Una grande serata al Magna Graecia JazzFest rassegna del Circuito Peperoncino Jazz Festival inserita nel cartellone di #sibarinprogress, lo spettacolo della cultura organizzato dal Parco Archeologico di Sibari quella che ha visto Paolo Fresu insieme al pianista cubano Omar Sosa, un duo di livello internazionale che ha appena pubblicato l’ultimo capitolo di una trilogia dal titolo FOOD. Lo abbiamo raggiunto per parlare con lui di musica, cibo e Calabria.
Food è il nuovo disco che chiude una trilogia. Come nasce questo lavoro?
Nasce da una esperienza pluriennale di lavoro con Omar Sosa. Il primo disco si chiamava Alma ed era semplicemente il risultato di concerti che facevamo insieme. Non c’era dietro quel disco un progetto. Il secondo disco era già un disco maturo, aveva già un tema e si chiamava Eros. Da lì è nata l’idea di un terzo disco, dove il tema era quella del cibo, perché siamo tutti appassionati di cibo, essendo poi sempre in viaggio è uno dei piaceri della nostra vita. È un tema anche molto importante sotto il profilo politico, il tema del cibo, insieme a quello dell’ambiente. E quindi volevamo fare un disco che includesse in senso del piacere e del gusto e una riflessione su uno di uno dei temi fondamentali di questo momento storico. Prima di andare in studio abbiamo passato il nostro tempo nelle varie tournée, a registrare i suoni, diciamo del cibo, vale a dire i suoni dei ristoranti, dal tintinnio dei bicchieri all’olio che frigge, oppure il rumore delle braci che cuociono ed i suoni delle cantine. Poi abbiamo avuto vari ospiti in studio con noi, fra cui Cristiano De Andrè che ha cantato A Cimma, scritta da suo padre.
Il disco risente di forti contaminazioni oltre il jazz. Credo che sia questa la linea che la musica sta prendendo negli ultimi vent’anni?
Io non saprei addirittura se sia il caso di chiamare questo un disco di jazz, ma probabilmente, come dire, non mi porrei la questione, nel senso che non è un disco di jazz tradizionale. La musica che facciamo è fortemente contaminata, perché Omar lui viene da Cuba, dove c’è una tradizione musicale molto ricca. C’è l’Africa, c’è il Sud America, c’è la tradizione yoruba, c’è una spiritualità nella sua musica che deriva dal fatto che lui abbraccia una religione. Poi in particolare c’è la Sardegna che sta in mezzo al Mediterraneo, quindi c’è tutta la tradizione della musica popolare. C’è un jazzista, diciamo più o meno vero, che sono io. Tutti questi elementi fan sì che sia un disco fortemente contaminato, meticciato, dove noi, nel momento in cui siamo andati in studio, non ci siamo posti minimamente il problema del che cosa dovessimo suonare. Quello che è uscito è la musica che noi respiriamo ogni giorno che condividiamo sul palcoscenico, che è fatta di comunicazione, di gioco, di passioni, dove c’è la stessa curiosità e apertura che mettiamo nel cibo quando lo ingeriamo. Nel gusto del cibo.
Che rapporto c’è fra musica e cibo per lei?
Innanzitutto c’è una idea di curiosità che è fondamentale. La stessa curiosità, appunto, che sono delle nostre passioni negli ascolti musicali. E ci piace ascoltare le cose degli altri, quello che succede nel mondo e lo stesso accade col cibo. Questo significa curiosità, significa apertura, significa stretta di mano, significa voglia di comprendere.
Se pensa alla Calabria che jazz le viene in mente?
Io sono cresciuto negli anni 80, nel 1983 ero già presente al festival di Roccella Ionica e insieme a Paolo Damiani, Gianluigi Trovesi e altri facemmo addirittura un libro che trattava il tema della musica popolare, quindi conosco un po’ la musica popolare della Calabria grazie a queste collaborazioni di quegli anni. Parliamo di circa 40 anni fa quando il tema delle musiche popolari e del meticciato si cominciava ad affrontare. Prima il jazz era principalmente la musica afroamericana e poi ci si è resi conto che c’erano delle musiche anche nel nostro paese con delle radici forti che potevano essere innestate nel jazz. Per cui diciamo che ho avuto la fortuna in quegli anni di collaborare con progetti e con musicisti che iniziavano ad occuparsi di musica tradizionale e quindi per me la Calabria è quella, quell’idea di meticcio, di un lembo di terra dell’Italia che è completamente dentro il Mediterraneo, che comunque è sempre molto ricco.
Un ringraziamento particolare a Sergio Gimigliano e Francesca Panebianco per portare avanti la bellissima avventura del Peperoncino Jazz Festival