Il Business Continuity Plan
1. DEFINIZIONE
2. I PRINCIPI CARDINE
La Sicurezza e la Business Continuity costituiscono
una questione di competenza dell'Alta Direzione
in quanto richiedono di saper conciliare l'efficacia
delle misure di mitigazione dei rischi con l'ottimizzazione
delle risorse utilizzate.
Business Continuity Plan significa redigere
un piano con la finalità di permettere
all'organizzazione di continuare le operazioni
necessarie al mantenimento o all'accrescimento
del proprio business in qualsiasi condizione
critica. Un progetto di questo genere comprende
una ristrutturazione ed ampliamento di tutte
le procedure interne, una valutazione dei sistemi
aziendali (applicazioni, infrastrutture tecnologiche,
assetto organizzativo) e un fase di adeguamento
e formazione del personale.
Business Continuity Plan (BCP) è il
termine utilizzato per indicare le attività
finalizzate a garantire il proseguo del business
dell'azienda a fronte di eventi classificati,
ovvero l'insieme delle attività volte
a garantire la continuità dei processi
aziendali che concorrono al "core business"
dell'azienda. Vengono quindi coperti anche quegli
aspetti non prettamente informatici, quali,
per esempio risorse umane, interfacciamento
verso i fornitori, aspetti comunicativi in caso
di crisi.
Questo piano consente di predisporre quanto
necessario per:
1. Reagire per assicurare il ripristino dei
processi critici
2. Guidare le scelte in caso di crisi
3. Definire procedure alternative per assicurare
l'operatività
4. Ridurre il tempo di interruzione dei processi
aziendali critici
5. Assicurare che le procedure di ripristino
siano efficaci
Tale documento deve possedere una portata operativa
immediata. In sostanza, un Business Continuity
Plan efficace si basa sull'accettare come fatto
che esiste sempre un elemento di rischio: il
punto è localizzarlo, valutarlo, stimarne
gli effetti e decidere se e come assumersi il
rischio. Tutto ciò che è necessario
per la continuità operativa, sia i processi
essenziali, sia quelli di supporto, devono essere
analizzati e presi in considerazione nella definizione
di un piano di continuità. Considerando
che lo scenario competitivo che influenza la
consistenza del business muta continuamente
per effetto di fattori esogeni (reazione a cambiamenti
del mercato) ed endogeni (riassetto organizzativo)
il piano di continuità può essere
paragonato ad una istantanea dell'azienda e
pertanto valido fino a quando i suoi elementi
portanti non mutano. Da quanto detto si deduce
che sicuramente la definizione di un piano di
continuità parte da una esigenza di affidabilità
dei sistemi intesa non solo come risposta a
problemi IT ma soprattutto come Disponibilità
dei sistemi a supporto dei Processi di Business.
I confini tematici e metodologici del "Business
Continuity Plan" hanno subito negli ultimi
anni un significativo mutamento, muovendosi
da un'interpretazione rivolta essenzialmente
al Disaster Recovery, focalizzato univocamente
su information technology and system recovery,
a tutti gli aspetti del business spaziando,
quindi, dai metodi di alta affidabilità
dei sistemi, fino alle gestione delle risorse
umane: si è maturata nel tempo la coscienza
di essere di fronte ad un processo di gestione
che deve essere costantemente revisionato, aggiornato
e testato al fine di creare massima aderenza
alle esigenze di business (in figura 1 si vede
come il Disaster Recovey è una disciplina
le cui tematiche sono un sottoinsieme di quelle
del Business Continuity Plan.).
Figura 1 - Business Continuity Plan: un
sovrainsieme del disaster recovery
L'obiettivo del Disaster Recovery è
quello di garantire a fronte degli eventi classificati,
il Ripristino del sistema informatico. La relazione
di appartenenza di un Disaster Recovery Plan
al dominio del Business Continuity Plan può
essere rappresentata nel modo seguente:
3. BCP COME FATTORE CRITICO DI SUCCESSO
Il successo nella progettazione ed implementazione
di un Business Continuity Plan efficace è
dipendente da un insieme di fattori tra loro
collegati:
- Tempo
- Aggiornamento continuo delle soluzioni
- Valutazione continua del rapporto fra costo/complessità
della soluzione e valore/priorità business
e normativa del processo protetto
- Costi complessivi
- Ampiezza dell'impatto fra le funzioni coinvolte
(in numero e in impegno di risorse)
Una soluzione di Business Continuity è
inutile se non è aggiornata ed è
sufficiente una variazione ad una qualunque
componente del processo alla base per introdurre
un elemento di debolezza che può essere
determinante. La velocità dei cambiamenti
nelle organizzazioni moderne, unitamente all'evoluzione
dei mercati, della clientela e della tecnologia
è tale che starne al passo costituisce
il maggior elemento di criticità dell'intero
progetto.
