Politici, giornalisti, opinionisti anziché denunciare le crisi ormai già consumate da molte aziende che operano in Italia chiedetevi perché tali aziende sono andate in crisi ovvero perché molte di esse (quasi tutte in realtà) appartenenti spesso a gruppi transnazionali o multinazionali hanno deciso di spostare la produzione in altri paesi europei e non.
Se non vi fate queste domande e non trovate le risposte il vostro impegno di denuncia resta solo cronaca, peraltro non costruttiva. Purtroppo le risposte sono note ma non ne parla nessuno, né i politici, poco i giornalisti, gli opinionisti ed i sindacati.
Seppur note vorrei provare a mettere in fila i principali obiettivi di un qualsiasi imprenditore (partendo dall’abc) e le principali cause che hanno determinato e determinano crisi e abbandono dei siti produttivi italiani a favore di siti posti in altri paesi.
1) l’obiettivo di qualsiasi imprenditore è quello di esercitare l’attività d’impresa, organizzando i vari fattori produttivi, al fine di trarne un profitto.
2) le principali cause che hanno determinato e determinano crisi e, o, spostamento di siti produttivi all’estero principalmente sono:
- costo dell’energia,
- costo del lavoro,
- lentezza, incertezza e costi della giustizia,
- carenza infrastrutture,
- rigidità,
- complessità della normativa in generale,
- complessità e lentezza autorizzazioni,
- complessità e costi amministrativi,
- eccessiva burocrazia,
- eccessiva parcellizzazione e costi delle varie imposte,
- produttività.
E’ certamente un elenco approssimativo e per difetto, ne avrò dimenticato qualcuna ma credo siano sufficienti per capire che è molto difficile fare impresa in questo contesto per trarne un giusto profitto.
E qui nasce il problema della competitività del nostro Sistema Paese. Problema vecchio beninteso, non nuovo agli italiani ma se siamo qui a parlarne è perché non è mai stato seriamente affrontato e tantomeno risolto dai numerosi governi di centro destra e di centro sinistra che si sono succeduti negli ultimi decenni (in particolare negli ultimi 25 anni ovvero da quando siamo entrati nell’Unione Monetaria Europea ed abbiamo adottato l’euro perché nei precedenti 55 anni il problema della competitività del Sistema Paese è sempre stato affrontato e risolto con le svalutazioni della nostra moneta).
E purtroppo in questi stessi decenni di totale assenza della politica in tal senso sono invece accaduti dei fatti seri ed importanti nel nostro Paese e continuano ad accadere. In questi decenni sono accadute sostanzialmente 3 cose:
1) l’acquisizione di banche, assicurazioni, aziende produttive di vari settori, aziende della grande distribuzione, industrie da parte di aziende straniere;
2) fallimento di molte aziende di vari settori merceologici;
3) spostamento in altri Paesi di siti produttivi italiani.
Ecco dunque che se non affrontiamo alla fonte le cause che hanno determinato questo assisteremo sempre più alla deindustrializzazione del Paese e all’impoverimento collettivo.
Stellantis, Ilva, Embraco, La Perla, Marelli, Natuzzi sono soltanto la punta dell’iceberg. I tavoli di crisi aperti o in monitoraggio presso il Mimint sono decine e decine e vi è da considerare che arrivano al Ministero solo le aziende più grandi e, o, più note. Più di 700.000 sono le aziende che hanno chiuso nel 2021 e nel 2022.
Allora acclarati (se mai ce ne fosse stato bisogno) gli obiettivi dell’imprenditore e le cause principali delle crisi la domanda che dovrebbe porsi qualsiasi governo è la seguente: Cosa posso fare per rendere più competitivo il Sistema Paese in modo che diventi conveniente per gli investitori fare impresa in Italia?
Questa è l’unica e sola domanda che dovrebbe farsi chi governa e quindi agire di conseguenza se si vuole sviluppare il Paese, far crescere il Pil, l’occupazione, i salari, pagare le pensioni, etc..
E’ molto semplice, non c’è nulla di complicato o di occulto ed è perfettamente inutile continuare a rincorrere gli imprenditori che minacciano di abbandonare l’Italia offrendo loro sussidi ad hoc, cassa integrazione, partecipazioni dello Stato nel capitale, etc. (i casi Alitalia e Ilva dovrebbero averci insegnato qualcosa). Eppure si continua su questa strada. Si interviene cioè solo in termini di Pronto Soccorso con il risultato che, spesso, il paziente nonostante la rianimazione muore.
