Ho appena compiuto 75 anni e ho passato gran parte della mia vita dedicandola (sia pure da una posizione di nessuna rilevanza istituzionale) a promuovere e sviluppare il progresso dell’umanità. Il mio lavoro di insegnante prima, e di consulente e formatore dopo, non sono mai stati dei semplici modi per guadagnarsi da vivere; dietro c’era sempre l’idea di aiutare, di sostenere, di contribuire a far evolvere in positivo la massa degli esseri umani, che intendevo come complessivamente desiderosa di progredire ma ostacolata, in questo, da fattori esterni (i regimi politici, i contesti sociali, le condizioni economiche e così via).
Da poco tempo ho cominciato a pensare che, forse, il genere umano non merita di essere salvato. Perché è troppo stupido.
1. Un punto di vista personale
Non sono certo il primo che affronta il tema della stupidità umana. Non sono un esperto ma ritengo almeno molto probabile che se ne siano occupati i filosofi, e ripetutamente in varie epoche storiche. È noto un proverbio, proveniente dall’antica Grecia, che dice che
«contro la stupidità umana neanche gli Dei possono nulla».
Recente è il pamphlet di Carlo Maria Cipolla che espone, tra il serio e il faceto, “Le leggi fondamentali della stupidità umana” [1] . Mi è capitato tra le mani un libro, degli inizi del Terzo millennio, intitolato “Alla ricerca della stupidità” [2]. Riguarda certe catastrofi connesse alle nuove tecnologie informatiche ma il titolo italiano è fuorviante; quello originale non riguarda le tecnologie avanzate dal punto di vista tecnico [3] ma il loro marketing (non a caso, forse, l’autore è un tecnico, un programmatore, e si vede in contrapposizione con le divisioni marketing delle aziende). In ogni caso sempre di stupidità si tratta, comunque e ovunque questa sia applicata. Nella Premessa di Joel Spolsky si legge che anche il successo di Microsoft nel settore (“Il mercato del software è Microsoft”, pag. viii) viene ricondotto a questo parametro perché secondo l’autore del libro
«Microsoft è l’unica azienda a non aver mai commesso stupidi errori fatali» (pag. ix).
A fronte di tutto questo, però, io ho alle spalle una formazione scientifica; in realtà tecnica e scientifica ma più scientifica che tecnica, e da quasi 20 anni sto dedicando una buona parte del mio tempo alla ricerca. Il centro dell’interesse è sempre lo stesso, cioè l’essere umano, ma traguardato da un punto di vista scientifico e usando gli strumenti della scienza. Quindi mi sono detto che lasciare il discorso a questo punto, solo sulla base di una delusione vissuta a livello personale, non era da me; così vorrei provare, qui, ad affrontare il tema della stupidità umana su un piano, per quanto possibile, scientifico.
Ma partiamo dalla delusione, dai suoi “perché”. Quando ero molto giovane davo per scontato che ci fossero fenomeni storici e sociali ormai scomparsi, consegnati alla storia: la pirateria (i “pirati” nel mio immaginario erano i corsari di Salgari, l’Olonese, il corsaro Verde, il corsaro Rosso…), la schiavitù (gli schiavi, sempre nel mio immaginario, erano associati agli antichi Egizi, o ai piantatori sette-ottocenteschi degli stati meridionali degli Stati Uniti d’America, ai Sudisti giustamente sconfitti dai Nordisti), e il caporalato (che doveva essere finito nel momento della nascita e dell’istituzionalizzazione dei sindacati). Comunque, oggi, pirateria, schiavitù e caporalato dovevano essere finiti; e invece non è stato così.
Ciò che mi dette la sveglia, sulla pirateria, furono, credo una trentina di anni fa, le notizie dalla Somalia con gli atti di pirateria che si consumavano in quel mare e con i successivi, numerosi episodi di dirottamento e sequestro criminale di navi mercantili; ma probabilmente ero stato io disattento, e la pirateria era rinata molto prima… o non era mai morta! E sulla schiavitù mi sono dovuto accorgere che l’avevamo in casa, con il trattamento da schiavi imposto agli immigrati irregolari; senza contare che anche il caporalato (probabilmente mai veramente finito) aveva avuto una nuova fioritura in connessione proprio con i movimenti migratori di questa epoca. E più di recente sono tornati di attualità altri fenomeni che consideravo consegnati al passato, uno per tutti: la guerra come strumento privilegiato per risolvere le controversie internazionali. Per me l’ultima guerra, la guerra giusta, era stata la Seconda guerra mondiale, nella quale le nazioni democratiche avevano sconfitto sul campo le potenze totalitarie a base fascista. Su questo si potrebbe argomentare che del campo degli Alleati faceva parte l’Unione Sovietica, che non era una nazione democratica; tuttavia non dobbiamo dimenticare che, prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra e dispiegassero il loro potenziale industriale, una nazione democratica (l’Inghilterra) aveva sostenuto da sola, per un anno, il peso degli attacchi dell’Asse. E parimenti non possiamo dimenticare che il fondamentale sforzo dell’U.R.S.S. fu sostenuto dai rifornimenti americani, il cui trasporto dette origine a una guerra nella guerra, la “guerra dei convogli”, che dovevano affrontare la rischiosissima traversata dei mari artici (sorvegliati dalla flotta tedesca) per arrivare al porto di Arkhangelsk, nel Mar Bianco, presso la Penisola di Kola. Torna in mente la frase di Gramsci:
«La storia insegna ma non ha scolari».
Rimane la questione del “perché”: perché la storia insegna ma non ha scolari? Perché l’unica specie dotata di pensiero razionale si comporta abitualmente in modo irrazionale? Ovvero: perché l’umanità è così (almeno apparentemente) stupida? Se non ci rassegniamo alla stupidità in se stessa come risposta (una semplice componente della variabilità umana) dobbiamo allargare la visuale: ma come “funziona” l’essere umano? Messa in questi termini, tutta la questione assume una dimensione diversa, che si presta ad essere affrontata in una prospettiva scientifica.
2. Esempi di umana stupidità
Prima di provare a dare una risposta credo che valga la pena di articolare un po’ più in dettaglio alcuni esempi di ciò che chiamiamo “stupidità” così come è riscontrabile nel comportamento umano. Possiamo trovarli ad ogni livello, dalla cultura popolare alla scienza, alla tecnica, al mondo delle imprese, a quello della finanza e fino ai livelli più alti del governo delle società. Qui procedo un po’ a caso, attingendo soprattutto a miei studi o ricordi personali; d’altra parte la casistica è così ampia che c’è solo l’imbarazzo della scelta.
2a * La cultura popolare
Cominciando dalla cultura popolare, un primo riferimento d’obbligo è al mondo delle fiabe; in particolare, qui in Italia, non possiamo non partire dalle Fiabe italiane raccolte da Italo Calvino [4] . Dico subito che non sono una buona fonte per una ricerca sulla stupidità; gli stupidi ci sono, ma quei racconti tendono a concentrarsi sull’ingegno e l’astuzia dei protagonisti i quali, per quanto a volte di provenienza popolare e misera, superano ostacoli e difficoltà raggiungendo i loro obiettivi. Devo dire anche che, nonostante il loro alto valore etnografico e di documento, letterariamente le trovo un po’ piatte nella spesso schematica e frettolosa esposizione dei personaggi e degli eventi.
