Giorno dopo giorno, telegiornale dopo telegiornale, ascoltiamo da anni oramai che una quantità di immigrati sono deceduti cercando di arrivare attraverso il mare mediterraneo alle nostre coste.
E così ora, siamo veramente tutti assuefatti. Non so neanche se sia un termine adatto all’occasione, ma credo facilmente comprensibile per chi vive in Italia da un po’ di anni. Oramai, non ci fa più impressione, sentiamo distrattamente la notizia e al massimo ci scappa un “povera gente!” e si passa oltre.
Nel dizionario sta scritto:
assuefazione
[as-sue-fa-zió-ne] s.f.
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1 Il prendere un’abitudine: a. ai lavori manuali
-
2 med. Adattamento dell’organismo a determinate sostanze che vanno quindi assunte in dosi sempre maggiori; dipendenza dall’alcool, dalla droga: l’eroina dà a.
E francamente, una cosa del genere non è ammissibile.
Stiamo parlando di esseri umani, neanche le bestie vengono trattate in questa maniera. Quando le mucche ed i maiali vengono portati al mattatoio si fa attenzione che viaggino bene per farli arrivare in buone condizione, altrimenti la merce può perdere valore.
Ognuno di questi cadaveri sepolti nel mediterraneo apparteneva in vita a qualcuno; a qualcuno che lo ha partorito, a qualcuno che lo ha conosciuto, amato, avuto a che fare con lui/lei.
Dietro ognuno di loro c’è una storia, che non è tanto diverse da quella della signora filippina che lavora nelle case della borghesia italiana, della quale i suoi “padroni” conoscono – a questo punto dopo tanti anni di servizio – madre, padre, sorelle, figli, nipoti e tutto quanto. Stessa situazione con la badante russa o ucraina che vive con la nonna e che ogni estate parte carica di regali e articoli di prima necessità in autobus per congiungersi con i propri familiari. Ma, certo, le ucraine, le peruviane le filippine sono delle migranti alle quali lentamente ci siamo abituati e molte volte anche controvoglia, ma faceva comodo poter mantenere i nostri anziani in casa e non dovere portarli ad un posto sconosciuto per loro e molto più dispendioso per loro e per noi. Dunque, con rassegnazione, lamentandoci un po’, reclamando che certe volte queste slave alla fine si accaparrano i nostri vedovi incauti perché ci sanno fare, sono entrate dentro il panorama quotidiano degli italiani. Lo stesso discorso per i camerieri, giardinieri e tuttofare di sesso maschile.
Ma gli africani sono diversi, si vedono subito, non puoi nascondere il loro colore, la loro esuberanza, e certe volte la loro bellezza. E a questo punto, è più facile considerarli una massa non identificabile. Un corpo in più che, dipendendo molte volte solo dalla fortuna, può avere la possibilità di vivere un po’ di più.
Anche qui, ci bendiamo gli occhi e l’ignoranza ci viene in aiuto dandoci una grossa mano. Se tu non sai nemmeno identificare i diversi paesi che formano il continente Africano, e non distingui veramente un paese nella mappa, è difficile dargli una identità.
La lista è lunga:
Algeria – Angola – Benin – Botswana –Burkina Faso – Burundi – Camerun – Capo Verde – Centraf. Rep. – Ciad – Comore – Congo – Congo Rep. Dem. – Costa d’Avorio – Egitto – Eritrea – Etiopia – Gabon – Gambia – Ghana – Gibuti – Guinea – Guinea Bissau – Guinea Equator. – Kenia – Lesotho – Liberia – Libia – Madagascar – Malawi – Mali – Marocco – Mauritania – Maurizio – Mozambico – Namibia – Niger – Nigeria – Ruanda – Sao Tomé – Seychelles – Senegal – Sierra Leone – Somalia – Sudafrica – Sudan – Swaziland –Tanzania – Togo – Tunisia – Uganda – Zambia – Zimbabwe.
Vi invito a cliccare su alcuni di loro e a vedere con i vostri occhi quanto possono essere diversi per condizioni climatiche, politiche, socioeconomiche questi paesi che compongono il continente Africano. Prendiamo per esempio l’Angola e lo Zimbabwe, uno colonizzato dai Portoghesi, l’altro colonia Britannica, e quanti sanno che il Lesotho è una monarchia costituzionale già colonia Britannica?
Gli essere umani hanno paura dello sconosciuto, intrinsecamente, visceralmente, ed a questo punto entra in gioco la nostra intelligenza emotiva (vedi Emotional Intelligence: la comunicazione non verbale) con tutte le conseguenze sociali per la convivenza.
Non conoscerli e non permettergli di farsi conoscere rende molto più facile respingerli. Così, siamo abituati a sentire le notizie al telegiornale dare la conta dei morti del giorno, dei barconi arrivati, e noi non sentiamo, andiamo oltre. Quando alla uscita del supermercato c’è l’uomo di colore a chiederti qualcosa da mangiare noi non lo vediamo, fa parte anche lui della massa descritta così bene dai telegiornali, dai giornali, dai politici, da tutti quelli che hanno paura, non conoscono e ci danno la scusa per non vedere. E tiriamo diritto.
E se fosse necessario per capire che la migrazione non è un problema solo nostro è di oggi questa notizia: “Migranti: in centocinquanta cercano di attraversare Eurotunnel: caos a Calais”.
Il giorno che ho lasciato la mia terra per la prima volta per un periodo che sapevo sarebbe stato lungo, tutta la mia famiglia mi ha accompagnato all’aeroporto. In quella epoca si usava così. Avevo solo 19 anni e lasciavo l’ultimo paese del Sudamerica, il Cile, per volare fino a Londra. Migrazione di lusso!
Certo, con i soldi in mano non ci sono problemi.
Le porte ti vengono aperte e devi solo rispettare le regole di convivenza civile del paese in questione, d’altra parte ognuno è tenuto a farlo anche nel proprio paese di origine.
La mia diventò migrazione permanente perché alla fine dei miei programmati studi sono tornata in Cile, dove c’erano stati dei grossi cambiamenti politici che hanno segnato la storia non solo per noi, e così solo per quello che oggi posso considerare un breve periodo di circa 2 anni in tutto. Ho poi definitivamente preso un aereo e lasciato il mio paese fino ad oggi. Essendo bianca, diciamo di razza caucasica, né troppo alta, né troppo bassa, ossia normale, nella media, mi sono sempre adattata ai diversi paesi nei quali ho vissuto. Non sempre è stato facile, certe volte mi viene ancora oggi una nostalgia enorme (vedi Aria di casa) per quello che ho identificato come “aria di casa”.
Figuriamoci per chi scappa perché ha fame, perché c’è la guerra, semplicemente perché spera in una vita migliore.
La soluzione politico/economica deve essere trovata, ma nel frattempo cerchiamo di svegliarci un po’ e di eliminare questa assuefazione che ci ha fatto diventare impermeabili al dolore, alla sofferenza umana.
Ridiventiamo un po’ più degni di essere chiamati umani!