La mediazione Familiare può riguardare qualsiasi lite o controversia, da dover affrontare ed eventualmente definire negli ambiti familiari, non solo tra coniugi, ma anche tra ex coniugi o ex conviventi e nei confronti dei figli, in particolare se minori.
Il Mediatore Familiare, quindi, si trova a doversi occupare di questioni c.d. relazionali, sociali, psicologiche, economiche e giuridiche nei diversi settori ed aree, dovendo seguire un percorso di mediazione, facente parte, sia di una fase processuale (endoprocessuale), sia di una fase precedente, ovvero successiva, ovvero estranea al processo (preprocessuale o extraprocessuale).
Mi permetto di segnalare solo alcuni dati per avere il quadro di riferimento, nel quale la nuova figura del Mediatore Familiare (soggetto terzo, imparziale e ben formato) opera in modo professionale e competenze nelle diverse discipline, ben potendo risultare prezioso ed a volte determinante nei conflitti familiari, in particolare nell’ascolto dei minori.
A proposito degli abusi sui minori il Papa al termine della messa di Piazza S. Pietro il 5 maggio ultimo scorso, ha invitato tutti ad impegnarci con chiarezza e coraggio affinché ogni persona umana, specialmente i bambini, che sono tra le categorie più vulnerabili, sia sempre difesa e tutelata.
Secondo i dati Istat, ultimamente una coppia su tre circa si separa, con tutte le conseguenze che ne derivano, di tipo sociale, psicologico relazionale ed economico ecc., in particolare se nella coppia vi sono dei figli minori.
A ciò aggiungasi ulteriori dati significativi sempre diffusi dall’Istat, secondo i quali risulta che:
1) il 14% circa delle donne che hanno o hanno avuto un partner nel corso della vita, sono state vittime di abusi;
2) il 68% circa delle violenze si consumano tra le mura domestiche;
3) solo nel 7% circa dei casi di violenza è stata proposta denuncia;
4) il restante 93% circa delle violenze fisiche, psicologiche e sessuali, rimangono silenti e non seguono il percorso giudiziario.
Sono dati dai quali non possiamo prescindere per poter affrontare in modo “efficace” tutte le questioni che sorgono nei rapporti di convivenza e nei percorsi di mediazione familiare.
L’ultimo dato riportato al numero 5), rappresenta un fenomeno che si riferisce al c.d. numero “oscuro”, ovvero ai casi di “criminalità sommersa”, nel quale la vittima, non decide immediatamente di intraprendere azioni legali e giudiziarie, ma preferisce almeno, in prima battuta, avvicinarsi e condividere le proprie problematiche con i servizi sociali, presso i centri di mediazione familiari presenti sul territorio, denominati anche centri di ascolto, presso le associazioni o presso i consultori familiari delle Asl o anche dei Comuni, ovvero presso un professionista mediatore esperto in materia familiare, o anche presso gli organismi di Mediazioni civile (ai sensi del D.Leg.vo n. 28 del 2010) per quei tipi di controversie avente ad oggetto diritti disponibili.
Nonostante il ruolo fondamentale che l’esperto familiare nel tempo sta assumendo, di fronte a casi delicatissimi, specie quando ci sono fatti penalmente rilevanti anche gravi, purtroppo allo stato, non abbiamo una normativa di riferimento che regolamenti in modo organico tutta la presente materia.
Così come purtroppo non esiste (salvo l’attuazione di protocolli europei seguiti in Italia da associazioni private) una legge nazionale che indichi quali siano le modalità per diventare mediatori familiari, i requisiti minimi richiesti allo stesso e né tantomeno la formazione per mantenere tale titolo.
A volte sono chiamati a dover non solo “ascoltare” ma anche a guidare, consigliare, stemperare gli animi anche a fini riconciliativi, intervenire di propria iniziativa o su richiesta del magistrato che in sede civile, tutelare e penale si sta occupando di quel caso, specie se sono coinvolti dei minori, il che presuppone una adeguata preparazione e competenze sempre più specialistiche.
Ci possiamo trovare di fronte ad una separazione, avente ad oggetto questioni puramente e semplicemente di tipo “patrimoniale” (esclusivamente per la divisione dei beni e per la misura dell’assegno mantenimento), ma possono manifestarsi, ed è questo il tema principale di cui ci stiamo occupando, anche casi ed episodi di violenza, nelle diverse forme, che possono avere come vittima, purtroppo anche i minori.
Infatti soprattutto a seguito di separazioni (anche solo di fatto), che non sono “accettate”, possono manifestarsi una serie di “maltrattamenti” commessi a danno della vittima, di tipo verbale, fisico o sessuale, ovvero condotte, in sé, prive del requisito di violenza, (pedinamenti, appostamenti ecc.), ma che potrebbero precedere o in qualche modo annunciare un fatto di violenza, mediante cd. atti persecutori (Vedi il nuovo reato c.d. di stalking, ai sensi dell’art. 612 bis c.p.).