Proviamo, allora, a rivolgerci a “fiabe” un po’ più sofisticate, prodotte da contesti culturali raffinati; per esempio Fedro [5] e il suo campionario di storie di animali. In una di esse c’è una cornacchia che, volendo diventare bella come il pavone, si attacca alcune delle sue penne sulla coda; naturalmente il gioco non regge nel contesto sociale della cornacchia, che ne paga le conseguenze. In un’altra c’è un corvo che, adulato da una volpe, lascia cadere dal becco un bel pezzo di formaggio per lisciarsi le penne (mentre il formaggio viene prontamente afferrato dalla volpe stessa). In un’altra ancora una rana, cercando di imitare un bue a livello di dimensioni, si gonfia fino a scoppiare. Insomma lo spacciarsi per ciò che non si è, la vanità e l’invidia (difetti umani con attinenza alla stupidità) sono stigmatizzati da Fedro il quale, non a caso, aveva finalità educative con le sue favole.
Saltando diversi secoli possiamo, poi, rivolgerci a un altro grande narratore: il Boccaccio [6] . Forse lo sciocco più famoso del Decamerone è Calandrino il quale, manipolato dai due personaggi astuti della novella (Bruno e Buffalmacco), crede a ogni cosa che gli viene detta, per quanto incredibile, e si lascia coinvolgere in azioni assurde come andare a cercare l’Elitropia (una pietra che, a detta dei due suoi amici burloni, rendeva invisibile chi se la metteva addosso) lungo il Mugnone e poi comportarsi da uomo invisibile dopo essersi convinto di averla trovata. Pochi altri secoli dopo, tra la seconda metà del Seicento e la seconda metà dell’Ottocento, troviamo alcuni famosi novellatori che portarono i racconti-fiaba a livello della vera letteratura. Perrault, per esempio [7] , il cui racconto “Pelle d’asino” rappresenta una variante della famosa La gallina dalle uova d’oro; qui la stupidità è rappresentata dall’avidità dei fortunati possessori delle bestie che sfornavano ricchezze i quali, per scoprire i presunti tesori che dovevano trovarsi al loro interno, uccidono le bestie stesse annullando automaticamente e inutilmente la fonte delle loro ricchezze. Poi Andersen [8] , che con la sua fiaba “I vestiti nuovi dell’imperatore” ha stigmatizzato la vanità più ancora di Fedro e l’ha sommamente messa in ridicolo. Questo tronfio Imperatore, che crede alle fandonie di due tessitori-sarti (in realtà due imbroglioni) che lo convincono ad indossare abiti presunti invisibili e così lo mandano a fare un giro celebrativo in mutande, è un’impareggiabile metafora della vanità, che di nuovo non è altro che un aspetto della stupidità umana.
Non conosco abbastanza la tradizione araba; so solo che, per esempio, le storie de “Le mille e una notte” hanno strutture completamente diverse dalle fiabe occidentali. Tanto meno conosco quella cinese e quella giapponese, per non parlare di altre tradizioni ancora meno celebri; tuttavia sono convinto che anche queste contengano favole con i loro personaggi “stupidi”. In ogni caso, in tutte queste storie, lo sciocco di turno è sempre un singolo individuo al quale, alla fine, ricadono addosso le conseguenze della propria stupidità mentre vengono individualmente ricompensati gli onesti intelligenti, i saggi, i modesti. Nel mondo delle favole per come lo conosco io, il complesso della società manca, le storie sono sempre di individui. Ma la stupidità si manifesta spesso anche a livello di massa, e con conseguenze che a volte possono suscitare solo ilarità ma che, in date circostanze, possono assurgere al livello della tragedia, e con dimensioni epocali. Per trovare esempi di questo tipo di stupidità dobbiamo abbandonare il mondo delle fiabe e rivolgerci alla storia.
2b * Stupidità a livello di massa: le guerre
Pare che la Prima guerra mondiale sia scoppiata per una specie di equivoco di massa. Testimoni oculari hanno raccontato come lo scoppio della guerra sia stato accompagnato da manifestazioni popolari di giubilo in tutte le nazioni belligeranti; insomma la guerra era, per molti se non per tutti, l’occasione di una specie di festa. C’era l’illusione che fosse il mezzo per risolvere i problemi economici (se non quelli sociali) dell’epoca corrente; c’era l’immaginario delle guerre ottocentesche che faceva da riferimento (piccoli eserciti di specialisti che si scontravano e chi veniva sconfitto nella prima battaglia seria “perdeva la guerra”); era diffusa l’idea che in 3 o 4 mesi sarebbe finita [9] . Nessuno (tanto meno i comandanti militari) si aspettava una guerra di oltre 4 anni [10], sanguinosa all’inverosimile, fonte di immani sofferenze per tutti; e la conseguenza che le carte geografiche d’Europa sarebbero state rivoluzionate. Inoltre con una ulteriore conseguenza a distanza (non molta, 20 anni) che fu la Seconda guerra mondiale [11].
Come è stato possibile che accadesse questo? Come si è manifestata la stupidità umana in questa specifica circostanza? Eventi così complessi non sono mai determinati da un solo fattore, bensì da molti; però un’idea possiamo farcela pensando alla situazione del tempo. Per esempio le Nazioni europee erano per la maggior parte industrializzate, ma nessuno si era fatto un’idea di cosa potesse voler dire applicare alla guerra i sistemi industriali di una nazione moderna. Per esempio il potere distruttivo delle nuove armi prodotte in quantità “industriali” (armi da fuoco semiautomatiche o automatiche, carri armati, navi corazzate, aerei), unito a una concezione relativamente nuova di “guerra totale” (che non solo coinvolgeva, ma che spesso prendeva di mira proprio i civili e la loro vita per aumentare le distruzioni e costringere il nemico alla resa); l’impreparazione dei comandi, che soffrono della tipica sindrome dei militari, cioè che sono sempre addestrati sulla guerra precedente e non su quella attuale; le relazioni sociali fondate sul principio di autorità, con i comandanti che esibivano un sostanziale disprezzo per gli esseri umani sottoposti al loro comando e per le loro vite [12] . Tutto questo avvenne nonostante ci fosse stata, quasi mezzo secolo prima, una specie di “prova generale” nella quale erano ben presenti tutti i segni di ciò che sarebbe accaduto: la Guerra civile americana. La lotta fra Nordisti e Sudisti aveva evidenziato il potere di una produzione industriale, sia pure dell’Ottocento, applicata alla guerra: eserciti di massa, innovazioni tecnologiche di grande importanza, inventiva strategica e tattica fecero strage tra gli americani. Forse non è noto che la Guerra civile americana fece, da sola, più morti di tutte le altre guerre americane messe insieme (compresa la guerra del Vietnam); la diffusione dei fucili a retrocarica e poi a ripetizione partì da lì; la nave corazzata fu inventata in quella circostanza, come il sommergibile; e vennero impiegati espedienti tattici innovativi basati su esplosivi moderni [13].
