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Parola d'ordine: puntare sul....rosso...ossia
investire nel vino.
“Chi
avesse investito nel Wine Index nel 1996 avrebbe
ottenuto una rivalutazione del proprio denaro
pari al 91 per cento, un buon 10 per cento annuo”:
il dato saliente e incoraggiante emerge da uno
studio condotto di recente dall’Università
Bocconi di Milano (l’indice è composto
da etichette di Bordeaux di prestigio, scambiate
nelle principali aste mondiali, di annate più
o meno recenti) e riguarda la possibilità
di considerare il prodotto in questione una buona
alternativa di diversificazione, anche per gli
imprenditori italiani del settore. Quattro le
condizioni individuate dagli esperti per costruire
una cantina di valore e trasformarla in una “cassaforte”:
poche etichette e di qualità, durata nel
tempo senza timore di degradazione, forte richiesta
del mercato e rarità del prodotto. Un esempio
vincente a questo proposito è rappresentato
dalle Riserva Brunello di Montalcino di Biondi
Santi: il record è stato nella Riserva
1988 venduta nel 2001 a un’asta del Gambero
Rosso, a Roma, a 30 milioni di lire. E restando
in Italia le punte sono i grandi rossi (Brunello,
Barolo, Barbaresco, Taurasi). Ma, in pratica,
come si può realizzare con successo un’operazione
del genere? Uno degli strumenti più utilizzati
per investire in questo settore è il contratto
a termine, avente per oggetto il vino col
quale, chi offre, in questo caso l’azienda
vinicola, vende una serie di bottiglie, con la
garanzia di un certificato e l’impegno a
consegnarle in un tempo successivo. L’acquirente
invece paga subito il corrispettivo, sapendo di
ritirare il vino solo dopo alcuni anni. L’operazione
rispetta il contratto future introdotto
da tempo per altri titoli finanziari.
I vantaggi? Per il produttore si tratta di una
forma di finanziamento anticipato rispetto alla
consegna della merce, per l’acquirente si
tratta invece di acquistare le bottiglie a un
prezzo che solitamente è più basso
rispetto a quello di mercato o di sicuro più
basso rispetto a quello che quel vino avrà
tra due o tre anni, quando in base al disciplinare
di produzione, potrà essere commercializzato.
Il certificato del contratto a termine può
essere oggetto di scambio; non è infatti
necessario che la persona che a scadenza ritirerà
la merce sia la stessa che ha sottoscritto il
contratto. Per questo il future sul vino può
essere visto anche come puo investimento finanziario.
Per gli amanti del vino si tratta comunque di
un buon affare poiché il vino oggetto del
contratto avrà presumibilmente un valore
assai più alto rispetto al prezzo iniziale.
Il mercato italiano è partito in questa
direzione a metà degli anni ’90.
Castello Banfi e Capannelle, due aziende toscane,
hanno emesso future sui vini di loro produzione
con ottimi risultati, tanto che dopo poco tempo
altre aziende vinicole hanno percorso con successo
questa strada. In attesa poi che il legame tra
vino e finanza decolli anche in Italia, entro
fine anno verrà varato il primo Master
in Business Administration dedicato a imprenditori
e consulenti del vino, a cura della Mib School
di Management di Trieste, con il patrocinio di
Federvini.
E ancora, a breve, il mondo della produzione
vinicola subirà l’incursione della
tecnologia: verranno realizzate, grazie all’aiuto
di satelliti, mappature dei territori in grado
di fornire informazioni dettagliate sullo stato
dei vigneti e del suolo in relazione al clima,
oltre che sulle potenzialità di una determinata
zona. Lo scenario prospettato dagli scienziati
per il futuro è in questo senso ancora
più avveniristico: tra alcuni anni, con
le vendemmiatrici meccaniche collegate ai satelliti,
sarà possibile ricevere direttamente in
cantina un quadro della vendemmia in tempo reale,
metro per metro.
Tutto questo però, mentre sul mercato
internazionale si fanno largo i nuovi produttori
stranieri: USA, Sudafrica e Australia, sempre
più disposti a unirsi in consorzi forti.
La maggiore produzione per ettaro, una dotazione
finanziaria di grande rilievo grazie al ricorso
alla Borsa, ha fatto in pochi anni dell’Australia
il quarto esportatore del mondo, con la complicità
anche di una legislazione leggera, che pone vincoli
ai viticoltori. “Poiché la quotazione
in Borsa in Italia al momento è ancora
prematura-suggerisce Mastroberardino, titolare
dell’omonima casa vinicola, una delle più
antiche del Mezzogiorno- le soluzioni per superare
questa fase di transizione del sistema produttivo
potrebbero essere altre. Innanzitutto individuare
dei circuiti finanziari dedicati, per categoria
d’investimento o per distinzione territoriale,
oppure si potrebbero aggregare imprese complementari
in pool o per categorie di prodotti o per territorio”.
Donatella L. M. Vasselli
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