.. so di un paese vertiginoso dove la lotteria è parte principale della realtà…
Scrivo ancora di Borges.
Ci siamo lasciati con “Il labirinto dei sogni” (il Caos Management n. 150 Mar 27.2024 ) scrivendo… “Ma se il labirinto è il mondo… i sogni sono la via d’uscita?”; ci ritroviamo con la “La lotteria di Babilonia” … il “caso” come altra metafora letteraria, dopo il sogno e il labirinto… e se questa allegoria fosse, apparentemente, solo un incubo? O meglio, in realtà, la forma imperfetta della casualità, della nostra vita affidata alla interpolazione del caso? Satura di eventi fortunati o avversi.
Insomma, una “stanza di compensazione” delle eterne vicende umane?
Intanto veniamo alla complessità simbolica del “luogo”: Babilonia era la città più importante dell’antica Mesopotamia, sorgeva sulle rive dell’Eufrate, territorio oggi occupato dall’Iraq e non lontana dall’odierna Bagdad. Etimologicamente deriva dal sumero Kandingira che vuol dire “la porta di Dio”. Città grande, popolosa e bella, sede della biblica e mitica Torre di Babele. Restano, oggi, solo rovine di quello che fu un tempo anche “luogo di perdizione e ignominia”, paese dove regnavano splendori ma anche disordine, tumulto e gran confusione.
Questo ci avvicina al testo in questione del grande poeta, che cerca sempre nelle sue opere vorticose coincidenze, traiettorie improbabili, verità oscure e non cercate.
In effetti, non può esserci differenza tra lo splendore, le miserie e il disordine di una città rispetto al suo popolo, che aderirà, senza alcun timore anzi sedotto, a “questa varietà quasi atroce di una istituzione imperfetta e segreta che altri popoli ignorano” : appunto, La lotteria.
Paese indecifrabile dove “la lotteria è parte principale della realtà”.
Ma come viene al mondo la lotteria a Babilonia?
Nasce come un gioco “plebeo” ed elementare: i barbieri davano in cambio di monete di rame “rettangoli di pergamena ornati di simboli”, il sorteggio avveniva di giorno e i “favoriti” (senz’altra convalida del caso) ricevevano monete d’argento coniate.
Scrive Borges, che naturalmente queste “lotterie” fallirono in quanto “la loro virtù morale era nulla” perché “non si rivolgevano a tutte le facoltà dell’uomo” ma solo alla sua speranza.
Qualcuno tentò una riforma: “l’interpolazione di poche sorti avverse tra il numero di quelle favorevoli”. Tutto ciò inserì nel gioco assieme alla speranza un moderato e attraente rischio, e ciò risvegliò, com’è naturale, l’interesse del pubblico. Si poteva riscuotere un premio o allo stesso tempo pagare una ingente multa. I babilonesi si dettero in massa a questo gioco perché “chi non acquistava sorti era considerato un pusillanime, un dappoco. Da questo punto in poi gli “affaristi” che avevano introdotto la lotteria si riunirono in una Compagnia che organizzava la lotteria e vegliava sulle sorti dei vincenti e perdenti. Il problema era che spesso nelle casse della Compagnia non c’erano abbastanza denari per premiare i vincenti, in quanto i perdenti non pagavano (e a volte non potendo) le multe, e con ciò la lotteria divenne da gioco e azzardo, giudizio e punizione col carcere, scelto più frequentemente, per defraudare la stessa Compagnia. Afferma ancora Borges, che da “questa bravata di alcuni nacque l’onnipotenza della Compagnia, il suo valore ecclesiastico e metafisico, basato su virtù morali non più lineari e quanto meno ambigue e contraddittorie. Col tempo la lista delle multe venne sostituita dai giorni di prigione relativi a numero avverso e fu la prima apparizione nella lotteria di elementi non pecuniari. Qualcuno si chiese se fosse logico e simmetrico il rapporto tra vincita e monete in premio e se vincere potesse significare anche decidere sulla sorte di qualcun altro. Le vicissitudini del terrore e della speranza vennero estese a tutti, poveri e ricchi, e alcuni non compresero “che si