanity, as shown by extensive research and acknowledged by top AI labs.”

5AI systems are now becoming human-competitive at general tasks”.

6Si vedano, per esempio: Bender et al. 2021 – On the Dangers of Stochastic Parrots: Can Language Models Be Too Big?; Bubeck et al. 2023 – Sparks of Artificial General Intelligence: Early experiments with GPT-4; Bucknall & Dori-Hacohen 2022 – Current and Near-Term AI as a Potential Existential Risk Factor; Carlsmith 2021 – Is Power-Seeking AI an Existential Risk?

7Come AI sta per intelligenza artificiale (“Artificial Intelligence”) AGI sta per Artificial General Intelligence, quella che potrebbe competere con il genere umano ad ampio raggio.

8Roberto Maffei, 2021 – Between instincts and reason, understanding a critical relationship. URL https://www.academia.edu/51621276/Between_instincts_and_reason_understanding_a_critical_relationship .

9Su questo si possono vedere il massiccio volume “La guerra del Pacifico”, di Bernard Millot (uscito nel 1968, ristampato da RCS Libri S.p.A., Milano, nel 2002), in particolare il Capitolo VI, dedicato alla battaglia; inoltre il più sintetico, ma piuttosto preciso, “Midway, giugno 1942 – La prima vittoria americana: le portaerei contrattaccano”, di Mark Healy, RBA Italia S.r.l., Milano 2009. Infine, per chi predilige la documentazione online, su Wikipedia le pagine dedicate alla battaglia di Midway sono ben curate (soprattutto nella versione inglese).

10Non è una pura fantasia, questa possibilità viene discussa seriamente in ambito giuridico. Lo stesso Presidente Mattarella, pochi anni fa, visitando un istituto di ricerca sulle tecnologie avanzate, accennò al fatto che c’erano in atto riflessioni sulla possibilità di attribuire a queste macchine una personalità giuridica (notizia del telegiornale del tempo).

11Un luogo nel quale esperimenti sociali in questa direzione sono molto avanzati è la Cina, che tenta di semplificare anche con questi mezzi i problemi legati al governo di una Nazione immensa (quasi un continente) per i quali il semplice uso della forza potrebbe non bastare.

12Alan G Fraser, Frank D Dunstan, On the impossibility of being expert, The British Medical Journal 2010, URL https://www.bmj.com/content/341/bmj.c6815 .

13PubMed è un servizio gratuito di ricerca online riferito a pubblicazioni di contenuto biomedico (si veda in proposito la pagina Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/PubMed). Secondo una rapida ricerca su Internet oggi le sue citazioni sono più di 35 milioni.

14Quando, da giovane, studiavo nel mio primo percorso universitario (primissimi Anni ‘70 del Novecento), si calcolava che le pubblicazioni scientifiche raddoppiassero ogni 5 anni