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LAVORARE.....STANCA?


Stress da mobbing e sottoccupazione? Panico notturno e disagi fisici causati da un irrisolvibile senso di precarietà lavorativa, dunque esistenziale? E ancora ansie di inadeguatezza “curricolare” (eccesso/difetto di titoli) rispetto alle richieste del mercato, presagi funesti per un employment future caratterizzato da mobilità e flessibilità, foriere, a livello personale, di demotivazione e stanchezza? Niente paura. Alla moltitudine, ormai tristemente nutrita, di stagisti, interinali, collaboratori part-time di tutta Europa arriva l’invito di una economista francese, Corrine Maier,autrice di un libro dal titolo apparentemente consolatorio, ma in realtà pericolosamente seducente: Bonjour paresse, Buongiorno pigrizia. Il richiamo contenuto nella trattazione è esplicito, e risulta perentorio nell’esortazione a rafforzarne il messaggio, estendendolo attraverso il “contagio diretto” di amici e colleghi: in un mondo impiegatizio dominato dall’oppressione e dal ricatto , dove la temporaneità degli incarichi e connessa “labilità” economica generano smarrimento e frustrazione dilagante, soprattutto tra i giovani, l’unico rimedio è rappresentato dal disimpegno forzato, dal disinteresse reiterato, dalla mancanza totale di entusiasmo, assunti come modus lavorativo permanente, se possibile all’insaputa dei capi e da seminare in giro con ostinazione destabilizzante, con tenacia sabotatrice nei confronti di un potere vessatorio e ingiusto, quello dell’azienda per intenderci.

Il consiglio è solo superficialmente assimilabile a quelli contenuti nei manuali dispensatori di suggerimenti per il relax, ovvero ai classici elogi dell’ozio: in realtà, ad un’analisi anche poco approfondita delle politiche sociali del paese da cui proviene, suona senza dubbio come provocatorio e il successo con cui è stato accolto, c’è da presumerlo, valicherà i confini della realtà territoriale che l’ha prodotto per trovare eco in altri contesti nazionali, compreso quello italiano, dove al fenomeno si sta prestando una certa attenzione, specialmente in quest’ultimo periodo. Un riflesso della tematica in questione si riscontra ad esempio in Lavorare con lentezza, film di Guido Chiesa presente in questi giorni nelle sale italiane, che propone l’argomento della disoccupazione giovanile (sia pure affrontandolo nei termini più vincolanti di un excursus storico-documentaristico degli anni ’70), nel racconto della delusione di due ragazzi, che preferiscono cedere a tentazioni malavitose piuttosto che “dare la vita per un misero salario”.

Una sensibilità al problema giustificata tra l’altro dall’opinione condivisa da molti critici ed esperti del settore, per cui il nostro, nel senso di italiano, concetto di flessibilità lavorativa, a differenza di quello vigente per esempio negli Stati Uniti, e complice anche il successo della cultura no-global, coincide molto di frequente con povertà e instabilità.

Faticoso risulta, in questo clima di convergenza generale alla sfiducia, individuare una ricetta alternativa e vincente in senso opposto, un orientamento che si traduca in azioni concrete all’insegna della spinta propositiva, della fermezza nel perseguimento degli obiettivi di formazione e di accrescimento progressivo della professionalità, dello spirito di iniziativa, ma anche nel significato di fedeltà aziendale a certi valori, quali la costanza, il coinvolgimento responsabile, l’ormai deprecato senso del dovere.

Faticoso, ma, almeno nel parere di chi scrive, non impossibile: la capacità di stravolgere in senso positivo certe sollecitazioni al disfattismo passa forse proprio attraverso l’appello, il più energico possibile, alle risorse personali e al desiderio, da coltivare con pazienza e determinazione, di farle emergere a vantaggio di una logica collettiva, secondo una strategia inversa, nutrita di studio e applicazione pratica, miglioramento delle competenze e creatività nell’applicarle.
Le abilità tipiche dei giovani, appunto.

 

Donatella L. M. Vasselli

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