Considerazioni in merito alla registrazione all’estero di unità da diporto che
stazionano in porti italiani.
Il Belgio, sebbene affacci sul mare del nord con soltanto 66 km di costa, conta un gran numero di unità da diporto iscritte nei suoi registri navali; quantità di immatricolazioni che è in costante crescita. Non lo si fa per moda, né per sfuggire ai rigidi controlli del fisco, ma perché il sistema è più snello e più “umano”.
Anche gli italiani, come in precedenza i francesi, hanno scoperto come evitare di essere vessati da norme interne di cui spesso si fatica a comprendere il significato reale. I diportisti nostrani hanno, quindi, iniziato ad “emigrare” verso il Belgio e ciò nel pieno rispetto della legge nazionale ed internazionale.
Avendo l’Italia ratificato – con la legge 2 dicembre 1994 n. 689 – la convenzione di Montego Bay, è diventato possibile per un cittadino europeo iscrivere la propria unità da diporto presso il registro di un qualsiasi Stato aderente all’Unione. La ratio legis? Consentire la navigazione dell’unità anche in acque internazionali, senza alcun limite dalla costa.
In molti si sono avvalsi di quanto previsto dalla legge ed, infatti, “cresce il numero dei velisti che immatricola la barca in Belgio per sfuggire a una burocrazia opprimente e norme rigide”(1).
Ma conviene davvero issare bandiera straniera? Analizziamo la fattispecie nel dettaglio.
I cittadini dell’Unione Europea possono immatricolare la barca in Belgio senza essere residenti o domiciliati là; due sono i tipi di autorizzazioni per navigare in questa nazione: la lettre de pavillon, che viene rilasciata alle barche con lunghezza dai 2,5 ai 24 metri per la navigazione nelle acque marittime e la plaque d’immatriculation per navigare nelle acque interne. La patente nautica è necessaria solo per la navigazione nelle acque interne mentre in quelle marittime non occorre.
È opportuno però sottolineare che, se l’unità battente bandiera belga naviga in acque nostrane, il cittadino italiano che ne assuma il comando dovrà essere in possesso dell’abilitazione prevista dalla legge italiana per quel tipo di navigazione (quando ci si trova ad oltre le sei miglia dalla costa) o per quel tipo di unità (motore con potenza superiore ai 40,8 cavalli, ect…).
I principali vantaggi della bandiera belga sono:
- Anche un natante può navigare in acque internazionali e senza alcun limite dalla costa.
- Le dotazioni di sicurezza da tenere a bordo per legge sono minime perché si lascia piena autonomia decisionale allo skipper che, di volta in volta, deciderà quali siano le dotazioni necessarie per la navigazione da intraprendere.
- Le dotazioni di bordo non sono soggette a ripetitive, e talvolta inutili, revisioni.
- Non sono previsti i costosi controlli periodici a bordo dell’unità.
In Italia, invece, le dotazioni per ogni tipo di navigazione sono imposte dalla legge, così come è obbligatorio sottoporre barca e dotazioni di sicurezza a continui controlli (ad esempio la zattera deve essere revisionata la prima volta dopo tre anni dal confezionamento e successivamente ogni due).
Le perizie a bordo, fatte da un perito inviato dal R.I.N.A, hanno come fine quello del rilascio e del rinnovo del così detto certificato di sicurezza che obbligatoriamente devono avere tutte le unità immatricolate nella nostra nazione.
L’essenziale differenza, in questo caso, fra il nostro sistema e quello belga è che mentre il primo impone rigide norme comportamentali, il secondo appare più flessibile e concede una maggiore autonomia decisionale a chi assuma il comando di una barca.
Più autonomia non significa, però, assenza totale di regole. Infatti lo skipper di un’unità battente bandiera belga dovrà avere a bordo, obbligatoriamente, le seguenti dotazioni:
un giubbotto di salvataggio per ogni persona imbarcata, una boetta luminosa (in caso di navigazione notturna), due razzi di segnalazione ed una boetta fumogena o fuoco a mano, una bussola magnetica, luci di navigazione, corno da nebbia, uno scandaglio, un’ancora, un martello, un mezzo marinaio, pompa di sentina, remi, venti metri di cima, una torcia stagna, estintore, cassetta del pronto soccorso, contrassegno dell’assicurazione, carte nautiche, tavola delle maree, e nel caso di barca a vela, un gioco di vele completo. Non è obbligatoria, invece, la zattera di salvataggio e quella che fosse a bordo non deve sottostare alle periodiche revisioni che, a volte, hanno più il sapore di una tassa indiretta piuttosto che una chiara utilità pratica.
Quindi, partendo da una base di dotazioni obbligatorie, l’ordinamento belga fa affidamento al buon senso del comandante, ovvero al senso di responsabilità di colui che si assume –civilmente e penalmente – la responsabilità di una determinata navigazione.