La gradualità nella soluzione, sia in
termini di numero di processi considerati che
di profondità e dettaglio dell'analisi,
è l'unico modo con il quale ridurre la
complessità ad una dimensione gestibile
ed efficace mantenendo un controllo dei costi.
L'aumento tout-court del numero di risorse dedicate
(sia interne, che esterne) e del budget economico
ha un andamento inferiore rispetto al volume
di soluzioni prodotte, in quanto la fruibilità
delle soluzioni (condizione necessaria per essere
effettivamente tale) rischierebbe di scontrarsi
con una struttura non pronta a recepirle e ad
attuarle in caso di necessità.
4. LA COSTRUZIONE DI UN BCP
4.1. OBIETTIVI, METOLOGIA E MODELLI
Gli obiettivi portanti di un Business Continuity
Plan sono:
- Ripristinare una situazione di normalità,
entro un tempo prestabilito, in funzione dei
livelli attesi di servizio e di rendere minime
le perdite procurate dall'interruzione delle
attività.
- Garantire continuità dei principali
processi per assicurare l'erogazione dei servizi
critici.
L'implementazione di Continuity Plan pur differendo
a seconda dell'ambiente di riferimento, presenta
alcuni punti in comune.
E' necessario adottare allora una metodologia
di BCP ben strutturata e verificabile; al momento
sono disponibili un elevato numero di standard:
i più importanti sono quelli sviluppati
da:
- Disaster Recovery International Institute"
(DRI),
- Business Continuity Institute" (BCI),
- National Institute of Standards and Technology"
(NIST)
- Information Systems Audit and Control Association"
(ISACA).
Tutte queste organizzazioni concordano sulla
presenza del seguente set minimo di best practices
quando si disegna e realizza un piano di business
continuity:
- deve essere approvato un budget per il BCP
da parte del top management;
- deve essere identificato una struttura che
in caso di disastro o di interruzione del servizio
coordini la strategia di ripristino;
- deve essere previsto un sistema per la gestione
degli incidenti o comunque un processo per controllare
la situazione ed operare il ripristino;
- il piano deve essere periodicamente rivisto.
Gli step imprescindibili per implementare un
BCP sono:
1. Assessment. Valutazione dei processi aziendali
primari e di supporto che evidenzi i processi
critici per il core business del cliente e per
assicurare un reale coinvolgimento del top management.
2. Analisi dei risultati dell'assesment per
definire il perimetro d'azione del L'identificazione
del perimetro riveste un ruolo essenziale del
progetto. I fattori da considerare sono molteplici:
- Perimetro geografico : N° siti (utilizzatori,
tecnici) e locazione.
- Perimetro funzionale : attività interessate
dal BCP (es: attività clienti,contabilità....)
- Perimetro tecnico : ambiente informatico
- N° di persone per perimetro geografico/funzionale
- Eventuali date e scadenze.
3. Predisposizione delle procedure da effettuare
in caso di attuazione del piano di Business
Continuity. Il BCP prevede l'utilizzo delle
procedure anche in caso di disastro parziale
(indisponibilità di un sottoinsieme dei
servizi di infrastruttura) per garantire una
reale continuità del business .
4. Supporto post-implementazione. Lo stesso
BCP deve prevedere i tempi, le applicazioni
da testare e le risorse coinvolte e simulare
gli scenari di rischio descritti per singolo
processo per verificare la validità delle
soluzioni individuate. Inoltre aggiornare le
procedure o il piano stesso con le eventuali
azioni correttive dedotte dai risultati delle
simulazioni.
