“Terra a perdere” è un documentario autoprodotto che testimonia il disequilibrio ambientale e sociale creato dalla presenza delle servitù militari. Sono stati necessari due anni di lavoro di tre giornalisti d’inchiesta per realizzalo e ora sta facendo il giro d’Italia attraverso canali indipendenti con l’obiettivo di fare controinformazione.
Nel corso di questi ultimi anni abbiamo pubblicato parecchi articoli relativi alla Sardegna qui su Caos Management, ma mai prima d’ora avevamo affrontato un tema molto delicato come quello delle servitù militari, e mai così attuale come in questo periodo storico, che segna la fine di 80 anni di pace nel continente europeo e potrebbe segnare l’avvio di una sua “nuova era”.
Grazie alla nostra collaborazione con La Gazzetta del Medio Campidano, invece, possiamo ora affrontarlo, cercando di chiarire alcuni aspetti di questo complesso problema. “Terra a perdere“, è un’autoproduzione di tre giornalisti indipendenti, un’analisi molto precisa della situazione, che ha richiesto due anni di accurato lavoro (2022 e 2023) dei giornalisti Chiara Pracchi, Simona Tarzia e Fabio Palli. E’ uscito nel 2024 e offre una nuova prospettiva su una realtà a volte trascurata, mettendo in luce la fatica, ma anche la vitalità culturale di chi immagina per la propria terra un futuro diverso e che dà voce a chi subisce le conseguenze e non trova un’eco adeguata a livello istituzionale.
Della Sardegna, così conosciuta per il mare, i paesaggi mozzafiato e la sua storia millenaria, è molto meno conosciuta (o nota solo ai più attenti) la presenza di poligoni militari, che hanno notevole impatto sul territorio e sulla vita dell’isola fin dagli anni ’50, perché creati come tributo della seconda guerra mondiale.
Due esempi di realtà significative sono il poligono di Teulada (Sud Sardegna) e il poligono sperimentale di addestramento interforze di Salto di Quirra.
Il primo, istituito nel 1956 dalla NATO, il secondo più grande d’Italia e d’Europa che occupa una superficie di circa 7.200 ettari; il secondo è un poligono delle forze armate italiane costituito nel 1956 che sorge nel comune di Perdasdefogu, in provincia di Nuoro, dove avvengono sperimentazioni a terra ed in volo di sistemi d’arma complessi, e addestramento all’impiego di ogni tipologia di armamento per uso aereo, navale e terrestre.
I comuni maggiormente gravati dalle servitù, quelli “nei quali le esigenze militari (compresi particolari tipi di insediamenti) incidono maggiormente sull’uso del territorio e sui programmi di sviluppo economico e sociale”, come si legge in una delibera regionale del 2023 di ripartizione delle risorse messe a disposizione, ricevono indennizzi che ammontano a cifre piuttosto ragguardevoli e di particolare significato economico per gli stessi bilanci, ma questo non basta a rendere compatibili le diverse esigenze.
Dai documenti esaminati dai tre giornalisti sono emersi dati relativi al fatto che in alcune aree di quelle zone sono presenti anche particelle radioattive che inquinano, e le stesse aree funzionano da discariche per il munizionamento obsoleto e da laboratorio per la sperimentazione di nuovi armamenti, il che porta a immaginare un impatto sulla salute delle centinaia di persone che vivono nei pressi delle basi.
Purtroppo non esistendo una vera e propria indagine epidemiologica sistematica che fornisca un nesso diretto specifico si è ancora fermi alle ipotesi. Tanto che è proprio di questi giorni la notizia pubblicata dall’Unione Sarda che il Ministero della Difesa ha presentato opposizione (poco prima della scadenza dei termini!) a una sentenza di un anno fa che aveva riconosciuto “vittima del dovere” un ex-militare deceduto a 71 anni, nel 2022, a causa di un mesotelioma pleurico provocato dall’esposizione all’amianto, avvenuta durante il servizio militare tra luglio 1968 e settembre 1969 presso il Centro Addestramento Unità Corazzate di Capo Teulada, condannando il Ministero a garantire alla vedova i benefici previdenziali, per un importo complessivo di 285mila euro, oltre a un vitalizio mensile di 2mila euro.
