«Sia creativo… pensi ad altri modi in cui le regole possano essere aggirate...» O. Scott Card
Herbert Simon, studioso interdisciplinare (sociologo e tra i fondatori della psicologia cognitiva), ha ricevuto nel 1978 il Premio Nobel per l’Economia, con la sua teoria sulla razionalità limitata e le innovative ricerche nel campo dei processi decisionali all’interno delle organizzazioni 2 . Anche con Simon siamo nell’ambito del progressivo scostamento dalle teorie classiche del management, seguendo la relazione tra soggetto e organizzazione.
Simon, infatti, sviluppa il tema della partecipazione organizzativa di Barnard, dell’equilibrio tra contributi e incentivi, come presupposto della stessa esistenza delle organizzazioni, prendendo però in considerazione l’argomento delle decisioni degli attori all’interno delle imprese. I soggetti decidono di entrare nelle organizzazioni, partecipano ai processi organizzativi e prendono decisioni individuali che diventano poi le decisioni organizzative. Ma la critica di Simon alla Scuola classica si esplica, in prima istanza, attraverso alcune significative osservazioni riguardo la teoria della Direzione amministrativa e i suoi principi. Secondo Simon, la divisione del lavoro, i criteri di raggruppamento dei lavoratori (o delle risorse), l’unità di comando, la giusta ampiezza di controllo delle unità operative e le prescrizioni riguardo la dimensione ottimale dei livelli gerarchici, sono caratteristiche inevitabili di qualsiasi organizzazione, rivolte al raggiungimento dell’efficienza organizzativa, ma che non affrontano i reali problemi di direzione e gestione delle imprese.
La decisione come focus dell’azione organizzativa
L’azione e decisione (intenzionale e cioè rivolta a uno scopo) sono il nuovo fulcro dell’organizzazione e le decisioni organizzative la nuova unità di analisi centrale dei processi organizzativi. Sono i comportamenti degli attori a determinare le caratteristiche, i successi e gli eventuali insuccessi delle realtà organizzate. Così, Simon ridimensiona il ruolo e la posizione dei soggetti all’interno delle strutture organizzative secondo le prescrizioni di ruolo del modello classico. Non è tanto importante analizzare i compiti o la mansione che rivestono le persone nei contesti organizzativi, quindi la struttura formale o l’organigramma dell’organizzazione, ma piuttosto ciò che pensano, decidono e fanno gli attori nell’ambito delle dinamiche organizzative (reali) e i loro conseguenti comportamenti. I ruoli organizzativi e il contesto ambientale possono solo definire le premesse decisionali degli attori, attraverso gli schemi organizzativi preesistenti, le relazioni di gruppo, le informazioni, gli obiettivi e gli atteggiamenti che influenzano le decisioni. Il processo decisionale viene così indirizzato, per così dire incanalato, secondo le logiche organizzative, gli aspetti di valore, le conoscenze, i comportamenti che costituiscono un campo strutturato di premesse che ha la finalità di accrescere la razionalità limitata dei partecipanti nell’ambito dei processi decisionali 3 .
Lo stesso processo decisionale dei soggetti è un continuum tra mezzi e fini regolato da giudizi di fatto, corrispondenti ai mezzi, e giudizi di valore, relativi ai fini 4 . Dove l’adeguatezza del mezzo al fine è oggetto dei giudizi di fatto e la desiderabilità del fine è oggetto dei giudizi di valore. Dunque, gli attori, nei processi organizzativi, sono portati continuamente a decidere sia sui mezzi che sui fini e la stessa organizzazione è il risultato di una catena mezzi-fini, con l’azione organizzativa presente come fine dell’azione precedente e mezzo per l’azione successiva.