La cosa più paradossale, che sarebbe comica se non fosse tragica, è che alla Guerra civile americana parteciparono, come osservatori, militari europei che volevano vedere come si svolgeva la guerra per imparare qualcosa in merito. La domanda è: cosa osservarono, se 50 anni dopo i popoli che si apprestavano alla guerra lo fecero con la stesa ottusità, con la stessa cecità (con la stessa stupidità, mi viene da dire) di 50 anni prima? Se proviamo a rispondere a questa domanda potremo, forse, rispondere anche a un’altra, che ci avvicina a una risposta più scientifica al problema della stupidità umana: come si fa a trarre insegnamento da ciò che si vede? Il Colonnello Fremantle, delle Coldstream Guards inglesi, aveva accompagnato le truppe sudiste del Generale Lee nella Campagna di Gettysburg e alla fine della sua esperienza scrisse un libro [14]. Questo fu inizialmente un best-seller ma poi fu dimenticato finché, negli anni ‘60 del Novecento, non fu celebrato il centenario della Guerra civile. Probabilmente uno dei motivi per i quali il libro non servì a niente è che non riuscì a mettere in luce quegli elementi di novità di natura economica e sociale che influirono sugli eventi perché, pur avendoli davanti agli occhi, Fremantle non poteva capirli. Immagino che lui isolasse da ciò che vedeva gli aspetti più “militari” (era lì per quello) e non fosse in grado di capirne i dettagli, i retroscena e i risvolti. D’altronde, anche se lo avesse capito, non avrebbe trovato orecchie disponibili ad ascoltarlo perché anche i suoi lettori (militari in primis) erano vittime di una visione ristretta, conformista, sorda alle innovazioni. Non basta vedere per capire e far capire; filtriamo tutto con il nostro modo di essere e con la cultura che abbiamo, e scartiamo tutto ciò che devia dal rassicurante conosciuto.
E la storia si è ripetuta: una delle innovazioni introdotte nella Prima guerra mondiale fu il carro armato. Il tank fu inventato dagli inglesi i quali, diligentemente, scrissero anche i manuali relativi alle tattiche di questa arma; tali manuali non ebbero grande risonanza in patria, e furono negletti dalle Forze Armate inglesi. Chi li lesse con attenzione furono, invece, i militari tedeschi (poi nazisti) i quali fecero del carro armato la punta di diamante delle loro forze di sfondamento, cioè le panzerdivisionen (le divisioni corazzate), e colsero completamente di sorpresa le truppe francesi e inglesi, travolgendole e occupando la Francia in un mese e mezzo. Insomma, gli alti comandi pare non avessero imparato niente neanche dalla guerra. Però i popoli qualcosa l’avevano imparata, anche se purtroppo non a evitare la guerra: William Shirer [15] , allora inviato USA a Berlino, ha raccontato che la sera del primo giorno di guerra (1° settembre 1939) Berlino rimase silenziosa e nessuna manifestazione di giubilo, nello stile della guerra precedente, si registrò. Per amore di verità bisogna dire anche che, tuttavia, in questo particolare caso anche ai livelli geo-strategici avevano imparato qualcosa: uno dei motivi del fallimento della pace di Versailles (quella della Prima guerra mondiale) fu anche l’impostazione vendicativa o quasi dei trattati, che prevedevano risarcimenti che la Germania non avrebbe mai potuto pagare. La Seconda guerra mondiale, invece, si concluse con il Piano Marshall il quale (grazie alla potenza dell’economia americana) inondò l’Europa in macerie di aiuti e supporti di ogni tipo.
La guerra è una situazione estrema nella quale la stupidità umana si esprime al massimo, direi almeno al pari delle manifestazioni di inventiva e di genialità registrate in alcuni casi. E, soprattutto, con danni gravi, spesso irreparabili e con molta gente che muore (soprattutto gente totalmente innocente, nella maggior parte dei casi). Ma proporrei di metterla da parte, adesso, anche perché sul tema sono stai scritti interi libri; ne cito uno tra i tanti: “Il guinness dei fiaschi militari“, di Geoffrey Regan [16] . Questo libro racconta storie che hanno dell’incredibile, anche se sono vere; non si riesce a credere che ambienti nei quali si fanno scelte critiche su questioni vitali e potenzialmente molto costose anche in termini di vite umane, nei quali, dunque, dovrebbe dominare la razionalità assoluta siano, invece, soggetti alle pulsioni, alle emozioni, alle nevrosi (fino alla vera follia) di persone alle quali capita semplicemente di trovarsi in posti di comando. E molta gente ci rimette la pelle, per questo. Ma cambiamo scenario, avventuriamoci in nuove direzioni.
2c * Geo-strategie, cervelloni e stupidi fallimenti
Robert Strange McNamara (1916-2009) si laureò in Economia nel 1937 [17] e, dopo aver servito come ufficiale dell’aviazione durante la Seconda guerra mondiale, fu dirigente d’azienda (fino a diventare presidente della Ford), politico (Segretario alla difesa Usa 1961-1968) e banchiere (Presidente della World bank 1968-1981) statunitense. Al suo nome, come alle presidenze Kennedy e Johnson durante le quali tenne la carica di Segretario alla Difesa, è indissolubilmente legata la guerra del Viet Nam (1955- 1975). Un’altra guerra, dunque; però, in questo caso, non ci interessano gli aspetti militari ma quelli, per così dire, “geo-strategici”. Il mondo non era ancora globalizzato ma le grandi potenze (gli Stati Uniti d’America e l’Urss innanzitutto) disegnavano e attuavano le loro politiche su scala planetaria. La Guerra Fredda era in pieno corso; McNamara aveva ricavato dalla sua esperienza di militare grandi abilità nell’analisi dei dati [18] e, proprio nel contesto della Guerra Fredda, diffuse i suoi metodi applicandoli all’assunzione di decisioni strategiche. Questi metodi avevano dato origine a vere e proprie teorie sulle quali gli alti comandi basavano le loro decisioni; per esempio, nel caso del Viet Nam, il principio fondamentale che fu applicato è passato alla storia come “teoria del domino”. Secondo questa teoria, essendo l’avversario il comunismo (dunque l’Urss e, in secondo piano, la Repubblica Popolare Cinese), bisognava ad ogni costo impedire che si sviluppasse l’influenza di questi colossi sui Paesi vicini, per quanto piccoli, perché se ne cadeva anche solo uno poi sarebbero caduti tutti. Come nel domino, appunto, nel quale si possono creare, sul tavolo da gioco, situazioni nelle quali la caduta di una singola tessera fa cadere tutte le altre.