Per rendere competitivo il Sistema Paese nel suo insieme, per far si che capitali italiani piuttosto che stranieri tornino ad investire nel nostro Paese occorre che, nell’insieme, le condizioni siano competitive.
Tanto per fare un esempio se il costo dell’energia in Italia è superiore del 30 percento a quello medio europeo ed ancora di più se ci confrontiamo con altri Paesi (Usa o Giappone) è ovvio che nessun imprenditore prenderà seriamente in considerazione di investire in una attività energivora in Italia.
Se un appalto pubblico tra avviso, presentazione progetti, gara, assegnazione, permessi, autorizzazioni, prefinanziamenti e finanziamenti dura anni, se non decenni per arresti vari dovuti alle varie amministrazioni che hanno il potere di bloccare ora questa, ora quella attività è altrettanto chiaro che un investitore o non vi partecipa (infatti molti bandi pubblici nel recente passato sono andati deserti) o rischia seriamente una crisi finanziaria.
Se per risolvere una controversia giudiziaria (commerciale, contrattuale, del lavoro, etc.) tra primo, secondo e terzo grado di giudizio trascorrono anni è altrettanto plausibile che ove possibile l’imprenditore privilegerà Paesi ove il sistema giudiziario fornisca tempi e modalità più certe e più celeri.
Sono molti lustri che nei programmi di tutti i partiti e governi che si sono succeduti c’era una parolina magica ”semplificazione”. Ebbene a distanza di molti anni siamo ancora al punto che per fare una Carta d’identità elettronica occorrono sei mesi solo per prendere un appuntamento.
Insomma i tempi con i quali si muove la pubblica amministrazione in tutte le sue componenti è straordinariamente lento rispetto alle esigenze dei cittadini e delle imprese (ma questa lentezza non riguarda solo la pubblica amministrazione: esistono cantieri a Roma di Acea, Italgas, Tlc, iniziati prima della pandemia ed ancora aperti con strade transennate da 5 anni).
Potrei continuare ma mi fermo qui per dire che il problema della competitività del nostro Paese è serio, complesso, e che occorre una profonda opera di revisione di normative, procedure e costi primari per poterlo risolvere e tanto per non annoverarmi tra i cronisti di sola denuncia, in attesa delle grandi riforme di cui abbiamo bisogno (e non perché ce lo chiede l’Europa ma perché servono al nostro Paese per ritrovare la sua competitività) ritengo nel frattempo prioritario:
1) Ridurre subito il costo dell’energia elettrica per le imprese e per i cittadini in generale (come pensano di vendere le auto elettriche quando oltre al proibitivo costo di acquisto per un pieno di energia si spende più che per un pieno di carburante?).
2) Abbattere drasticamente e per tutti (lavoratori e pensionati) il costo del lavoro a carico delle imprese e dei lavoratori.
3) Abbattere i tempi della giustizia imponendo un tempo certo per la definizione delle controversie.
4) Fornire tempi certi tramite l’apertura degli sportelli unici per tutte le incombenze legate all’apertura di nuove imprese (es. 60gg per tutti i permessi ed autorizzazioni).
5) Snellire, anche in questo caso con l’apertura di sportelli amministrativi dedicati, tutte le incombenze amministrative ordinarie a carico delle imprese.
6) Agevolare, attraverso procedure dedicate, il rapporto ed i contenziosi con l’agenzia delle entrate.
7) Aumentare drasticamente la produttività individuale e aziendale con profonde revisioni di carattere organizzativo.
E non ci si chieda dove si trovano le risorse perché è un falso problema. Quando si è trattato di fare quota 100, oppure il superbonus, oppure di inviare armi all’Ucraina, oppure di spendere fino al 2% del pil in spesa militare le risorse si sono trovate, si trovano e si troveranno.
Le risorse sono un bene scarso per natura ed il loro reperimento dipende solo dalle priorità che si attribuiscono alle varie spese. Questo è chiamato a fare la politica, a torto o a ragione, stabilire le priorità e se quella di rendere più competitivo il nostro Paese non vi sembra una priorità allora rassegniamoci al nostro impoverimento (che, beninteso, va avanti ormai da 25 anni) ed alla mediocrità della politica.
Qualcosa si sta muovendo in tal senso ma è ancora troppo poco rispetto alle esigenze ed ai tempi che abbiamo a disposizione. Occorre uno scatto in avanti.
Recentemente Draghi ha presentato il suo rapporto sulla competitività dell’Unione Europea. Mi auguro che il suo report e le sue proposte siano non solo condivise da tutti i Paesi dell’Unione Europea ma che esso possa fare da acceleratore nazionale ed europeo.
Non c’è più tempo da perdere!