trattava di un ordine nuovo… di una necessaria tappa storica”. Si poteva vincere la mutilazione di un avversario così come un numero perdente significava perdere la propria vita. Ma c’è di più, il popolo ottenne il trasferimento alla Compagnia di tutti i poteri pubblici, perché la lotteria comprendeva la vastità e complessità di tutte le sue operazioni. Furono cambiate anche le regole del gioco, la lotteria divenne universale, segreta e gratuita, e ogni uomo libero “partecipava ai sacri sorteggi”, anche a sua insaputa. Le giocate si facevano nei labirinti della città, e “le conseguenze erano incalcolabili”; una giocata fortunata poteva bastare per entrare nel concilio dei maghi della Compagnia o mandare in prigione un nemico, o incontrare, nella calma oscurità della propria stanza, “la donna che comincia ad inquietarci e che non speriamo di rivedere”. Una giocata avversa poteva significare una mutilazione, l’infamia o la morte. In taluni casi la Compagnia doveva interpolare una molteplicità di desideri o paure umane e farli coincidere con la combinazione delle giocate, e a questo corroboravano astuzie, suggestioni e magie dei maghi della Compagnia.
Dunque, a questo punto, non si può non citare letteralmente l’autore, secondo il quale “la lotteria è una interpolazione del caso nell’ordine del mondo” per cui “accettare errori non è contraddire il caso, ma corroborarlo. Si poteva così tentare una teoria generale dei giochi e “investigare le sue leggi labirintiche”. Da qui una sostanziale riforma, per la quale il caso non determina solo l’evento, buono o cattivo che sia, ma anche i tempi e le circostanze del fatto. A questo punto il numero dei sorteggi è infinito, nessuna decisione è finale, tutte si ramificano in altre. Si hanno così sorteggi impersonali, di proposito indefiniti; per esempio “l’acquirente d’una dozzina di anfore di vino non si meraviglia se una di esse contiene un talismano o una vipera… così come lo scrivano che redige un contratto non lascia quasi mai di introdurvi qualche dato erroneo”… io stesso (Borges) in questa affrettata esposizione ho falsato qualche splendore, qualche atrocità… gli stessi storici hanno inventato un metodo per correggere il caso o qualche misteriosa monotonia. Le conseguenze, a volte, sono tremende. Un accadimento può essere la conseguenza di un sorteggio di ieri o d’un sorteggio di un secolo fa, l’evento che ci favorisce non sembra avere una causa nota mentre l’evento avverso non ha, a maggior ragione, una giustificazione.
Molti, infine, si sono interrogati, nel tempo, sull’esistenza stessa della Compagnia, il cui funzionamento silenzioso è comparabile a quello di Dio. Altri, sono convinti che la Compagnia ha cessato di esistere. Un’altra versione è che la Compagnia non è mai esistita e mai esisterà. Un’ultima ipotesi non discute più dell’esistenza o meno della tenebrosa lotteria in quanto Babilonia, essa stessa, non è che un infinito gioco d’azzardo.
Avendo spesso scritto di Borges (ma anche di Kafka, la cui metafora è la distanza dalla “legge” cui tutti dovrebbero accedere) sento il dovere di giustificare questo mio interesse per la letteratura “alta” a partire dai miei interessi personali, prima che professionali, su management e organizzazione, di cui pure ho scritto molto in questa illuminata vetrina intellettuale. Se il sogno, il labirinto e il caso sono i temi di queste scritture, essi corrispondono sul piano dell’impresa, dei mercati e della strategia rispettivamente alla creazione imprenditoriale (Schumpeter), alla globalizzazione economica (neoliberismo) e alla “navigazione a vista” (la sola possibile nell’ambiente economico turbolento). Anche sul piano personale non possiamo negare che il “sogno” spesso precede la realtà, che il “labirinto” è un sintomo di smarrimento e che le “regole del caso” hanno sempre l’ultima parola nella nostra vita.