Il Business Continuity Institute (BCI), in
particolare, fornisce una guida operativa che
approfondisce soprattutto gli aspetti collegati
alla strategia che è alla base della
definizione dei fattori critici di successo
( a livello di processo e prodotto/servizio)
del business.
Figura 2 - L'approccio del Business Continuity
Institute
Il modello è a carattere generale, non
è basato su specifici aspetti tecnici
e considera gli elementi della strategia come
elementi complessi formati da risorse, organizzazione
e processi. L'elemento "sistemi informativi
ed informatici" è pertanto una componente
del sistema, nella cui misura del rischio e
determinazione delle soluzioni verranno impiegate
le linee guida della ISO 27001, mentre per quanto
riguarda i modelli di controllo, valutazione
e confronti con le best practices vengono seguiti
i criteri del Cobit.
Un'altra strada efficace è quella suggerita
dall'ADFOR, che suggerisce
di suddividere le fasi del modello del Business
Continuity Institute in 3 gruppi logici:
1. IMPLEMENTATIONE: che comprende i livelli
di maturity da 1 a 3, che rappresentano gli
stadi iniziali dell'analisi e della progettazione
delle soluzioni.
2. SVILUPPO, che equivale al livello individuato
dalla maturity 4;
3. MANUTENZIONE, che comprende i livelli 5 e
6.
Ognuno di tali gruppi logici può essere
utilizzato come riferimento per un approccio
graduale per l'introduzione del BCP in un'organizzazione.
Ciò consente di ottenere 4 vantaggi:
1. Si mantiene l'approccio evolutivo step-by-step
coerente con il modello complessivo;
2. Si divide e si riduce ulteriormente la complessità
frazionando l'approccio e non solo il set di
processi;
3. Si garantisce la possibilità di riassemblare
via via il lavoro svolto riconducendolo allo
standard di riferimento con il minimo sforzo;
4. Si portano in deployment ed maintenance non
appena possibile le soluzioni individuate;
Operando di volta in volta soltanto su una
parte dell'intero set dei processi di business,
finchè tutti i processi individuati non
avranno raggiunto un certo livello di maturity
non sarà possibile affermare che il proprio
Business Continuity Plan ha raggiunto tale livello
di maturity.
4.2. LA METOLOGIA NEL DETTAGLIO
Il seguente schema fornisce una valida guideline
per l'implementazione di un BCP.
4.3 LA MAPPATURA DEI PROCRESSI E DEI
LIVELLI DI SERVIZIO PER PREDISPORRE IL BCP
Qualunque sia la realtà che si vuole
analizzare, esiste sempre e comunque un punto
di partenza: la definizione dei processi e i
relativi livelli di servizio.
Nella costruzione di un BCP non si può
pensare di limitare l'identificazione dei processi
a quelli dell'infrastruttura tecnologica: le
tecnologie costituiscono solamente uno degli
aspetti che influenzano il corretto funzionamento
di un processo. Essenzialmente il punto di partenza
è l'identificazione delle esigenze di
business: quali strumenti vengono utilizzati
dai responsabili dellìorganizzazione?
Chi sono i process owner? Esiste una procedura
che deve essere seguita per svolgere tale attività?.
Nel caso in cui esista un sistema informativo
di supporto alle attività, come ad esempio
un ERP interno all'azienda, è essenziale
verificare quali siano i componenti applicativi
che forniscono il sevizio; in questo caso specifico
la maggior parte degli sforzi per la definizione
del piano, devono essere incentrati nell'analisi
dell'applicativo: poiché ci si appoggia
su un sistema informativo per la totalità
o comunque buona parte delle attività,
è chiaro che il sistema rappresenta il
fulcro del business. Spesso la determinazione
di un livello garantito è percepita semplicemente
come un contratto attivabile laddove si instauri
un rapporto con un fornitore esterno, ma meno
ritenuto necessario/opportuno qualora ci si
muova nell'ambito aziendale. In una logica di
massimizzazione dell'efficienza e dell'efficacia
appare auspicabile la sistematica applicazione
di regole e presidi analoghi a quelli utilizzati
nei rapporti con fornitori esterni. In generale,
comunque, l'importanza di fissare con precisione
la qualità attesa/garantita dei servizi
informatici, di disporre di adeguati strumenti
per la sua verifica e di un apposito flusso
informativo che renda conto all'utente della
qualità effettivamente erogata non sembrerebbe
essere un dato acquisito in maniera generalizzata.
