Memristori: il pensiero muove le macchine
Un importante risultato nell’integrazione tra cervello umano e intelligenza artificiale è stato recentemente raggiunta grazie al lavoro pionieristico di un team internazionale di ricercatori (https://www.nature.com/articles/s41928-025-01340-2). Il gruppo ha sviluppato un’innovativa interfaccia cervello-computer (BCI) che sfrutta componenti elettronici avanzati chiamati memristori. Questa tecnologia all’avanguardia consente agli utenti di comandare dispositivi complessi, come i droni, attraverso il pensiero, traducendo gli impulsi neurali in istruzioni operative senza necessità di controlli fisici. Tale sviluppo rappresenta un importante risultato nel campo delle neuroscienze applicate, e apre anche scenari inediti per le applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale nella vita quotidiana.

Che cosa sono i memristori e come funzionano?
Immaginate un componente elettronico che funziona un po’ come la nostra memoria: così come noi ricordiamo le esperienze passate, il memristore “ricorda” quanta elettricità lo ha attraversato in precedenza. A differenza dei componenti elettronici tradizionali, che mantengono sempre lo stesso comportamento, il memristore cambia le sue caratteristiche in base alla sua “storia elettrica”.

Questa capacità di “ricordare” rende i memristori particolarmente simili alle connessioni tra i neuroni del nostro cervello (chiamate sinapsi), che si rinforzano o indeboliscono in base all’esperienza. È proprio questa somiglianza che li rende ideali per creare computer che lavorano in modo più simile al cervello umano.


Come funziona questa interfaccia cervello-computer?
Il sistema sviluppato dai ricercatori può essere paragonato a un traduttore simultaneo tra due lingue molto diverse: quella del cervello e quella delle macchine. Ecco come funziona:

Acquisizione dei segnali: Piccoli sensori (elettrodi) vengono posizionati sulla testa della persona. Questi captano i deboli segnali elettrici prodotti naturalmente dal cervello durante il pensiero.

Decodifica: I segnali vengono inviati a un chip speciale contenente 128.000 memristori. Questo chip funziona come un “decodificatore neuromorfico” (dove “neuromorfico” significa “a forma di neurone” o “che imita i neuroni”).

Traduzione in comandi: Il chip analizza i pattern di attività cerebrale e li converte in comandi specifici, come “vai avanti”, “gira a destra” o “sali più in alto”.

Controllo del dispositivo: Questi comandi vengono poi trasmessi al dispositivo esterno (in questo caso un drone) che li esegue in tempo reale.

La grande novità di questo sistema è che consuma moltissima meno energia rispetto ai computer tradizionali – circa 1.643 volte meno. Questo lo rende particolarmente adatto per dispositivi portatili o impiantabili, dove l’efficienza energetica è fondamentale.


Il concetto di “co-evoluzione”
: quando cervello e macchina imparano insieme
La parte più interessante di questa tecnologia è la sua capacità di adattamento reciproco, che i ricercatori chiamano “co-evoluzione”. Non è solo il computer che impara a interpretare meglio il cervello, ma anche il cervello che impara a produrre segnali più chiari per il computer.

Possiamo paragonare questo processo all’imparare a suonare uno strumento musicale: all’inizio, sia le vostre dita che il vostro cervello sono “goffi”, con la pratica, le vostre dita diventano più precise e il cervello sviluppa connessioni neurali più efficienti

Alla fine, suonare diventa quasi automatico grazie a questo adattamento reciproco.

Questo stesso principio avviene tra il cervello dell’utente e il chip con memristori: più interagiscono, più diventano “sintonizzati” l’uno con l’altro. I test hanno dimostrato che questo approccio migliora l’accuratezza del sistema del 20% rispetto ai metodi tradizionali.


La riabilitazione motoria
: un nuovo orizzonte per chi ha subito danni neurologici
Una delle applicazioni più promettenti di questa tecnologia riguarda la riabilitazione delle persone che hanno perso capacità motorie a causa di ictus, lesioni al midollo spinale o altre condizioni neurologiche.

Quando una persona subisce un ictus o una lesione cerebrale, spesso alcune connessioni tra il cervello e i muscoli vengono danneggiate. La riabilitazione tradizionale cerca di creare nuove connessioni attraverso esercizi ripetitivi, ma questo processo può essere lungo e frustrante.

Le interfacce cervello-computer basate su memristori potrebbero rivoluzionare questo approccio in diversi modi:

Il “ponte neurale”
Immaginate queste interfacce come un “ponte” che aggira la parte danneggiata del sistema nervoso. Il cervello produce ancora i comandi per muovere un arto, ma questi segnali non riescono a raggiungere i muscoli a causa del danno. L’interfaccia BCI (Brain-Computer Interface) può:

  • Captare questi segnali direttamente dalla corteccia cerebrale
  • Decodificarli usando i memristori
  • Trasmetterli a dispositivi esterni come esoscheletri o stimolatori muscolari

Feedback visivo e neuroplasticità
Quando un paziente vede che il suo pensiero produce effettivamente un movimento (anche se assistito tecnologicamente), si attiva un potente meccanismo di apprendimento nel cervello chiamato “neuroplasticità” – la capacità del cervello di riorganizzarsi creando nuove connessioni.