McNamara aveva dalla sua parte calcoli, basati su dati quantitativi, che sostenevano con forza le sue teorie; ma proprio su questo si appuntarono le successive critiche e si arrivò a parlare di McNamara fallacy (l’errore di McNamara). L’errore stava nel fatto che i dati quantitativi non coprono a sufficienza i diversi aspetti e le sfumature di una persona e di una situazione, per cui basare decisioni (e di livello geo-strategico) solo su quelli porta a commettere errori colossali… e altra gente innocente muore [19]. In una storia del Viet Nam che ho letto da giovane si notava una cosa: mentre gli americani avevano automaticamente associato il Viet Nam con la Cina (immagino sulla sola base della vicinanza geografica), Ho Chi Minh, per avere il supporto necessario a riunificare il Paese dopo la guerra, non si era rivolto in prima battuta a Pechino, ma proprio agli Usa. Per esempio pare che la Costituzione vietnamita sia stata scritta fondandola su quella americana e che i principi ispiratori del Nord Viet Nam fossero, almeno in origine, lontani dall’ideologia comunista. Forse, se McNamara e i cervelloni dei servizi segreti americani avessero cercato di capire cosa stava succedendo davvero, a livello qualitativo, nel Viet Nam, un’altra guerra sarebbe stata risparmiata all’umanità.
La controprova di questo si ebbe 20 anni dopo la guerra ed è documentata in un bel film-intervista allo stesso McNamara (diretto da Errol Morris, 2003): “The fog of war – La guerra secondo McNamara” [20]. Venti anni dopo la fine del conflitto si incontrarono due delegazioni, una americana (c’era McNamara) e una vietnamita; cito a memoria l’episodio e alcuni dettagli possono essermi sfuggiti ma la sostanza è questa: quando McNamara ripropose la teoria del domino come base per l’inizio della guerra uno dei delegati vietnamiti sbottò:
“Ma voi non avete capito [o ‘lei non ha capito’, rivolto a McNamara] proprio niente. I cinesi sono i nostri nemici storici, noi volevamo l’indipendenza, non il comunismo”.
Insomma: un’altra guerra sprecata, superflua, inutile.
2d * Scienziati, laboratori ed emozioni
Oltre ai due mondi che abbiamo già preso in considerazione (quello militare e quello delle decisioni geo- strategiche) ce n’è un altro che dovrebbe essere il regno del pensiero razionale e dell’oggettività: quello della scienza. Qui per “scienza” intendo la scienza moderna, quella sviluppata da Galileo (XVI-XVII secolo) perché prima, per esempio, non si faceva distinzione fra scienza e religione, fra osservazione dei fatti e credenze popolari. Ma con Galileo i fatti e le osservazioni prendono il primo posto, ogni affermazione e ogni posizione devono essere documentate e dimostrate, il metodo sperimentale diventa d’obbligo. Il pensiero razionale applicato alla Natura è l’unico approccio ammesso tra gli scienziati… almeno in apparenza.
Ma anche la comunità scientifica ha i suoi limiti, in particolare quello di essere fatta di esseri umani i quali, al suo interno, presentano una volta di più l’usuale campionario di difetti, cattive intenzioni e piccinerie, di “stupidità”, insomma, che abbiamo già trovato altrove. Elencare e trattare i difetti e i problemi dell’attuale mondo scientifico sarebbe impresa immane, quasi impossibile; nel mio personale archivio scientifico (digitale) c’è una sezione intitolata “Scienza modello in crisi” che ho creato nel 2014 e che cresce ogni anno di più; e ho già affrontato l’argomento in scritti precedenti, anche su “Il Caos Management” [21]. Ma, esattamente, di cosa parliamo?
Dato che anche la comunità scientifica è fatta di esseri umani, ci si trova di tutto: tradimenti, inganni, falsi, truffe, calunnie. Non ho avuto notizia, finora, di omicidi ma suicidi ce ne sono stati diversi, anche negli ultimi anni, connessi soprattutto a una pregressa falsificazione di dati ai fini di raggiungere la celebrità o fare carriera (clamoroso e assurto agli onori della cronaca è stato un caso relativo alle ricerche sulle cellule staminali). Se c’è di tutto, però, si trovano anche cose divertenti o positive; a parte risultati scientifici significativi trovati con fatica e duro lavoro, si registrano anche risvolti divertenti come alcune riuscite “beffe” in stile Boccaccio. Credo che una delle più famose sia quella nota come “Beffa di Sokal” [22]: Alain Sokal, professore di fisica alla New York University, nel 1999 testò il rigore di una rivista di filosofia post-modernista inviando un articolo del tutto privo di senso ma costruito con un linguaggio in linea con lo stile della rivista, con studiate frasi ad effetto e con ammiccamenti agli orientamenti politici della redazione. L’articolo fu pubblicato e Sokal svelò la beffa.
Ma il punto critico non sono tanto queste “punte” che spesso assurgono agli onori della cronaca ma qualcosa di meno evidente eppure più fondamentale: il punto critico sono gli abbagli dai quali, nel corso della loro vita e della loro carriera, non sono esenti nemmeno i grossi nomi della ricerca scientifica. Anche questi, messi di fronte a fatti devianti dalla loro esperienza e dalle idee che avevano messo a punto, alla fine hanno scelto (almeno temporaneamente) le loro idee invece dei fatti. Galileo no, si arrese solo all’azione brutale della Chiesa dell’epoca che gli minacciò il rogo. Ma, per esempio, verso la fine del XIX secolo si stava chiaramente aprendo una crepa fra la fisica tradizionale (definita “classica”) e una fisica più avanzata (che diventerà poi la fisica quantistica). Alcuni fisici si erano convinti che, ormai, il lavoro di ricerca in fisica fosse finito, che tutte le leggi fondamentali fossero state scoperte e che gli unici avanzamenti ulteriori da aspettarsi fossero calcoli sempre più precisi:
“le verità future della scienza fisica vanno cercate a livello della sesta cifra decimale” [23].
Nella maggior parte dei casi si associa questa frase al discorso che Lord Kelvin tenne nell’aprile del 1900 alla Royal Institution di Londra, discorso noto come “discorso delle due nubi” perché lo scienziato vi sosteneva che gli studi in fisica dovevano ancora risolvere due problemi fondamentali (le due “nubi” all’orizzonte), ma nel quale non c’è alcun accenno alla fine degli studi in fisica (in realtà le “nubi” erano argomenti molto tecnici) [24]. Insomma, come evidenzia bene il lavoro di Passon (v. nota 24), anche nel mondo della scienza nascono, si propagano e si dilatano leggende metropolitane infondate. Sono passati ormai 40 anni e più dall’inizio delle attribuzioni di tali affermazioni a Kelvin, come mai lo strisciante falso (presumo in buona fede, non c’erano interessi di alcun genere, dietro) non è stato scoperto prima [25]? E, più in generale, qual è il ruolo e come funziona la comunità scientifica oggi?