Ovviamente nel caso di una separazione, che si sta svolgendo dinanzi al Giudice (Presidente del Tribunale o Giudice f.f.) della sezione separazione e divorzi e quindi in sede civile, il Mediatore Familiare non potrà mai essere obbligato a deporre, su fatti di cui è venuto a conoscenza nel percorso della mediazione, il problema si pone, invece, se viene sentito dalla Polizia giudiziaria nel corso delle indagini, oppure dal Giudice penale, su circostanze penalmente rilevanti.
In quest’ultimi casi, io direi che la facoltà di astenersi dal deporre, invocando la riservatezza e segretezza delle operazioni mediatorie, sono da ritenersi “affievolite”, lasciando lo spazio alla tutela della persona offesa dal reato, all’obbligo da parte del Mediatore di contribuire alle attività di indagine della Polizia Giudiziaria, ovvero alla ricerca della verità, promossa in ambito giudiziario penale.
Ulteriore problema che si pone è se il Mediatore, nell’esercizio delle proprie funzioni, di fronte a fatti che integrano gli estremi di un reato, abbia un obbligo o meno di redazione di un verbale (almeno indicando il motivo di rinvio o di chiusura del verbale) di quanto appreso dalle parti e se abbia, altresì, un obbligo di trasmissione della denuncia all’autorità Giudiziaria.
I casi si possono riassumere, a seconda se il Mediatore, nel corso della mediazione:
a) apprende da una parte che il partner commette atti di violenza (fatti che sono avvenuti nel passato);
b) assiste ad aggressioni di tipo verbale o fisico più o meno gravi, di uno nei confronti dell’altro (fatti che avvengono dinanzi a lui nel corso della mediazione);
c) ascolta una minaccia proferita da una parte (fatto minacciato, che poi puntualmente accade in un momento immediatamente successivo all’incontro di mediazione).
Ovviamente se la persona “esperta” in mediazione familiare, sta svolgendo la propria attività, come incaricato dal Giudice ai sensi dell’art. 155 sexies c.c., dovrà, senza indugio, avvertire tempestivamente il Giudice titolare del procedimento ed eventualmente relazionare allo stesso, l’accaduto, specie se tali fatti sono talmente gravi, da impedire il proseguio delle operazioni peritali, dando atto dei motivi della sua interruzione.
A questo punto, mentre per il libero professionista mediatore nulla quaestio, il problema ancora oggi non chiarito definitivamente, riguarda, non tanto il mediatore familiare che opera in un centro di mediazione “privato”, ma se è un mediatore che lavora invece in un centro di mediazione “pubblico”, (presso un Comune o presso l’Asl ecc.), che per le conseguenze che ne derivano (in particolare anche ai fini dell’eventuale omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 361 c.p.) potrebbero essere considerati persone incaricate di pubblico servizio (Vedi art. 358 c.p.) o molto probabilmente persone esercenti di pubblica necessità (Vedi art. 359 c.p.).
E’ interessante vedere come l’art. 359 c.p., nel definire le persone che esercitano un servizio di pubblica necessità, successivamente nei due numeri 1) e 2), individua una distinzione tra coloro che (come “privati”) esercitano con una speciale abilitazione dello Stato (es. gli Organismi Privati di mediazione civile autorizzati ai sensi della legge n. 28 del 2010) e coloro che (sempre come “privati”) adempiono ad un servizio di pubblica necessità, mediante un atto della Pubblica Amministrazione.
Nel caso che ci interessa, quindi, la soluzione consiste nel significato e valore giuridico da attribuire alla definizione di “atto” della P.A., nel momento in cui si vadano a regolamentare i rapporti dell’Ente pubblico con il soggetto privato (anche sotto forma di associazione), che svolge un servizio di pubblica necessità, ad oggetto il servizio di mediazione familiare.
Il nodo vero da sciogliere è quello di poter individuare lo status giuridico del Mediatore familiare (o anche dell’esperto in mediazione familiare) attraverso una normativa di riferimento che prosegua, migliori e completi l’iter tracciato già dalla legge n. 154 del 2006 (c.d. Affido condiviso) che dia certezza e garanzia del servizio reso ai cittadini, in particolare sia da coloro che in quanto professionisti rispondono eticamente al proprio codice deontologico del proprio albo di riferimento (albo degli psicologi, degli avvocati ecc.), sia per coloro che vorranno iscriversi presso le associazioni di categoria dei professionisti senza albo, ai sensi e per gli effetti della nuova legge n. 4 del 2013.