Nella definizione dei livelli di servizio è
necessario tener conto dell'influenza di più
attori coinvolti nella fruizione del servizio.
Si prenda a ad esempio un sistema applicativo,
le figure interessate sono:
1. Contraente: chi trae vantaggio dall'erogazione
del servizio. Definisce tutti i requisiti;
2. Utente: chi utilizza il servizio;
3. Fornitore: chi gestisce il servizio.
Il livello di servizio associato a ciascun
processo si ripercuote su ciascun componente
applicativo: garantire un livello di servizio
per l'intero processo, significa garantire il
livello di servizio di ciascun componente.
Una volta identificati i processi più
critici e associatogli un livello di servizio,
è necessario definire le procedure: come
abbiamo detto all'inizio dell'articolo, il Continuity
Paln si concretizza in un'insieme di procedure
atte a garantire il ripristino dei servizi in
caso di "rotture". Che tipo di procedure
devo avere? Cosa devono contenere queste procedure?
La definizione delle procedure è differente
a seconda della realtà in cui ci troviamo.
Risulta pertanto più utile identificare
categorie di procedure. Possiamo innanzitutto
identificare due differenti categorie:
Generiche: procedure di carattere generale
che costituiscono il punto di partenza nella
gestione dei problemi. Fanno parte di questo
gruppo:
- Procedure di Problem escalation.
- Procedure di Problem determination.
- Procedure di gestione/manutenzione degli
ambienti.
Le procedure di Problem Escalation identificano
"le responsabilità" del problema
e indirizzano verso l'ente di competenza: ad
esempio definiscono i passi necessari per verificare,
in caso di fermo di un servizio, se si tratta
di un problema sistemistica oppure applicativo.
In realtà complesse e dovutamente strutturate
(la mancanza di organizzazione interna, è
sicuramente l'ostacolo maggiore a cui si incorre
nella definizione di un Continuity Plan e per
tanto deve essere considerato un prerequisito)
le responsabilità e quindi le conoscenze,
sono sempre suddivise per enti interni a cui
spetta la risoluzione dello specifico problema.
Capire l'essenzialità di tali procedure
è il punto di partenza per la definizione
di un Continuità Plan.
Le procedure di Problem Determination definiscono,
una volta affidata la risoluzione del problema
ad un ente, gli step necessari per identificare
con esattezza il problema. Se esempio se il
problema è imputato all'ente sistemi,
è suo compito identificare con esattezza
la tipologia di problema. Le procedure di Problem
determination devono assolvere tale compito.
Le procedure di gestione/manutenzione degli
ambienti sono necessarie per il mantenimento
dei sistemi e come attività preventiva
nei confronti di possibili malfunzionamenti.
Tali procedure regolarizzano tutte quelle attività
(es. aggiornamenti dei sistemi, installazioni
di patch, migrazione degli ambienti, etc.) di
"quotidiana" amministrazione che se
condotte in modo non "standardizzato"
possono condurre a fermi dei sistemi.
5 BUSINESS CONTINUITY PLAN (BCP) E SISTEMI
DI GESTIONE PER LA SICUREZZA DELLE INFORMAZIONI
(SGSI)
Le seguenti figure riassumono i milestone fondamentali
per la gestione del BCP e del SGSI
Nel business, avere le informazioni giuste
al momento giusto, può fare la differenza
tra profitto e perdite. La gestione della Sicurezza
delle informazioni aiuta a controllare e proteggere
le informazioni aziendali da modifiche volontarie
o involontarie dei dati o da accessi non autorizzati.
Un SGSI (Sistema di Gestione per la Sicurezza
delle Informazioni), implementato ai sensi degli
standard internazionali ISO 27001 ed ISO 17799
serve a:
- assicurare la continuità del business
e dei servizi,
- minimizzare i danni derivanti da eventuali
incidenti,
- massimizzare:
a) il rendimento del capitale investito
b) le opportunità di miglioramento
La sicurezza delle informazioni è, quindi,
una responsabilità gestionale, e non
un fattore esclusivamente tecnologico. La tutela
dei dati personali e delle informazioni di business
(know-how) è una priorità in tutti
i settori di attività. Gli organismi
normatori nazionali ed internazionali hanno
emanato disposizioni per ridurre il fattore
di rischio legato alla gestione delle informazioni,
ad esempio, il nuovo Codice sulla Privacy, o
la nuova versione del Trattato di Basilea, che
hanno implicazioni per tutti i settori (finanza,
manifatturiero, servizi, PP.AA.).