È innegabile che, almeno in certi casi, la comunità scientifica funzioni da rallentatore, invece che da acceleratore, di innovazioni; sono innumerevoli i casi nei quali una scoperta, anche teoricamente importante, sia stata accolta tiepidamente, trattata con sufficienza a lungo e poi, alla fine, accettata dopo anni, magari quando l’autore o gli autori sono già morti. Il caso di Galileo Galilei e del sistema eliocentrico è stato il primo e credo sia ancora il più famoso; tanto per citare un caso recente possiamo richiamare la scoperta dell’Helicobacter pylori da parte dei ricercatori australiani Robin Warren e Barry Marshall. Questo batterio è responsabile del 90% delle ulcere duodenali e dell’80% di quelle gastriche [26]; tali patologie, che prima si trattavano con interventi chirurgici talora devastanti, oggi si curano con gli antibiotici (anche se di tipo un po’ sofisticato). La scoperta di Warren e Marshall è del 1982 ma il batterio era già stato scoperto quasi un secolo prima (1893, si veda ancora la Nota 26), solo che non se ne era intuito il ruolo fino alla scoperta dei due australiani. L’aspetto più interessante, per il nostro discorso, è che il lavoro dei due ricercatori non fu accolto bene; era diffusissima la convinzione che nello stomaco, essendo un ambiente reso fortemente acido dai succhi gastrici, nessun essere vivente potesse sopravvivere. Dunque ci fu, inizialmente, molto scetticismo; ci fu una specie di dialogo fra sordi tra Warren e Marshall da un lato e la comunità scientifica dall’altro. Non conosco i dettagli ma possiamo immaginare che fu qualcosa di questo tipo:
- W&M – Abbiamo trovato il batterio responsabile dell’ulcera gastrica!
- CS – Non è possibile! L’ambiente gastrico è troppo acido.
- W&M – Ma noi lo vediamo nei nostri microscopi…
- CS – Non è possibile, deve essere un artefatto degli strumenti o dei materiali impiegati… e via così.
Alla fine, nel 2005, 23 anni dopo la comunicazione della scoperta, gli autori ricevettero il Premio Nobel per la medicina. E questo non è il caso più eclatante; forse più eclatante ancora fu quello del Premio Nobel assegnato a Einstein. Il Nobel non fu assegnato a Einstein per ciò che potremmo immaginare, cioè per le sue teorie della relatività (prima la relatività ristretta e poi la relatività generale): l’argomento era difficile, le commissioni non lo capivano bene, erano anch’esse scettiche e, alla fine, come una sorta di compromesso, il Premio fu assegnato (con molto ritardo) per un lavoro sempre importante (sull’effetto fotoelettrico) ma di impatto assai minore rispetto alle sue nuove teorie.
Insomma: tutto il mondo è paese e sia nei campi che abbiamo trattato sia altrove l’essere umano appare sempre lo stesso. È preda delle proprie emozioni, spinto da interessi non sempre confessabili, caparbio e intestardito a difendere la propria posizione anche contro l’evidenza; insomma irrazionale al massimo. E ho messo intenzionalmente da parte altri campi (per esempio la politica) nei quali queste caratteristiche sono ulteriormente enfatizzate alimentate da ideologie, credenze infondate, egoismo e ottusità.
2e * La stupidità prossima ventura: il mondo digitale
Questo paragrafo sarà molto breve perché si riferisce a un fenomeno che è in atto ma, proprio in quanto è un processo in pieno corso, al momento non è ancora sufficientemente chiaro. Parlo dei tentativi di digitalizzare le società moderne. Non sappiamo quando e come l’attuale fase selvaggia si concluderà, però possiamo sottolinearne fin da ora una caratteristica: stiamo applicando (lo stiamo già facendo) in modo esteso, anche in settori critici e vitali (la sanità, la Pubblica Amministrazione, la Giustizia e molti altri), tecnologie che non conosciamo e, soprattutto, delle quali non siamo in grado di calcolare gli effetti a distanza (non solo nel lungo ma anche nel medio periodo, senza contare che alcuni effetti negativi di breve periodo stanno già diventando evidenti). E lo facciamo in modo assolutamente imprudente, sull’onda di un modello di sviluppo che non è tirato dalla domanda ma spinto dall’offerta, per cui il valore principale dell’oggi è quello di vendere, a tutti i costi, con qualsiasi mezzo, senza alcun rispetto per gli esseri umani.
Anche questo non è la prima volta che capita. La sindrome dell’apprendista stregone (cioè, in sintesi, impiegare sconsideratamente strumenti mal conosciuti trascurando le conseguenze del loro uso nel tempo) è diffusa e ricorrente negli umani. E’ già successo con l’energia atomica, tanto per fare un esempio; secondo me è quanto sta accadendo con la digitalizzazione. Ma questo è un altro discorso, affrontarlo richiederà un lavoro dedicato [27].
3 . Ma come “funziona” un essere umano?
Data la diffusione della “stupidità” in ogni ambito, anche quelli che si fregiano di essere intellettualmente più evoluti, pare dover concludere che questa è insita in ogni essere umano. E qui torna la domanda su come funziona l’essere umano, che ci eravamo posti alla fine del paragrafo 1; è ora che proviamo a rispondere.
L’analisi e la spiegazione del comportamento umano si effettuano da millenni e in ogni campo; prima filosofi e pensatori di ogni tipo, più di recente psicologi e psichiatri oltre a scuole di ogni genere sulla comunicazione interumana, sulla gestione delle relazioni interpersonali e sul comportamento in generale. Per citare un altro campo che non abbiamo esplorato in questo scritto possiamo far riferimento all’economia; per esempio si sono lungamente dibattuti modelli (ne sono stati ideati e proposti molti) atti a spiegare il comportamento degli esseri umani sui mercati. Quello più tradizionale, e forse quello più conosciuto, è noto come modello dell’homo oeconomicus, secondo il quale un essere umano che opera su un mercato si regola sempre in modo da massimizzare il proprio profitto. Il modello è stato in seguito abbandonato perché troppi erano i controesempi e le eccezioni che si incontravano.
Questo modello è uno dei tanti che derivano da un pregiudizio di fondo che sta dietro a ogni studio del comportamento umano: gli esseri umani costituiscono l’unica specie animale, la specie Homo sapiens, capace di pensiero razionale, dunque l’attesa è che, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, si comportino razionalmente (pregiudizio di razionalità). Oppure sono matti. Veramente sono oltre due millenni che, almeno da noi in Occidente, ci confrontiamo con la contraddizione che l’unica specie animale dotata di razionalità non si comporta, tipicamente, in modo razionale (tipicamente il rapporto è rovesciato: i comportamenti irrazionali sono la regola e quelli razionali le eccezioni). E non abbiamo ancora una risposta. La piccola associazione non–profit che dirigo [28] si è impegnata, negli ultimi 20 anni circa, a studiare il problema (il problema ci riguarda direttamente perché noi con il e sul comportamento umano ci lavoriamo). Abbiamo trovato stuoli di studiosi impegnati a studiare i processi cognitivi e decisionali degli esseri umani, in tutto il mondo e in tutte le discipline (dalla filosofia all’informatica, dalla fisica alla psicologia, dalla medicina alla sociologia); abbiamo fatto anche una ricerca su scala mondiale contattando a distanza oltre 1.000 studiosi, inviando questionari appositamente studiati e raccogliendo le risposte [29]. Abbiamo trovato una grande difformità di approcci e di riferimenti culturali e scientifici e una sostanziale mancanza di comunicazione tra i vari centri di ricerca, cosa che sembra piuttosto generalizzata nel settore. Non da questo specifico studio ma dalla ricognizione generale che abbiamo effettuato sulle innumerevoli scuole e linee di pensiero al momento attive siamo arrivati alla conclusione che il pregiudizio di razionalità è ancora vivo e vegeto; l’unico avanzamento che si è registrato nei secoli (e soprattutto nell’ultimo) è stata l’introduzione di correttivi alla razionalità di fondo sulla quale sarebbe comunque impostato l’essere umano. I correttivi sono essenzialmente le emozioni che, a seconda dei casi, sono viste come fattori “esterni” (quasi che il mondo emotivo fosse separato dall’organismo che vive le emozioni) o come parte integrante dell’individuo attraverso il corpo (teorie embodied).