Come si nota siamo molto lontani, oramai, dagli schemi di lavoro tayloristici o le prescrizioni burocratiche, perché il motore delle organizzazioni (post-burocratiche) non sono più le regole, le procedure, o l’autorità, ma una continua valutazione (e decisione) dei soggetti, sia rispetto ai mezzi, le tecniche e le competenze impiegate, che riguardo ai fini, i risultati organizzativi voluti, perseguiti e realizzati. La visione dell’organizzazione che emerge da questa teoria delle decisioni è quella di una attività organizzativa che si misura continuamente con la necessità e la capacità di scegliere e, conseguentemente, di agire dei soggetti, che attivano costantemente comportamenti decisori. Se dovessimo ricorrere ad una metafora per descrivere il contributo di Simon alla conoscenza ed alla operatività delle organizzazioni questa sarebbe certamente la metafora del “cervello”, che sostituisce la precedente metafora della “macchina” tipica del pensiero classico e affianca la stessa metafora dell’”organismo”, basata sull’adattamento e sopravvivenza ambientale delle organizzazioni.
La struttura del processo decisionale
Il processo di decisione, dal punto di vista logico, si articola comunque in tre fasi.
- La prima riguarda l’elencazione delle strategie alternative,
- la seconda attiene alla definizione di tutte le possibili conseguenze dell’azione,
- mentre la terza coincide con una valutazione comparata dei mezzi, degli scopi e delle conseguenze delle decisioni 5 .
Questo procedimento implicherebbe l’utilizzo della razionalità assoluta, ma con Simon si afferma anche una nuova concezione della razionalità organizzativa. Scrive Simon:
“ciò che la persona vuole e ama influenza ciò che la persona vede, e ciò che vede influenza ciò che vuole e ama”. 6
Il che significa che nei nostri comportamenti organizzativi siamo influenzati da ciò che amiamo o desideriamo, vale a dire dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni, da quello che riusciamo a vedere, percepire o intuire. Ma qual è la capacità reale di vedere il proprio contesto da parte dei soggetti e delle stesse organizzazioni? O prevedere le conseguenze delle proprie scelte? Il pensiero organizzativo classico, come visto, proponeva una concezione razionalistica delle azioni organizzative, ossia la razionalità assoluta, secondo il criterio della massima efficienza dei comportamenti organizzativi, che derivava dall’applicazione dei principi dell’economia classica, la quale tendeva ad ordinare le scelte secondo la massimizzazione delle funzioni di utilità.
I limiti della razionalità umana
Simon introduce, invece, nelle decisioni organizzative, il concetto della razionalità limitata, ovvero del criterio della sufficienza che sostituisce il criterio della massima efficienza. L’homo oeconomicus viene così sostituito dall’uomo amministrativo, in quanto a limitare la razionalità della struttura mezzi-fini vi è quasi sempre l’incompletezza sia dei mezzi che dei fini, l’impossibilità di riconoscere ex ante le conseguenze delle azioni, la difficoltà a determinare una gerarchia delle decisioni e il carattere negoziale di alcune scelte, che costituiscono, spesso, un compromesso tra opposte visioni e progetti risultando, pertanto, spesso inefficaci. Sempre Simon, a questo proposito, sottolinea che
“l’uomo economico affronta il mondo reale in tutta la sua complessità… mentre l’uomo amministrativo riconosce che il mondo da lui percepito è un modello, drasticamente semplificato, dell’infinita e sempre rinascente confusione che costituisce il mondo reale… egli fa le sue scelte usando un’immagine semplificata della situazione, comprensiva solo di alcuni tra i fattori che egli considera più rilevanti ed essenziali”.
