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  • Stabilità: il prezzo di equilibrio è stabile se è raggiunto attraverso il meccanismo spontaneo delle contrattazioni; instabile, se le contrattazioni non consentono di individuare il prezzo di equilibrio. Un caso tipico di instabilità si verifica quando i produttori non riescono a regolare velocemente l’offerta, perché il processo produttivo richiede tempo (per es., per accrescere l’offerta di prodotti agricoli, occorre almeno una annata agraria): la merce che compare sul mercato non è quella che i produttori vorrebbero offrire oggi, ma quella che avevano deciso di offrire quando il processo produttivo venne avviato. In questi casi può accadere che la posizione di equilibrio non venga raggiunta mai e il prezzo oscilli senza tregua (teorema della ragnatela), a prescindere dagli effetti delle contrattazioni sulle borse merci.

La teoria neoclassica attribuisce grande rilevanza alla posizione di equilibrio di concorrenza perfetta, perché ritiene che in essa il mercato realizzi un assetto economico caratterizzato da efficienza e da equità.

L’utilizzazione delle risorse viene considerata efficiente in senso tecnico, se è esente da sprechi (cioè da impiego di risorse senza alcun risultato produttivo); l’uso delle risorse sarà efficiente in senso economico se conduce a produrre quei beni che, tenuto conto del costo, sono i più desiderati dai consumatori. Nella posizione di equilibrio di concorrenza perfetta, il prezzo di ogni merce deve essere uguale al costo minimo di produzione; se così non fosse (se cioè il prezzo di vendita fosse superiore al costo minimo), vi sarebbero imprenditori, già presenti o potenziali, che realizzerebbero un profitto; ma la presenza di un profitto attirerebbe altri produttori e il loro ingresso farebbe cadere il prezzo, fino a riportarlo al livello del costo, al netto dei sostegni statali oggetto ancora del confronto di Doha. La concorrenza elimina quindi le imprese inefficienti e assicura che le risorse produttive vengano impiegate senza sprechi. D’altro canto, il prezzo di equilibrio deve essere corrispondente all’utilità che il prodotto presenta per il consumatore: se il prodotto costasse troppo in relazione alla soddisfazione che arreca, nessuno lo acquisterebbe; ma se costasse troppo poco, tutti vorrebbero acquistarlo, e ciò provocherebbe un aumento del prezzo, fino a ristabilire la corrispondenza fra prezzo e utilità. Se il prezzo corrisponde contemporaneamente sia al costo sia all’utilità dei prodotti, il mercato assicura che vengano prodotte soltanto quelle merci che danno una soddisfazione tale da compensare i costi sostenuti per produrle e quindi assicura una utilizzazione delle risorse efficiente anche in senso economico. Per quanto concerne il problema dell’equità, si osservi che la concorrenza elimina i sovrapprofitti e riduce il prezzo al livello del costo di produzione minimo, anche l’imprenditore riceverà come retribuzione il puro compenso del suo lavoro direttivo. La concorrenza elimina quindi i redditi non guadagnati, il che è un primo potente fattore di giustizia sociale. Ma nel caso della rendita fondiaria ciò non può avvenire, perché la scarsità naturale della terra impedisce alla concorrenza di esplicare i suoi effetti. Una volta stabilito che in un mercato di concorrenza perfetta esistono soltanto redditi da lavoro, resta da stabilire se il livello di tali redditi riflette un criterio di equità. Il ragionamento di cui si avvalgono i sostenitori dell’economia di mercato è il seguente: ogni impresa corrisponde a ogni singolo lavoratore una retribuzione che è commisurata al contributo che il lavoratore stesso ha dato alla produzione; non può dargli una paga superiore, perché affronterebbe una perdita; non può dargli una paga inferiore perché, se lo facesse, guadagnerebbe su quel lavoratore un sovrapprofitto e altre imprese, attratte dal guadagno, offrirebbero a quel lavoratore una occupazione alternativa a salario più alto. Il mercato di concorrenza perfetta paga quindi ognuno secondo il contributo dato alla produzione, salvo gli effetti del dumping sociale ancora correnti sullo scenario mondiale, cui la teoria della Responsabilità sociale delle imprese, tende a dare una possibile risposta.
L’interpretazione marxiana si collocava in una prospettiva radicalmente diversa. La teoria marxiana partiva dal presupposto che la concorrenza perfetta non impedisca al capitalista di attuare uno sfruttamento ai danni del lavoratore; con ciò, il carattere di equità che la teoria borghese riconosce al mercato di concorrenza viene negato.