Naturalmente i confini non sono netti e le differenze fra le singole scuole possono essere anche molto sottili; solo per farne una panoramica superficiale ci vorrebbero diversi libri. Tuttavia, alla fine, ciò che grossolanamente emerge è che l’essere umano sarebbe razionale ma ha questo intralcio del mondo emotivo che, in positivo o in negativo, gli impedisce di esserlo pienamente. Questa risposta presenta molte difficoltà quando confrontata con la realtà quotidiana dei comportamenti umani ma qui non possiamo dedicarci a una discussione critica del pensiero attuale sul comportamento; diciamo solo che non è soddisfacente e che la ricerca per una risposta più soddisfacente non può che continuare. Noi (l’Associazione, v. Nota 28) ci siamo impegnati a dare un nostro contributo e abbiamo trovato qualcosa che potrebbe portare a una risposta più soddisfacente. Abbiamo fatto una ricerca di sociologia sperimentale, basata su questionari presentati e spiegati in incontri faccia-a-faccia, e abbiamo cercato di rispondere alla domanda “come fanno gli esseri umani a interpretare ciò che leggono” (i questionari erano basati su messaggi realmente scambiati in un ambiente di lavoro e guidavano i partecipanti a rispondere su come interpretavano i messaggi che leggevano e su quali elementi era basata la loro interpretazione) [30].
L’analisi delle risposte (quasi tutte aperte) è stata faticosa ma ne è valsa la pena; ciò che abbiamo trovato e presentato nella pubblicazione originale (v. Nota 30) è stato sintetizzato e discusso in successive pubblicazioni e in alcune conferenze [31]. La sostanza è che un essere umano, quando interagisce con il mondo, non lo fa secondo lo schema tradizionale percepisco – elaboro (razionalmente) – rispondo
la prima cosa che avviene a fronte di uno stimolo, un segnale, un input di qualsiasi genere (e che può provenire dall’ambiente naturale come dall’ambiente sociale, le differenze fra fisiologia e psicologia in questo processo sfumano) è una reazione automatica a livello dell’intero organismo. Cioè la base del comportamento umano sono gli automatismi e l’entità che agisce nell’interazione non è il cervello ma è l’intero organismo, che si relaziona al contesto come un’unità integra [32] . Di fronte a un qualsiasi evento noi non ragioniamo, bensì reagiamo automaticamente con tutto noi stessi; il pensiero razionale viene dopo, e con modalità peculiari. Il modello che noi proponiamo
specifica che la prima elaborazione razionale avviene al terzo passaggio (e non al secondo come nel modello tradizionale) e si riferisce non allo stimolo iniziale, ma alla reazione automatica che abbiamo avuto. Cioè in prima battuta noi prendiamo coscienza non dell’accaduto in sé ma della nostra reazione all’accaduto; cioè tendiamo a razionalizzare un giudizio che, a livello di organismo, abbiamo già dato senza riflettere. Per questo gli esseri umani tendono a non pensare prima di agire, bensì tipicamente prima agiscono (re-agiscono) e poi pensano. Questa trappola (l’automatico partire da noi stessi, da come abbiamo reagito, e farne la base del nostro comportamento) non è soggetta alla nostra volontà ed è la fonte di ogni pregiudizio. Superarla è possibile ma, contrariamente alla prima reazione, non è automatica e non è facile: bisogna essere addestrati. Solo grazie all’addestramento è possibile effettuare il passaggio 4, cioè prendere un sufficiente distacco dalla situazione del momento, ritornare più a freddo sullo stimolo iniziale, analizzarlo (ora sì) razionalmente e costruire una risposta propriamente “pensata” alla situazione. A questo punto si pongono due questioni. La prima è come sia possibile che l’umanità sia dotata di un sistema di governo delle interazioni con l’ambiente. (naturale e sociale) così inefficiente; la seconda è cosa possiamo fare per diffondere a livello di massa la consapevolezza e le abilità necessarie a realizzare il passaggio 4.
Cominciando dalla prima questione, il problema è che il governo che gli umani hanno sulle loro interazioni con l’ambiente non è inefficiente ed è altamente stabile. Meglio: tale governo è inefficiente rispetto alle necessità del mondo attuale, ma è risultato altamente efficiente rispetto alle condizioni nelle quali la specie umana è nata e si è sviluppata. Noi non siamo stati messi a punto dall’evoluzione naturale per vivere in ambienti artificiali relativamente sofisticati come quelli attuali, bensì per sopravvivere in ambienti naturali ostili quali le savane africane che sono state la culla della nostra specie. In un ambiente naturale ostile la capacità fondamentale è la capacità di reazione veloce perché se non reagisci in modo abbastanza veloce sei morto; puoi morire ugualmente anche se sei veloce, ma la velocità aumenta le tue possibilità di sopravvivenza e la selezione naturale la premia. Dunque siamo, in realtà, molto efficienti, da un certo punto di vista; solo che, adesso, vivendo in ambienti ormai del tutto artificiali, la nostra struttura biologica è entrata in contraddizione con le nostre sovrastrutture culturali. Ora che ci servirebbero davvero modalità operative basate sul prima pensare e poi agire, siamo inchiodati a una struttura biologica che è fatta per (re)agire automaticamente prima di pensare. E questa struttura è molto stabile perché è stata costruita dalla Natura con i suoi tempi, cioè nei milioni di anni passati dal primo ominide conosciuto (il Sahelanthropus tchadensis, 7 milioni di anni fa) all’Homo sapiens (200.000-400.000 anni fa). Invece l’evoluzione culturale è stata velocissima: le innovazioni si sono susseguite a un ritmo molto lento per centinaia di migliaia di anni (dall’Età della pietra antica, cioè 2-4 milioni di anni fa) e hanno subito un’accelerazione circa 10.000 anni fa quando, con l’invenzione dell’agricoltura, le società di agricoltori sostituirono quelle di cacciatori raccoglitori e cominciarono a modificare l’ambiente in base alle proprie necessità. Ma il rovesciamento del rapporto con la Natura (dal doversi adattare all’ambiente naturale all’adattare l’ambiente alle proprie necessità, quindi costruire ambienti artificiali) ha lasciato intatta la nostra struttura biologica, che funziona ancora come all’Età della pietra. Questa contraddizione non è sanabile direttamente.