La conseguenza finale è che le organizzazioni sono solo limitatamente razionali nei loro comportamenti, per i limiti che gli attori hanno nelle loro scelte, preferenze e, quindi, decisioni. Ma quali sono, a questo punto, particolare, i limiti individuali indicati da Simon? Secondo Simon i soggetti non sono in grado di vedere tutte le alternative possibili sul piano delle probabili scelte organizzative, per gli ovvi limiti cognitivi degli attori, nella capacità di acquisire ed elaborare tutte le informazioni necessarie e di valutare tutte le conseguenze delle decisioni prese. E proprio per questo tutte le decisioni organizzative sono sempre a razionalità limitata o sufficiente. D’altronde la stessa complessità dell’ambiente organizzativo, per la molteplicità dei soggetti che vi operano e delle relative interazioni e strategie che si attivano al suo interno, è un ostacolo insormontabile alla sua completa comprensione e lettura in termini di razionalità assoluta.
Le strategie di incremento della razionalità
È sempre possibile, però, aggiunge Simon, aumentare la razionalità organizzativa, o diminuire il deficit insito di razionalità connesso alle scelte dei soggetti, attraverso vari strumenti e comportamenti. Come l’incremento delle informazioni, la maggiore efficienza della comunicazione e la stessa formazione degli operatori, che possono così migliorare la loro capacità di analizzare, valutare e decidere. Considerando, però, che vi è sempre un costo delle informazioni (e della formazione) per l’organizzazione, che deve, quindi, valutare l’opportunità dell’accesso alle ulteriori informazioni (e implementazione dei programmi di formazione). Ma lo stesso processo decisionale può essere reso più efficiente nella sua, più semplice, articolazione strutturale. A volte i limiti di razionalità non sono solo soggettivi ma anche oggettivi, appartengono cioè al funzionamento reale del processo decisorio all’interno della struttura dell’organizzazione. Perché in un processo decisionale sono coinvolte più variabili, come le competenze del decision maker, la tempestività dell’intervento degli esperti di staff nella attivazione della loro funzione consultiva e la corretta esecuzione, da parte del nucleo operativo, della decisione presa dal vertice strategico dell’organizzazione. In questo processo è fondamentale la velocità dell’intero procedimento, che coinvolge differenti organi e le diverse competenze e compiti dei soggetti e funzioni della struttura coinvolta, ai fini della giusta risoluzione dei problemi organizzativi o degli eventi critici emersi nell’ambito della routine dei processi operativi. Senza trascurare le teorie della soggettività e dell’azione organizzativa, che spesso la decisione organizzativa è intersoggettiva e riflette i differenti interessi degli attori e delle coalizioni in gioco nelle organizzazioni 7 .
Le routine decisionali
Ritornando al tema delle decisioni organizzative bisogna considerare che le organizzazioni non funzionano solo sulla base dei processi decisionali, ma hanno anche, come logico, “programmi”, “regole”, “procedure” e “processi” sperimentati, affidabili e stabilizzati, soprattutto per quanto riguarda le funzioni tecnologiche e di produzione. Per questo l’idea di Simon è quella di una organizzazione sempre frutto dell’accumulazione delle decisioni, attraverso le esperienze, gli errori, i risultati e le soluzioni date ai problemi, che si traducono poi in “programmi” organizzativi codificati e utilizzabili per le diverse funzioni dei processi lavorativi e produttivi.