Nella visione marxiana, la concorrenza si differenziava dalle altre forme di mercato soprattutto per i rapporti interni che stabilisce fra singoli capitalisti. In concorrenza perfetta il potere di mercato è distribuito equamente fra capitalisti, mentre nelle forme monopolistiche il potere è concentrato nelle mani di pochi. Questa differenza veniva considerata molto rilevante per lo sviluppo del sistema capitalistico, ma non era sufficiente a conferire alla concorrenza perfetta un carattere diverso per quanto riguardava la sostanza dei rapporti fra capitalisti e classe lavoratrice.

 

Concorrenza monopolistica

E’ quella forma di mercato che presenta tutti i caratteri della concorrenza perfetta (numerosità degli operatori, trasparenza di mercato, libertà di ingresso) tranne il requisito di omogeneità del prodotto. Le imprese presenti vendono prodotti simili, cioè atti a soddisfare il medesimo tipo di bisogno, ma differenziati dalla qualità. I prodotti venduti si presentano quindi come sostituibili l’uno dall’altro, anche senza essere identici. La differenza che corre tra i prodotti delle singole imprese può essere “naturale” (per es., la differenza che corre tra acque minerali di fonti diverse: tutte soddisfano egualmente la sete, ma possiedono virtù terapeutiche diverse), così come può essere “artificiale”, cioè introdotta volutamente dal fabbricante (per es. la differenza che individua un elettrodomestico di una certa marca). La differenziazione artificiale, a sua volta può investire la sostanza del prodotto (per es. autovetture di marca diversa e realmente diverse per velocità, sicurezza, consumi) o soltanto l’apparenza (per es., dolciumi simili venduti in confenzioni diverse). La differenza, infine, può riguardare anche soltanto l’ubicazione dell’impresa (per es., il fatto che un negozia abbia una particolare ubicazione lo distingue da altri, anche se vendono prodotti identici). La differenziazione, quale che ne sia la natura, crea intorno a ogni singolo prodotto una clientela particolare, che non bada soltanto al prezzo, ma anche agli aspetti qualitativi, presunti o effettivi, connessi alle singole marche. La concorrenza monopolistica si riscontra soprattutto nei mercati dei beni di consumo dove è più facile al fabbricante introdurre piccole differenze apparenti, che diano al consumatore l’illusione di acquistare un prodotto diverso; meno spesso si riscontra nel settore dei beni strumentali, dove l’acquirente bada alle caratteristiche tecnologiche sostanziali del prodotto. La concorrenza monopolistica presenta caratteristiche intermedie fra concorrenza monopolistica presenta caratteristiche intermedie fra concorrenza e monopolio; mentre elimina ogni sovrapprofitto (e in questo si avvicina alla concorrenza), conduce a una utilizzazione inefficiente delle risorse (avvicinandosi per questo al monopolio). L’eliminazione del sovrapprofitto discende direttamente dalla libertà di ingresso: se vi fossero imprese che guadagnano sovrapprofitti, altre imprese entrerebbero nel mercato (offrendo prodotti simili, anche se lievemente differenziati) e, sottraendo clientela ai produttori già presenti, ridurrebbero i loro profitti, fino ad annullarli. Viceversa, anche annullati i profitti, rimane, in questa forma di mercato, un cattivo uso delle risorse. Infatti, in concorrenza perfetta, ciò che induce gli imprenditori a ridurre gradualmente il prezzo fino al costo minimo è la convinzione che una riduzione di prezzo anche piccolissimo è sufficiente a portare via l’intera clientela ai concorrenti; di conseguenza, tutte le imprese finiscono col vendere al costo minimo, e quindi sono costrette ad assumere proprio quella dimensione che minimizza i costi, cioè la dimensione più efficiente. Nella concorrenza monopolistica, invece, l’imprenditore sa che, anche riducendo il prezzo, non sottrarrà clientela ai rivali, se non in misura limitata. Di conseguenza, egli non riduce mai il prezzo fino al minimo consentito dai costi e non realizza mai la piena efficienza della produzione. Per es., nel settore del commercio al dettaglio, si riscontra sovente un numero elevato di esercizi, ciascuno dei quali funziona al di sotto della piena capacità, dando luogo a immobilizzi inutili e a conseguenti costi di gestione superiori al necessario e cioè in ogni parte del mondo.


Vincenzo Porcasi

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