La seconda questione è teoricamente facile da risolvere: l’evoluzione culturale, e l’ormai stabilizzato dominio dell’umanità sulla Natura, hanno implicato lo sviluppo di poderosi sistemi sociali dedicati all’istruzione; da questi dovrebbe passare quell’addestramento atto a diffondere a livello di massa le abilità necessarie a gestire sistematicamente il passaggio 4 del processo di interazione con l’ambiente (ripeto: sia ambiente naturale che ambiente sociale). Il problema della crisi e del sostanziale inceppamento dei sistemi dedicati all’istruzione è forse il più grave problema che le società umane devono affrontare oggi, perché su di esso si giocano (e non credo di esagerare) le possibilità di sopravvivenza della specie umana. Una soluzione, ad oggi, non c’è, e va cercata.
4. Conclusioni
Una conclusione generale si impone sulla base di quanto detto:
L’ESSERE UMANO NON È STUPIDO, È PRIMITIVO.
La stupidità non ci avrebbe consentito di attraversare, a quanto si calcola (solo per l’Homo sapiens), dai 200.000 ai 400.000 anni di evoluzione, di sopravvivere a tutte la altre specie di ominidi che sono esistite e di prendere il potere su alcuni aspetti della Natura, potere che ora comincia a ritorcercisi contro fino al punto di mettere a rischio il nostro Pianeta. Più esattamente di mettere a rischio la nostra vita sul Pianeta, perché la Natura se ne infischia del nostro armeggiare e segue le sue leggi. La BBC, anni fa, realizzò una serie di trasmissioni su come sarebbe stato il mondo se all’improvviso, di punto in bianco, la specie umana fosse scomparsa dalla faccia della Terra; la conclusione alla quale arrivavano i filmati era che, sostanzialmente, non sarebbe accaduto niente. Dopo un secolo le tracce dell’umanità sarebbero state cancellate o private di ogni significato, compresi l’inquinamento, il riscaldamento climatico e via dicendo. Nell’arco di un secolo, che alla scala della Natura è un tempo brevissimo, infinitesimo, la Natura avrebbe continuato a seguire le sue leggi e ci avrebbe semplicemente dimenticati.
La contraddizione fra le nostre attuali necessità come specie e la nostra natura primitiva è un problema e ci mette in un bel paradosso: le nostre facoltà razionali sono l’unico strumento che abbiamo per salvarci, ma non sono il primo componente che entra in gioco quando interagiamo, perché prima viene la reazione automatica e molto pochi sono quelli addestrati alla consapevolezza e a gestire il passaggio 4 del modello. Tuttavia non abbiamo scelta: se quelle facoltà sono le uniche che possono salvarci, quelle dobbiamo usare, e presto. Altrimenti ci aspetta l’oblio pronosticato dalla BBC.
Note
[1] In Carlo Maria Cipolla, Allegro ma non troppo, Bologna, Il Mulino 1988, Pagine 45-87.
[2] Merril R. Chapman, Alla ricerca della stupidità – 20 anni di “disastri” hi-tech, Milano, Mondadori 2004.
[3] Il titolo originale è In search of stupidity: over 20 years of high-tech marketing disaster.
[4] Italo Calvino, Fiabe italiane. Ce ne sono moltissime edizioni; la prima è del 1956 presso Einaudi, Torino.
[5] Fedro è un personaggio storico poco conosciuto vissuto agli inizi dell’Impero Romano, tra Augusto e Tiberio (intorno all’inizio dell’Era cristiana). Probabilmente nato in Grecia, aveva scritto in latino e si era ispirato (in certi casi aveva anche semplicemente tradotto) all’ancora meno conosciuto (storicamente parlando) Esopo, scrittore greco del VI secolo Avanti Cristo.
[6] Siamo nel 1.300, più esattamente 1313-1375.
[7] Charles Perrault, francese, 1638-1703.
[8] Hans Christian Andersen, danese, 1805-1875.
[9] La guerra fu dichiarata il 28 luglio 1914 dall’Impero austro-ungarico alla Serbia; l’antefatto scatenante (l’attentato di Serajevo, nel quale lo studente bosniaco Gavrilo Princip, appartenene a un’organizzazione terroristica, aveva ucciso l’Arciduca austriaco Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia) era avvenuto il 28 giugno. Molti erano convinti in buona fede che a Natale i combattenti sarebbero stati tutti a casa.
[10] La fine della Prima guerra mondiale (1914-1918), scoppiata a fine luglio 1914, fu concordata, tra vincitori e sconfitti, per “l’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese” del 1918 (ore 11:00 dell’11 novembre 1918).
[11] Si racconta che il Generale Foch (francese, comandante in capo delle truppe Alleate e, secondo qualcuno, “vincitore” della Prima guerra mondiale), una volta visto il trattato di pace di Versailles con il quale si concluse la guerra, abbia commentato: “Questa non è una pace, è un armistizio per vent’anni”. Si potrebbe considerare profetica questa frase ma la Wikipedia in lingua inglese, alla voce “Ferdinand Foch”, la dichiara un apocrifo creato da Winston Churchill (URL: https://en.wikipedia.org/wiki/Ferdinand_Foch).
[12] Sui rapporti tra superiori e subalterni nella Prima guerra mondiale c’è ormai abbondante letteratura e filmografia, da “Un anno sull’altipiano” di Emilio Lussu alla citazione riportata nel film del 2007 “Leoni per agnelli” (regia di Robert Redford), nella quale un professore cita a un suo allievo una metafora usata per descrivere polemicamente il concetto di eroici soldati agli ordini di comandanti inetti. Viene riportata dal personaggio di Redford, che ricorda un comandante tedesco [della Prima guerra mondiale] il quale lodava le gesta dei soldati inglesi, ma disprezzava la loro leadership (“Mai visti simili leoni comandati da simili agnelli”) – Citato da Wikipedia. URL https://it.wikipedia.org/wiki/Leoni_per_agnelli. Non ho approfondito la cosa e non so se la citazione sia vera, però se non è vera è davvero aderente a quel che si sa della realtà. D’altra parte, non risulta che i soldati degli Imperi Centrali fossero trattati meglio.
[13] Si chiamavano “cannoniere” ma erano (sia pure piccole) navi corazzate a tutti gli effetti, che tra l’altro operarono sistematicamente sul fiume Mississippi in occasione del lungo assedio di Vicksburg; e in occasione dello stesso assedio furono impiegati espedienti tattici come i sistemi di mina e contromina che le truppe italiane e austro-tedesche avrebbero usate le une contro le altre nel 1915-1918. La Marina (di entrambi gli schieramenti, ma soprattutto quella sudista, che aveva il problema di rompere il blocco navale attuato dai nordisti) non restò indietro e introdusse sia la “nave sommergibile” che la mina navale.
[14] Sir Arthur Lyon Fremantle, Three Months in the Southern States: April, June, 1863, Mobile, S. H. Goetzel 1864. Come specifica la Wikipedia in lingua inglese alla voce “Arthur Lyon Fremantle” (URL: https://en.wikipedia.org/wiki/Arthur_Lyon_Fremantle) che Fremantle fosse un rappresentante ufficiale del Regno Unito è solo una credenza popolare; egli era semplicemente un war tourist, un “turista di guerra”.