La molteplicità dei processi decisionali
Dunque, le decisioni organizzative sono di vario genere e abbiamo quindi, conseguentemente, una tipologia di processi decisionali e comportamenti disponibili per l’azione organizzativa. La maggior parte delle decisioni sono, in genere, di routine e in questo caso si scelgono programmi già in essere nel repertorio dell’organizzazione. In altri casi, invece, le decisioni sono critiche, perché riguardano le varianze che si manifestano nei processi operativi interni o nell’ambiente dell’organizzazione. In queste situazioni, l’organizzazione ha un livello minimo di esperienze disponibili e criteri minimali di conoscenza del problema. Infine, le decisioni possono essere esplorative e in tal caso si può solo contare sulle garanzie metodologiche della scelta, non essendoci nell’organizzazione alcuna traccia operativa o strategica rispetto al problema organizzativo da risolvere. Infatti, per Simon esistono anche
“decisioni nuove, non strutturate, con conseguenze insolite. Non esiste un modo preciso di affrontare il problema perché esso non si è mai posto in precedenza”
e in questi casi si tratta quasi sempre di processi di innovazione nelle tecniche produttive o nei prodotti, da introdurre nel catalogo del know-how aziendale (ossia le conoscenze e le abilità operative necessarie per svolgere una determinata nuova attività). È dunque importante considerare che, anche se le organizzazioni prendono a volte decisioni critiche o esplorative, hanno, nella maggioranza dei casi, un registro o memoria dei saperi utili e delle tecnologie necessarie al loro corretto e corrente funzionamento, esito dei processi decisionali antecedenti e prodotto delle dinamiche di apprendimento svoltesi nel corso del loro sviluppo. Bisogna considerare, infatti, che le stesse decisioni di routine, divenute programmi, sono state precedenti decisioni critiche o esplorative messe in atto con esito positivo, che si sono sedimentate all’interno della memoria tecnologica delle organizzazioni e sono diventati piani operativi sicuri e affidabili. Mentre le medesime decisioni, critiche o esplorative, se contrassegnate da successo diventeranno, in seguito, una routine organizzativa, un programma e una tecnologia assestata dell’organizzazione e funzionale alle proprie strategie di prodotto o servizio. Una osservazione fondamentale, e conclusiva, di Simon, come già accennato precedentemente, riguarda il metodo con il quale gli attori organizzativi prendono le loro decisioni (a razionalità limitata). Questo riguarda il modello semplificato della realtà che si utilizza come presupposto e scenario dei processi decisionali. Scrive Simon a questo proposito:
“il comportamento razionale esige modelli semplificati che includano gli elementi essenziali del problema senza rifletterne tutta la complessità”.
La decisione negoziata
Tra parentesi, non bisogna trascurare che spesso la problematicità dei processi decisionali, come accennato, dipende anche dalla molteplicità degli attori coinvolti. M. Cyert (1921-2001) e James G. March (1928-2012) in un loro fondamentale testo8 , riprendendo il tema della razionalità limitata di Simon, definiscono l’impresa come una confederazione di interessi potenzialmente conflittuali (operai, impiegati, dirigenti, azionisti), con gli scopi dell’impresa che sono sempre il risultato di pratiche negoziali, e per questo gli obiettivi e le decisioni spesso non sono chiare o addirittura ambigue, in quanto l’orientamento dell’impresa riflette gli equilibri sociali del momento e in molti casi i cambiamenti nella struttura sociale dell’azienda portano necessariamente a ridisegnare i confini delle coalizioni e i relativi obiettivi e decisioni. Ma non sempre i processi decisionali sono solo il frutto di una razionalità limitata o sufficiente, in certi casi le scelte sono confuse o completamente irrazionali.

