ECONOMIA E COMPLESSITA'
“La
complessità è ciò che
non è semplice. L’oggetto semplice
è l’oggetto che può essere
pensato come un’unità elementare
non scomponibile”. Tale definizione
di complessità elaborata da Morin credo
si possa applicare perfettamente alla realtà
economica, definita da alcuni come un mero
aggregato di individui regolati da un corpus
normativo.
Per molti anni la teoria economica si è
servita di strumenti presi in prestito dalle
scienze fisiche, tentando di interpretare
la realtà e gestirla al meglio, riducendola
in unità elementari non scomponibili
(il consumatore e l’impresa). Sotto
l’impulso positivista e con l’assistenza
del meccanicismo classico si è cercato
poi di ricomporre le singole unità,
pensando che il comportamento del sistema
aggregato avrebbe seguito le stesse leggi
delle unità scomposte. Di qui i modelli
walrasiani, vere e proprie opere di ingegneria,
e su questa scia gran parte dei modelli attuali,
divenuti dei meri trattati di analisi matematica.
(A tale riguardo, si racconta che durante
il regime comunista di Ceausescu, un fisico
rumeno riuscì ad intraprendere lo studio
dell’economia attraverso la rivista
“Econometrica”, sfuggita alla
censura, solo perché nessuno riuscì
a capire di cosa si trattasse).
Se è vero che il processo conoscitivo
è allo stesso tempo un processo esemplificativo,
(poiché si percepisce non la realtà
delle cose in sé, ma la sua fenomenologia),
ciò non significa che si debba smantellare
troppo lo strato di complessità che
avvolge la natura delle cose, vale a dire
- usando le parole di Morin - non si deve
“scartare come epifenomenico tutto ciò
che non rientra in uno schema semplificatore”.
Un sistema economico, però, è
un sistema complesso composto da miriadi di
agenti interattivi, ergo non prevedibile e
non manipolabile. Gli agenti economici non
sono tutti uguali, non hanno tutti le stesse
preferenze (innate ed immutabili), non vivono
in uno squarcio di tempo uniperiodale (o al
massimo biperiodale), ma soprattutto non si
avvalgono di strumenti matematico-statistici
per comprare una Coca-Cola. Diversamente essi
cambiano continuamente preferenze (spontaneamente
o in maniera indotta) e sono talmente influenzabili
che le loro scelte non possono essere ritenute
sempre razionali (come vorrebbe invece buona
parte della teoria economica ortodossa). Da
tale contesto risulta chiaramente come il
sistema economico non possa essere percepito
come una macchina, che generi dei risultati
predefiniti, abbassando semplicemente una
leva. La leva si può abbassare, ma
non sappiamo cosa potrà accadere, poiché
le variabili del sistema – se così
vogliamo dirla – sono troppe, e la soluzione
talmente complessa che, negli anni
Trenta, lo stesso Max Plank - che di matematica
se ne intendeva - definì tali calcoli
“troppo difficili”.
La realtà economico-sociale è
più complessa di quanto non
si voglia credere: pretendere di comprenderla
e soprattutto di manipolarla è il sogno
irrealizzabile di infermi onnipotenti.
Essa è una realtà complessa
e come tale non atomizzabile. Indipendentemente
dai singoli individui, è un organismo
che vive di vita propria e che ha dei propri
equilibri “biologici” (e non walrasiani).
Interpretare tale organismo in modo ipersemplificato,
adattandolo a schemi meccanici predefiniti,
ci conduce ad avere una percezione distorta
di tale realtà e ad abbassare delle
leve che potrebbero far collassare il sistema
stesso. Si potrebbe pensare, allora, come
fanno alcuni, che la politica economica sia
uno strumento dannoso, per cui sarebbe meglio
lasciare il mercato a sé stesso, poiché
esso è sempre in equilibrio. Con molta
probabilità, una politica economica
che tenga conto della complessità potrebbe
perseguire molti dei risultati attesi, orientando
l’economia verso acque più tranquille.
Per una realtà complessa ci
vorrebbe una politica economica “complessa”,
ovverosia capace di interagire con la complessità:
una politica economica “endogena”,
un “vaccino”, che iniettato nel
sistema lo renda capace di autoequilibrarsi,
riducendo (non azzerando) le oscillazione
del ciclo.
M. Proust, ne “Il tempo ritrovato”,
scrisse che “ la vita e le circostanze
stesse sono un po’ più complicate
di quanto non si dica. C’ è una
pressante necessità di mostrare questa
complessità ”. La speranza è
che tale “pressante necessità”
non induca ancora a “scartare come epifenomenico
tutto ciò che non rientra in uno schema
semplificatore”.
Armando Savini
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