[15] William Shirer (1904-1993) era corrispondente del Chicago Tribune e reporter della CBS da Berlino. Rimase a Berlino finché gli Stati Uniti d’America non entrarono in guerra. Sulla base dei suoi ricordi, dei suoi reportage e, soprattutto, di una analisi degli archivi nazisti sequestrati dagli Alleati dopo la guerra, scrisse una straordinaria “Storia del Terzo Reich”, Torino, Einaudi 1962 (edizione originale: “The rise and fall of the Third Reich”, New York, Simon & Schuster 1960). A proposito degli archivi nazisti sequestrati, era la prima volta nella storia che accadeva una cosa del genere, ma i documenti in essi contenuti hanno consentito agli storici di avvicinarsi alla verità degli eventi in un modo che sarebbe altrimenti stato impossibile Ciò non ha impedito che sorgessero, tra le file degli storici, gli appartenenti alla corrente “revisionista”, che ha tentato di negare l’Olocausto e altre amenità del genere. Un altro esempio di “stupidità”?
[16] Geoffrey Regan, “Il Guinness dei fiaschi militari”, Milano, Mondadori 1995.
[17] Con un MBA (Master in Business Administration) nel 1939 presso la Harvard Business School.
[18] Nel caso specifico le statistiche servivano a tenere sotto controllo l’efficienza e l’efficacia nell’impiego degli aerei da guerra e a valutare in modo “scientifico” le persone e le situazioni.
[19] Si veda la pagina della Wikipedia in inglese https://en.wikipedia.org/wiki/McNamara_fallacy. Daniel Yankelovich (1924- 2017), analista e critico sociale americano, scrisse un commento sulla presidenza di McNamara alla Ford: ma quando la teoria di McNamara è applicata troppo alla lettera, il primo passo è misurare tutto ciò che può essere misurato facilmente. Il secondo passo è trascurare tutto ciò che non può essere facilmente misurato o al quale non può essere attribuito un valore numerico. Il terzo passo è presumere che ciò che non può essere facilmente misurato non è veramente importante. Il quarto passo è sostenere che tutto ciò che non può essere facilmente misurato in realtà non esiste. Questo è suicida. (D. Yankelovich, Interpreting the New Life Styles, Sales Management 1971). Lo sviluppo dell’approccio “tutto quantitativo” portò a quella che fu poi definita la McNamara’s folly (La follia di McNamara), trattata nella stessa pagina della Wikipedia in inglese.
[20] Anche in questo caso vale la pena di citare il più interessante titolo originale: “The Fog of War: Eleven Lessons from the Life of Robert S. McNamara” (undici lezioni dalla vita di Robert S. McNamara).
[21] R. Maffei: “De-industrializing scientific research”, Il Caos Management n. 92/2014, https://www.caosmanagement.it/2014/11/14/de-industrializing-scientific-research/; Arte, scienza e umanità, Il Caos Management n. 144/2023, https://www.caosmanagement.it/2023/01/10/arte-scienza-e-umanita/.
[22] L’affare Sokal (the Sokal affair in inglese) è trattato in questa pagina di Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Affare_Sokal (in italiano) o in questa https://en.wikipedia.org/wiki/Sokal_affair (in inglese, più completa).
[23] Albert Michelson, 1894, citato in https://en.wikipedia.org/wiki/Lord_Kelvin. La citazione si trova nella pagina dedicata a Lord Kelvin (Sir William Thomson, Primo barone di Kelvin, 1824-1907, è stato un matematico, fisico-matematico e ingegnere inglese, ha compiuto studi fondamentali nella termodinamica e ha dato il nome alla scala assoluta delle temperature) perché è stata continuamente (e impropriamente) attribuita a lui dal 1980 in poi.
[24] Per una trattazione esaustiva della falsa attribuzione a Kelvin e del vero senso del suo “discorso delle due nubi” si veda Kelvin’s clouds, di Oliver Passon, 2021, reperibie in Arxiv all’URL https://arxiv.org/pdf/2106.16033.
[25] Stavo per cadere anch’io nella trappola perché, scrivendo questo passaggio, stavo per presentare la citazione secondo la versione della leggenda, attribuendola a Kelvin, così alimentando involontariamente una fake–news. Fortunatamente ho l’abitudine di verificare i dettagli e le fonti su (quasi) tutto ciò che scrivo.
[26] Si veda Wikipedia, voce Helicobacter pylori all’URL https://it.wikipedia.org/wiki/Helicobacter_pylori.
[27] Anche su questo mi è capitato di scrivere qualcosa. Per alcune considerazioni sulle punte più avanzate di questa frenesia digitale si vedano, per esempio, “Il manuale delle Giovani Marmotte forse esiste, ma è inattendibile“, Il Caos Management n. 147/2023, https://www.caosmanagement.it/2023/07/31/il-manuale-delle-giovani-marmotte-forse-esiste-ma-e-inattendibile/; “Cos’è l’intelligenza e l’opportunità di attribuirla alle macchine”, Il Caos Management n. 152/2024, https://www.caosmanagement.it/2024/10/27/cose-lintelligenza-e-lopportunita-di-attribuirla-alle-macchine/.
[28] ARPA-Firenze APS, iscritta al RUNTS al numero di repertorio 78784, www.arpafirenze.it. Per una sommaria panoramica sulle nostre pubblicazioni: http://www.arpafirenze.it/altro/link-utili.
[29] Roberto Maffei e Letizia Scrobogna, “Exploring the pragmatics of research on knowledge and cognitive processes – Behaviours, attitudes, and some hints on the psychology of scientific community facing new challenges in the Internet Age scientific research“, SocArXiv Papers 27/1/2023, URL https://osf.io/preprints/socarxiv/8gv92.
[30] Maffei R, Convertini LS, Quatraro S, Ressa S, Velasco A. 2015. “Contributions to a neurophysiology of meaning: the interpretation of written messages could be an automatic stimulus-reaction mechanism before becoming conscious processing of information”. PeerJ 3:e1361 https://doi.org/10.7717/peerj.1361
[31] Per esempio una sintesi pubblicata quando il lavoro era in forma di pre-print e non era stato ancora esaminato in modalità peer-reviewed: Roberto Maffei, “Come leggiamo: i fondamenti biologici di un’abilità culturale“, Il Caos Management 87/2014, https://www.caosmanagement.it/2014/05/06/come-leggiamo-i-fondamenti-biologici-di-un-abilita-culturale/. Una presentazione più generale e una sintesi più ampia: Roberto Maffei, “Between instincts and reason: understanding a critical relationship“, pubblicato nelle “Academia Letters” nel 2021, URL https://www.academia.edu/51621276/Between_instincts_and_reason_understanding_a_critical_relationship
[32] Sottolineo “integra” e non “integrata” perché dietro a quest’ultimo vocabolo c’è l’idea che l’essere umano sia un assemblato di parti diverse mentre, in realtà, si rapporta al contesto come una vera unità.