Il tempo ritaglia (in secondi, minuti, ore, giorni) il flusso continuo della realtà che viene, però, spezzettato drasticamente quando subiamo un trauma 1
“Trauma” in Greco è “ferita”; nelle lingue moderne, oltre ai danni fisici, indica risposte emotive a stress singoli o ripetuti più intensi del normale e ardui da sopportare. È una forma di intelligenza che ci protegge.
Un trauma, se non siamo riusciti a integrarlo, ci estranea dal presente: una parte di noi resta nel passato e vediamo il mondo attraverso un ritardo temporale cumulativo.
Il trauma influenza la memoria esplicita: quella semantica (nomi, luoghi) e quella episodica (cosa è successo, a chi, dove, perché e come). Influenza anche la memoria implicita, emotiva. In conseguenza possono essere disturbati i normali processi di registrazione mentale che funziona, quindi, in modi frammentari e disorganizzati.
Gli stimoli esterni causano risposte neurochimiche, cioè sequenze di eventi molecolari che modificano lo stato delle sinapsi nervose, ne creano di nuove e attivano l’espressione di geni e la sintesi di nuove proteine. Anche in situazioni normali, vengono eliminate informazioni non necessarie e vengono aggiunte nuove informazioni a ogni pacchetto temporale; l’esperienza soggettiva include il riconoscimento di configurazioni, sentimenti, emozioni e pensieri.
Tutti questi elementi producono tracce nella memoria a breve termine in una scala temporale di decine di secondi organizzata dai neuroni dell’ippocampo utilizzati anche per la registrazione delle percezioni spaziali oltre che temporali. Queste ultime implicano anche altre regioni cerebrali preposte a consolidare esperienze e informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine coinvolgendo i vari strati della neocorteccia cerebrale che include circa il 90 percento della superficie del cervello umano.
Le memorie, inoltre, sono “plastiche”, cioè possono essere modulate o modificate da nuove informazioni o da esperienze, anche traumatiche, in tempi successivi agli eventi originali. In presenza di un trauma i processi descritti possono essere alterati nel senso che immagini, relazioni e sequenze di dati vengono ritenute nella mente in modo incompleto o secondo scale di tempi del tutto diverse da quelle originali.
Si parla, quindi, di disturbi da stress post-traumatico (in inglese PTSD – Post-Traumatic Stress Disorder). Gli stress sono causati da incidenti, situazioni personali difficili, stupri, ferite, malori e da gravi rischi corsi. Fra questi, l’essere bersagliati dal fuoco nemico.
Si parlava di “shell shock” (shock da granata o nevrosi di guerra) nella Prima Guerra mondiale. Dapprima chi ne era affetto fu accusato di codardia e talora fucilato; nell’esercito tedesco i militari stressati venivano puniti e talora sottoposti a “cure” pesanti e inefficaci come l’elettroshock.
Scoraggiare o punire la discussione dei traumi di guerra priva di supporto le persone colpite e può aggravare lo stato e le sofferenze di chi ne sia affetto, che nei primi anni del secolo scorso veniva anche chiamato “scemo di guerra”.
I sintomi presentati (oltre a distorsioni delle date che vengono alterate e imperniate sui fatti drammatici più rilevanti e decisivi) sono: insonnia, incubi, memorie intrusive, flashback che convincono il paziente di essere tornato indietro nel tempo producendo reazioni fisiche intense come attacchi di panico scatenati da stimoli che rievocano il trauma originale e la sensazione di essere tenuti in ostaggio dal proprio sistema nervoso.
Per rimediare a questi disturbi si ricorre a esercizi di focalizzazione della vista (ancora in fase di sperimentazione) e a una terapia cognitiva- comportamentale. Con questa, elaborata da D. Meichenbaum e A.Beck, il terapeuta evidenzia al paziente i suoi pensieri negativi, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattativi aiutandolo a eliminarli. Ciò viene fatto con un approccio sperimentale riflettendo sull’evidenza empirica con tecniche analoghe a quelle delle scienze naturali. Il paziente è indotto a vedere sé stesso in modo positivo, impara a risolvere problemi, a prendere decisioni e a ristrutturare le sue conoscenze.
Solo nei casi più gravi si ricorre all’aiuto di psicofarmaci.
(1) L’orologio, 14 novembre 2024