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VENEZIA: IL CINEMA CHE "GUARDA DENTRO".
Quest'anno,
forse più che in stagioni passate, scandite
dallo stesso atteso appuntamento, il pubblico
della Mostra del Cinema di Venezia ha espresso
una voce unanime e autentica: una folla nutrita
e compatta, stordita quanto basta dalla consueta
parata dei Vip internazionali, che fanno vetrina
di sé, più che delle loro interpretazioni,
complice la straordinaria cornice lagunare, ha
partecipato attivamente alle proiezioni smentendo
anche accoglienze che qualche critico dava per
scontate (il film Birth della Kidman è
stato fischiato, l' "Ovunque sei" di
Placido "ridotto", nell'immaginario
collettivo, solo a un particolare non proprio
essenziale per lo svolgimento e il senso della
storia). In generale la gente comune si è
commossa, divertita, ha applaudito, disapprovato,
infine "premiato" le pellicole dedicate
all'esplorazione psicologica, all'intimità
di relazioni umane deviate dalla sofferenza e
quindi perdute, ma proprio grazie al dolore ricomposte
e rafforzate, e improntate alla solidarietà.
"Le chiavi di casa" di Gianni Amelio
cattura l'attenzione con la forza di una storia
semplice e intensa, dove la profondità
dei sentimenti espressi dai protagonisti, un padre
molto giovane e un figlio portatore di handicap
che si ritrovano dopo anni di lontananza reciproca,
basta a se stessa e colpisce proprio per la sua
essenzialità. Il libro da cui il regista
trae ispirazione, quel Nati due volte a sua volta
premiato di Giuseppe Pontiggia, è solo
una traccia, un messaggio dal cuore forte, che
l'autore non sovraccarica di aggiunte stilistiche
o interpretazioni moraleggianti, consegnandolo
a una platea commossa, che ne ha decretato il
successo anche nelle sale, a dispetto del verdetto
della giuria (ma anche questo ormai è un
luogo comune).
"La terra dell'Abbondanza", ritrae il
volto smarrito e confuso di un'America tradita
dalle promesse dell'amministrazione Bush all'indomani
della tragedia delle Twin Towers e affida alla
voce di due derelitti la sopravvivenza di quello
che al regista Wenders sembra ormai solo un pallido
miraggio, ovvero il sogno americano di giustizia,
libertà, democrazia.
Ancora "Il mare dentro", toccante racconto
della vicenda umana di un tetraplegico, impreziosita
dalla splendida interpretazione dell'ormai affermato,
e in questa occasione giustamente riconosciuto,
Javier Bardem.
In concorso, e pure molto apprezzato, "Piccoli
ladri" della regista Marziyeh Meshkini: ambientata
nella desolazione di un Afghanistan devastato
dal passaggio di innumerevoli guerre, non solo
contro nemici esterni, ma anche tra etnie diverse,
la storia si concentra sul menage quotidiano di
due bambini, figli di detenute del carcere di
Kabul, che trascorrono il giorno per strada, rubando
e raccogliendo legna e stracci da barattare con
un pezzo di pane per sopravvivere, e la notte
in prigione. La tristezza di due piccole esistenze
disperate, attraverso le quali si riflette lo
smarrimento di un Paese che procede ancora a fatica
sulla strada della ricostruzione politica e sociale,
conosce momenti di sdrammatizzazione attraverso
l'antidoto di un'allegria e un affetto reciproco
tutti infantili e come tali "estesi";
del piccolo gruppo fa parte infatti anche il cane
di casa, che accompagna in giro i due protagonisti
e li sostiene , nella lotta contro l'abbandono,
e alla fine funge da escamotage per una esperienza
importante: i due bambini vanno a vedere "ladri
di biciclette" (bellissimo l'omaggio al cinema
italiano di De Sica), che dà loro l'ispirazione
per imparare a rubare e il cassiere, che tenta
di dissuaderli perché "il film è
d'arte, dunque è noioso..", alla fine,
proprio per questo, ammette in sala……
anche il cane.
Donatella L.M. Vasselli
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