Con gli standard internazionali ISO 27001 ed
ISO 17799, le organizzazioni hanno la possibilità
di affrontare la gestione delle informazioni
ed il tema della loro sicurezza in modo organico,
considerando tutti gli elementi che possono
avere impatti (risorse umane, processi operativi,
sistemi tecnologici, eventi interni ed esterni),
focalizzandosi sugli aspetti gestionali.
I 3 aspetti fondamentali della sicurezza delle
informazioni sono:
- Riservatezza (o confidenzialità):
le informazioni devono poter essere accessibili
solo da persone identificate e autorizzate.
- Integrità: i dati e le informazioni
devono essere protette da modifiche non autorizzate.
- Disponibilità: i sistemi e le applicazioni
devono essere disponibili, quando necessario.
Essi vengono valutati e gestiti secondo un
classico schema di gestione del rischio.
Ma quali informazioni devono essere protette?
Devono essere protette tutte le informazioni
sensibili, critiche o aventi valore per l'azienda
ed i suoi stakeholders (clienti, fornitori,
personale, comunità, ecc.), in qualsiasi
forma si trovino: su carta, in formato elettronico
(su sistemi locali, mobili, CD, nastri, etc.),
trasmesse via posta o per via elettronica (anche
fax), immagazzinate su nastri e video, trasmesse
oralmente.
Il SGSI, implementato ai sensi delle norme
sopraccitato, è in grado di proteggere
le informazioni suddette, perché prevede
4 tipi di controlli;
1) Deterrenti: hanno lo scopo di ridurre la
probabilità di attacchi volontari.
2) Preventivi: proteggono le vulnerabilità
e rendono gli attacchi inefficaci o ne riducono
l'impatto.
3) Correttivi: riducono gli effetti degli attacchi.
4) Investigativi: hanno lo scopo di scoprire
gli attacchi e di attivare i controlli preventivi
e correttivi.
Occorre fornire le direttive di gestione ed
il supporto per le informazioni di sicurezza.
A differenza di sistemi analoghi (ISO 14001;
OHSAS 18001) è prevista la redazione
di una Dichiarazione di Applicabilità,
dove l'Organizzazione rende evidenti i controlli
e gli obiettivi per la sicurezza attuati.
6. Conclusioni
Un Continuity Plan essendo uno "strumento"
essenziale per garantire piena disponibilità
dei servizi, necessita di un po' di tempo e
di risorse per poter essere definito; Tutta
l'azienda è direttamente coinvolta per
lo sviluppo e l'effettivo successo del piano
e una cultura di responsabilizzazione della
completa struttura aziendale è necessaria
come requisito primario.
II fattori chiave del successo di un BCP sono:
- Partecipazione del management al comitato
guida
- Garantisce la fluidità del progetto.
- Le decisioni prese hanno peso per i responsabili
attività.
- Un referente unico presso il cliente
- Consente di centralizzare richieste e informazioni.
- Gestisce gli eventuali conflitti.
- Collaborazione con i consulenti esterni
- Consente l'implicazione dei consulenti
esterni nel progetto.
- Garantisce l'identificazione dei bisogni
e la loro integrazione nella pianificazione.
- Sensibilità alle scadenze
- Consente la disponibilità dei mezzi
necessari al raggiungimento degli obiettivi
nei tempi stabiliti.
FONTI:
http://www.mokabyte.it/
http://www.clusit.it/smau_roma_2002/presentazione_bcp_smau_blanco2.pdf
http://www.lra.it/web/dettaglioNews.do?newsId=3825
http://www.adfor.it/consulting/businesscManagement.asp
http://apache.tecnoteca.it/upgradepdf/it-up46Grillo.pdf#search=%22business%20continuity%20plan%22
Alessandro Monti
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