È come se il cervello pensasse: “Oh, questo pensiero ha davvero prodotto un movimento. Devo rinforzare queste connessioni!” Questo rinforzo, ripetuto nel tempo, può accelerare notevolmente il recupero funzionale.

Terapia personalizzata e adattiva
Grazie alla capacità di co-evoluzione dei memristori, il sistema può adattarsi continuamente ai cambiamenti del cervello durante la riabilitazione. Questo è particolarmente importante perché:

  • Il cervello in fase di recupero cambia rapidamente
  • Ogni paziente ha pattern di recupero diversi
  • L’intensità della terapia può essere modulata in base ai progressi

I fisioterapisti potrebbero utilizzare questi sistemi per creare programmi di riabilitazione personalizzati che si adattano automaticamente ai progressi del paziente, rendendo la terapia più efficace e meno frustrante.

 Realtà virtuale e aumentata: un mondo controllato dal pensiero
Un’altra applicazione rivoluzionaria di questa tecnologia riguarda il modo in cui interagiamo con ambienti virtuali e aumentati. Attualmente, per navigare in questi mondi digitali, utilizziamo controller manuali, gesti delle mani o comandi vocali. Ma cosa succederebbe se potessimo controllare tutto direttamente con il pensiero?

Immersione totale nei mondi virtuali
Immaginate di indossare un visore per la realtà virtuale che include anche elettrodi per rilevare l’attività cerebrale.

Potreste:

  • Muovervi nello spazio virtuale semplicemente pensando alla direzione
  • Afferrare oggetti virtuali concentrandovi su di essi
  • Interagire con personaggi virtuali attraverso il pensiero
  • Modificare l’ambiente circostante con la vostra intenzione mentale

Questo livello di immersione creerebbe esperienze virtuali molto più naturali e intuitive. Non ci sarebbe più bisogno di imparare comandi complessi o movimenti delle mani; basterebbe pensare a ciò che si vuole fare, proprio come nella vita reale.

Realtà aumentata intuitiva
Nella realtà aumentata, dove elementi digitali si sovrappongono al mondo reale, il controllo mentale potrebbe essere ancora più trasformativo:

  • Guardando un edificio, potreste “pensare” di voler vedere informazioni su di esso, e queste apparirebbero immediatamente
  • Durante una conversazione con una persona in una lingua straniera, potreste attivare mentalmente la traduzione in tempo reale
  • I professionisti, come chirurghi o tecnici, potrebbero richiamare informazioni o controllare strumenti senza usare le mani, mantenendole libere per il loro lavoro

Applicazioni terapeutiche e formative
Questi ambienti controllati mentalmente potrebbero anche avere potenti applicazioni terapeutiche:

  • Persone con fobie potrebbero affrontare gradualmente le loro paure in ambienti virtuali sicuri, controllando il ritmo dell’esposizione con il pensiero
  • Pazienti con disturbo da stress post-traumatico potrebbero rivivere eventi traumatici in modo controllato, “spegnendo” la simulazione con un semplice pensiero se diventa troppo intensa
  • Studenti con difficoltà di apprendimento potrebbero interagire con materiali didattici in modi completamente nuovi, adattati al loro stile di apprendimento

La chiave di tutte queste applicazioni è la natura intuitiva dell’interazione: non c’è nulla di più naturale che controllare qualcosa semplicemente pensandoci.

Sfide e considerazioni future
Nonostante le promettenti applicazioni, questa tecnologia deve ancora superare alcune sfide:
Precisione della decodifica: sebbene il sistema mostri un miglioramento del 20% rispetto ai metodi tradizionali, c’è ancora margine di miglioramento nella precisione di interpretazione dei segnali cerebrali.

Portabilità: attualmente, i sistemi più accurati richiedono elettrodi posizionati sulla testa, che possono essere scomodi per l’uso quotidiano.

Questioni etiche: man mano che queste tecnologie si avvicinano a leggere il “pensiero”, sorgono importanti questioni sulla privacy mentale e sul consenso.


La tecnologia dei decodificatori neuromorfici basati su memristori rappresenta un ponte tra il modo in cui funziona il nostro cervello e il modo in cui funzionano le macchine. Invece di costringere gli umani ad adattarsi alle macchine imparando interfacce complesse, questa tecnologia permette alle macchine di adattarsi al modo naturale di pensare degli esseri umani.

Le applicazioni nella riabilitazione motoria potrebbero offrire nuova speranza a milioni di persone con disabilità, mentre l’integrazione con la realtà virtuale e aumentata potrebbe trasformare il modo in cui tutti noi interagiamo con la tecnologia.

Siamo all’alba di un’era in cui il confine tra mente e macchina diventa sempre più sfumato, aprendo possibilità che fino a poco tempo fa erano relegate alla fantascienza. E tutto questo grazie a minuscoli componenti elettronici che, proprio come il nostro cervello, sanno imparare dall’esperienza.