La situazione di Quirra
La decisione di realizzare il documentario era stata presa alla conclusione – a novembre 2021 fra la stanchezza generale – del processo che ha assolto gli ex-comandanti del poligono di Quirra con la motivazione che “Non vi è idonea prova (circa la sussistenza del fatto )” pur non mancando le evidenze del disastro ambientale operato sul suolo del poligono, riportate anche nei 13 faldoni che hanno composto i sette anni di indagini. E le motivazioni rese pubbliche non hanno comunque fatto chiarezza.
Va sottolineato che l’imputazione per “disastro ambientale” era stata cassata dal Gip e formalizzata in un processo per “omissioni di cautele”. Chiara Pracchi ci ha ricordato:
“Per anni si è parlato di animali nati malformati e di tassi anomali di tumori fra la popolazione limitrofa e da anni gli abitanti del luogo e comitati locali chiedono costantemente la chiusura della base, la bonifica delle aree inquinate e la restituzione delle aree alla comunità. C’è stata un’indagine, sono state istituite varie commissioni parlamentari, ma poi il nulla”.
Uno sguardo a Capo Frasca
Un’altra zona esaminata più da vicino è quella di Capo Frasca, sempre nel Sud Sardegna, dove insiste un poligono per esercitazioni di tiro a fuoco aria-terra e mare-terra, nel comune di Arbus – territorio di cui abbiamo più volte scritto – che occupa una superficie di circa 14 km2 a terra e le limitrofe zone a mare.
Per comprendere meglio la situazione, ci siamo fatti aiutare da Paolo Erasmo, componente del Comipa (Comitato paritetico sulle servitù militari), che ci ha subito precisato che malgrado esistano dei protocolli d’intesa firmati nel 2017 e nel 2019 tra l’allora Governatore della Sardegna e il Ministro della Difesa (prorogati negli anni) non si è ancora arrivati a vantaggi significativi nell’armonizzazione tra le esigenze della Difesa e quelle dei cittadini che abitano intorno ai poligoni, anche perché sono applicati per una minima parte, circa 1/6 dei loro contenuti.
Da cinque anni il Comitato si batte perché la sospensione delle attività a fuoco presso i poligoni sardi dal 1° giugno al 30 settembre possa prevedere, a Capo Frasca, la contemporanea fruizione del territorio da parte dei cittadini. Infatti, a causa della presenza del poligono, purtroppo, l’interdizione alla navigazione entro i 500 mt. dalla riva per pesca o per diporto per la penisola è di 365 giorni all’anno (con sanzioni da parte della Guardia di Finanza o della Capitaneria di Porto) e non è stata accettata la richiesta di riduzione a 100 mt. Non è quindi possibile ipotizzare di sviluppare alcuna attività di accoglienza turistica (navigando sotto costa dalla località di Marceddì è possibile arrivare alle frazioni marine di Pistis e Torre dei Corsari), pur in presenza di eventuali recinzioni che indichino esplicitamente che si tratta di una zona militare.
Ribadisce Paolo Erasmo:
“Le istanze provenienti dal territorio e dagli amministratori locali richiedono modifiche assolutamente ragionevoli, in linea con la valorizzazione del territorio, lo sviluppo economico (da notare che gli operatori ricevono indennizzi per un massimo di 120 giorni all’anno) e la compatibilità e sostenibilità delle servitù militari, armonizzando realmente le esigenze dei cittadini che abitano i territori con quelle della Difesa”.
Anche sulla sostenibilità ambientale, il Comipa auspica di poter avere aggiornamenti circa i rilievi a mare e le relative bonifiche intorno alla penisola di Capo Frasca, e di poter arrivare a riscrivere un nuovo protocollo a livello regionale sulle Servitù Militari che veda la partecipazione di associazioni, amministratori locali e i portatori di interesse, nonché la partecipazione attiva del Comitato Paritetico sulle Servitù Militari.