Al contrario, l’ordinamento italiano appare cavilloso nel prevedere visite periodiche al fine di attestare l’affidabilità dell’unità: il certificato di sicurezza ha validità di 8 o 10 anni a seconda della categoria di progettazione dell’unità ed a seconda, quindi, della distanza dalla costa a cui la barca stessa è abilitata a navigare. Il tecnico inviato dal R.I.N.A. esaminerà la barca, alata in secco, per valutare lo stato di conservazione dello scafo ed esaminerà tutti i principali apparati di bordo (motore, impianto elettrico, prese a mare, pompe di sentina, etc..) per verificarne lo stato di manutenzione ed il corretto funzionamento. Qualche lettore starà pensando che è giusto operare tali controlli, ma lo stesso lettore forse non sa che l’impianto normativo nostrano impone tali obblighi soltanto all’armatore di un’imbarcazione, ma non anche al proprietario di un natante e ciò porta a porsi delle legittime domande riguardo alla reale necessità di tali perizie.
In Italia, infatti, ci sono tre tipologie di unità da diporto: natante è definita l’unità che non superi i 10 metri di lunghezza fuori tutto, imbarcazione è –invece- la barca che abbia una lunghezza compresa fra i 10 metri ed i 24 metri; superata tale lunghezza, l’unità viene definita nave.
Il nostro impianto normativo prevede discipline diverse per ciascuna di queste tre categorie e, pertanto, può essere considerato un ordinamento complicato e “burocratizzato”.
In Italia, infatti, il proprietario di un natante non è obbligato ad immatricolare la sua unità, e non dovrà, di conseguenza, sottoporla alle visite periodiche; sarà per lui come possedere una bicicletta o un qualsiasi bene mobile non registrato. L’armatore di un’imbarcazione dovrà, invece, immergersi nel mare della complessa burocrazia italiana e ciò, talvolta, fa desistere un appassionato dall’acquistare un’unità con lunghezza eccedente i 10 metri e spesso ci si “accontenta” di un mezzo che non superi tale lunghezza fuori tutto.
Verrebbe da chiedersi quale sia la differenza pratica fra una barca a vela di 9 metri e mezzo ed una lunga, per esempio, un metro in più. Secondo il nostro legislatore le differenze ci sono eccome, ma –al contrario- secondo la legge belga no.
In Belgio, infatti, tutte le barche di lunghezza compresa fra i 2,5 ed i 24 metri sono considerate imbarcazioni e sono soggette alla medesima normativa.
Nello stesso Stato, al termine della pratica di immatricolazione, occorre pagare una tassa di circolazione a cui sono soggette tutte le unità con lunghezza superiore ai 7,5 metri; tale tassa è calcolata in base all’età della barca e non in funzione delle dimensioni dell’unità. Il proprietario di una barca nuova pagherà 2.478,00 euro mentre quello di un’unità con 10 anni o più di anzianità pagherà soltanto 61,50 euro. Successivamente, ogni cinque anni, ciascun proprietario dovrà pagare 98,00 euro per il rinnovo della stessa tassa di circolazione.
Alla luce di queste considerazioni, conviene issare la bandiera belga sulla propria barca?
La risposta a questa domanda spetta a ciascun armatore, ma una cosa appare evidente: l’apparato normativo belga appare più semplice e meno opprimente da alcuni punti di vista. Certamente, poi, più datata è la barca e più ci può essere convenienza.
Occorre tenere presente, però, che sarebbe un errore pensare che la bandiera belga renda l’unità invisibile agli attenti occhi del nostro fisco. Il cittadino italiano è tenuto, infatti, a dichiarare la propria unità da diporto iscritta in registro estero, in apposita sezione (quadro “RW”) della dichiarazione dei redditi e, qualora non rendesse tale dichiarazione, sarebbe considerato un evasore fiscale. È quanto emerge dalla Circolare n.45/E in materia di “monitoraggio fiscale”, diffusa dall’Agenzia delle Entrate il 13 settembre 2010.
Non è –tuttavia- prevista una tassazione specifica, ma soltanto la dichiarazione al solo fine di controllare la coerenza del bene mobile dichiarato con il potere d’acquisto presunto dall’esame della dichiarazione dei redditi nel suo complesso.
Immatricolare la propria unità da diporto in Belgio non determina – dunque – l’invisibilità, né è da considerarsi alla stregua di una “migrazione” in un paradiso fiscale, ma dà luogo ad una serie di semplificazioni da non sottovalutare perché amplifica l’autonomia di ciascun comandante, dando molta importanza al buon senso del singolo.
I vantaggi, in sintesi, sono: nessun limite dalla costa indipendentemente dalla categoria di progettazione, dotazioni di sicurezza essenziali, nessuna necessità di far visitare periodicamente la barca da un perito e nessun controllo periodico sulle dotazioni di sicurezza.
Svantaggi veri non ce ne sono, anche se –ovviamente- sarà opportuno che il cittadino italiano proprietario di un’imbarcazione immatricolata all’estero si tenga aggiornato sulla normativa della nazione presso cui è registrata la sua unità; esser a bordo di una barca immatricolata nei registri belgi, equivale a trovarsi in territorio belga e ciò con tutte le conseguenze del caso. Il vero e grande vantaggio di far sventolare bandiera straniera è quello di poter navigare in acque internazionali e questo è importante nell’era della globalizzazione.
(1) Fabrizio Coccia, Sventola bandiera belga, in ‘Bolina’ n.280, novembre 2010, p. 45.