Illustrazione di Brett Ryder
Garbage Can Model
Un esempio per tutti può essere il modello a cestino dei rifiuti, derivante da una carenza nella priorità delle decisioni organizzative in corrispondenza di un elevato grado di complessità e incertezza ambientale. Si tratta, in questo caso, di decisioni casuali, senza presupposti razionali, dove problemi, soluzioni, partecipanti e occasioni di decisione, si mescolano senza una relazione di causa-effetto, dove le soluzioni sono indipendenti dai problemi e anche i partecipanti e le opportunità di scelta sono separati sia dai problemi che dalle decisioni. Questo modello elaborato da Cohen, March e Olsen 9 , si riferisce decisamente a logiche decisionali non razionali, nelle quali non ci sono schemi o procedure o priorità da tenere in conto. Si tratta di scelte non strutturate in condizioni di grande incertezza dell’impresa. Ricordiamo che siamo negli anni ’70 e che in quel periodo storico si chiude un’epoca dal punto di vista organizzativo e ambientale (il taylor-fordismo), con la perdita delle certezze (economiche, tecnologiche e istituzionali), situazione che alimenta anche nuovi stili di management basati più sulla personalità e l’intuito del decision maker, ossia il leader, che sugli elementi e comportamenti (sia pur limitatamente) razionali, propri del manager. È ovvio che in situazioni di forte carenza di razionalità possibile, le imprese sono portate ad affrontare i problemi e a prendere, spesso, decisioni comportandosi come delle vere e proprie anarchie organizzate. Ma fatte queste premesse, qual è la struttura di fondo del ragionamento alla base del Garbage Can Model? E soprattutto in quali contingenze può costituire un modello decisionale alternativo a quello contrassegnato dalla razionalità limitata? Nella logica del modello a cestino di rifiuti non ci sono fasi del processo decisionale, linearità tra le variabili coinvolte, ossia non vi è una criticità iniziale, attori coinvolti nel processo decisionale e soluzioni pertinenti. Piuttosto occorre che i problemi e le soluzioni trovino, per così dire, una opportunità decisionale e attori con tempo e attenzione disponibile o necessaria (in termini di energia) al loro incontro e risoluzione. Immaginiamo, anche, che nel cestino dei rifiuti vengano gettati via problemi e soluzioni in attesa di decisori che li prelevino “a caso”, con il cestino che contiene le occasioni di decisione e i rifiuti che corrispondono ai problemi e alle ipotesi di loro risoluzione. Insomma, sembra che in questi sistemi organizzativi (e sociali) più che l’incertezza domini, a volte, la confusione e l’ambiguità (degli obiettivi) e a nulla servono maggiori informazioni o conoscenze disponibili. Le stesse preferenze o scopi sorgono nel corso dell’azione e dei processi organizzativi e, rispetto a questo, funziona, più che una razionalità limitata, una razionalità ex post. Tra l’altro, spesso, i manager (o decision maker) preferiscono l’azione alla decisione, con i problemi che, eventualmente, emergono dalla stessa azione. Allora, problemi poco compresi e ambigui o una pluralità e differenziazione degli obiettivi aziendali può essere un terreno fertile per l’applicazione di questo modello decisionale, nel quale le preferenze prendono corpo solo nel corso dei processi aziendali. In definitiva il Garbage Can Model è adatto in situazioni organizzative in cui la razionalità è talmente limitata da sfiorare il caos organizzativo. Con le risultanze di questo modello decisionale che solo in casi poco frequenti coincidono con la soluzione dei problemi (che sorgono, come detto, anche nel corso dell’azione). In altri casi, più frequenti, le scelte non corrispondono più al problema e in altri ancora i problemi sono stati abbandonati.
NOTE
- Gli articoli sono tratti da “Le regole dell’organizzazione” e “La musica del management” editi da “Ad est dell’equatore”, 2017 e 2024 https://www.adestdellequatore.com/categoria-prodotto/kuang11/
- Cfr. H. A. Simon, Il comportamento amministrativo, il Mulino, 1958
- Cfr. G. Giorgetti, Organizzazione aziendale, Maggioli Editore, 2013
- Cfr. G. Bonazzi, Come studiare le organizzazioni, il Mulino 2006
- Cfr. H. A. Simon, Il comportamento amministrativo, op. cit.
- Cfr. A. Sortino, Organizzazione aziendale, Simone, Napoli, 2013
- Cfr. G. Costa, P. Gubitta, Organizzazione aziendale, Mercati, Gerarchie e Convenzioni, McGraw-Hill Education, 2016.
- Cfr. H. Simon, J. G. March, Organizations, New York 1958; traduzione italiana, Teoria dell’organizzazione, Milano 1966. Cfr. anche, R. M. Cyert, J. G. March, A Behavioral Theory of the Firm, Englewood Cliff, NJ: Prentice-Hall, 1963.
- Cfr. A Garbage Can Model of Organizational Choice, Administrative Science Quarterly, Vol. 17, n. 1, 1972.