Conoscere è una delle prerogative necessarie per fare sempre meglio, per arricchire le potenziali risposte ai mille problemi che la vita ci riserva ogni giorno.
Il Sabatini Coletti, dizionario della Lingua Italiana pubblicato in internet dal Corriere della Sera, fornisce la seguente definizione:
Ciclostile: “[ci-clo-stì-le] s.m.
• Macchina da stampa di piccole dimensioni che riproduce scritti battuti a macchina o disegni incisi su una matrice di carta incerata. (anno 1926)”
Era la fine degli anni ’70 del secolo scorso e frequentavo il Liceo Scientifico Luigi Cremona a Milano. In quel contesto ho appreso e compreso il significato di lavoro di gruppo, di ricerche bibliografiche, di interdisciplinarietà dell’insegnamento e della multimedialità. Erano anni di fermento culturale e di partecipazione attiva degli studenti alla crescita dialettica tra oppressi ed oppressori, tra differenti classi sociali, fra cattolici, compagni e “fascisti” (termine abusato dalla sinistra per definire la destra, ma questo era il lessico all’epoca).
Si era reduci dal “sessantotto” e dagli sconvolgimenti di paradigmi secolari.
Il dibattito era internazionalizzato e l’attenzione era volta ai problemi del mondo intero. C’erano i Beatles ed i Rolling Stones cantava Morandi. Le scuole medie superiori, al pari delle Università, erano laboratori di sperimentazione di autodidattica e di “decreti delegati”.
La condivisione della conoscenza dalle aule didattiche si estendeva alle assemblee di Istituto, ai cineforum, alle riviste alternative spesso definite underground.
Fra di noi si scambiavano messaggi, convocazioni assembleari, proclami politici, appunti di lavoro grazie all’uso massivo del ciclostile. Molto meglio della carta carbone con la macchina da scrivere (troppo poche le copie che potevi fare), il ciclostile con una matrice permetteva di duplicare centinaia di copie del testo battuto o inciso a mano.
Era vera e propria editoria personale che poteva essere liberamente diffusa a condizione di riportare la dicitura “ciclostilato in proprio”.
Sempre dal Sabatini Coletti:
“Fotocopiatrice [fo-to-co-pia-trì-ce] s.f.
• Apparecchio per la realizzazione di fotocopie. (anno 1973)”
Era da pochissimo stata introdotta negli uffici quest’apparecchiatura quando, terminata la scuola media superiore con il conseguimento della Maturità Scientifica, mi iscrivevo alla Facoltà di Fisica del Dipartimento di Scienze Naturali e Fisiche dell’Università degli Studi di Milano. Animato di belle speranze, di vigore fisico ed intellettuale ed inserito attivamente nella vita politica e sociale cittadina facendo parte del Movimento Giovanile di uno dei più importanti partiti politici italiani ed europei. Anche in quel contesto il nuovo corso culturale aveva lasciato un profonfo segno innovatore e le dialettiche erano costruttive e basate su argomentazioni seriamente approfondite in comitati di studio con esperti di ogni disciplina: dalla sociologia all’urbanistica, dalla medicina alla logistica dei trasporti, e così via.
A noi giovani era stata data un’opportunità fantastica, potevamo essere elementi attivi e proattivi dello sviluppo culturale, economico e sociale dell’ambiente in cui vivevamo. Ambito territoriale non limitato alla zona di decentramento amministrativo, bensì a largo raggio dal cittadino al regionale ed oltre.
Fu proprio la fotocopiatrice uno dei miei strumenti preferiti per la diffusione delle mie idee, delle nostre idee.
In Università il quasi monopolio dialettico e politico era in mano alla sinistra extra parlamentare. Io avevo coniato una definizione specifica per caratterizzare il mio essere elemento politicamente impegnato… mi definivo “extra parlamentare di centro, contro gli opposti estremismi”. Extra parlamentare non perchè fuori dai canoni costituzionali, ma in quanto proiettato in avanti. Nel nuovo. Di centro, in quanto elemento composito della società, contro i massimalismi e le estremizzazioni, riduttive e “vecchie”, rappresentate dalle ideologie di inizio ‘900: espresse per giunta malamente da compagni e destrorsi.
Dicevo che fu proprio la fotocopiatrice il mio strumento preferito. Avevo ideato una piccola rivista autoprodotta e l’avevo denominata “L’iniziativa”. Aveva una sua copertina e conteneva al suo interno una raccolta di articoli innovatori nel pensiero politico e sociale del periodo. Spaziavano della necessità di legalizzare l’obiezione di coscenza per il Servizio di leva militare (obbligatorio all’epoca) all’urbanistica. Trattavano di risparmio energetico e di biodiversità, di sociologia e di antopologia culturale. Erano tutti però accomunati dalla stessa matrice ideologica e provenivano dall’immenso patrimonio editoriale cattolico italiano ed europeo.
Confezionavo la rivista con periodicità mensile e poi la distribuivo, prima delle lezioni, disseminando le centinaia di copie nelle varie aule didattiche. Non ho mai trovato nemmeno una copia buttata via nei cestini o criticata a malo modo. Era noto che fossi io il responsabile de L’iniziativa, ma il rispetto interpersonale con chi faceva politica in Università mi ha garantito carta bianca nonostante i differenti (ma non sempre lontani) obiettivi politici e sociali.
Il 2 agosto 2010 apparve in rete questo articolo ( http://www.apogeonline.com/webzine/2010/08/02/flipboard-che-cose-e-perche-fa-discutere ) :
“SOCIAL SOFTWARE
Flipboard, che cos’è e perché fa discutere”
a firma di Gabriella Longo che iniziava così: “Un giornale personalizzato, aggiornato automaticamente, basato su dinamiche sociali. Un sistema innovativo per distillare segnali dal rumore o un’aggregazione predatoria e poco sostenibile?”.
Sono trascorsi quasi 40 anni da quando si utilizzavano ciclostile e fotocopiatrici come strumenti editoriali, ma le logiche sono cambiate di poco, davvero di molto poco.
L’articolo continua così: “Lanciata il 20 luglio, ha suscitato subito grande interesse, a partire dalla segnalazione di Robert Scoble sul suo blog Scobleizer. Tant’è che, di lì a poco, il numero di richieste degli utenti ha reso inaccessibile l’applicazione per alcune ore. La pagina principale di Flipboard assembla in tempo reale le notizie di diversi siti e i contenuti condivisi dai propri amici su Facebook e Twitter, aggiornandoli periodicamente. Al momento, Flipboard consente l’accesso solo a questi due social network, ma, stando alle dichiarazioni del fondatore Mike McCue, presto integrerà anche Flickr, Foursquare, Yelp e LinkedIn”.
Nella seconda metà del 2013 è iniziata la nostra nuova avventura editoriale a completamento delle molteplici e variegate pionieristiche esperienze comunicative messe in atto dal 1994 nel contesto del Progetto di Comunicazione Globale di See IT, già società Spin Off del Laboratorio di Ricerca Educativa dell’Università degli Studi di Firenze dall’anno 2000 in sinergia con l’Associazione scientifica Fatateam e con EgoCreaNet.
Abbiamo chiamato INTERPLAY la nostra “rivista” ed abbiamo esteso la creazione editoriale della stessa attualmente a circa venti “redattori” esperti in campi del sapere diversi fra loro, ma complementari per la comprensione del mondo che ci circonda.
Per accedere alla rivista da pc: http://interplay.info
Ad uno di loro, Fabrizio Di Pietro, la parola per raccontare la “sua” Interplay.