Caucaso:
divide et impera, la ricetta per il petrolio
Iniziamo da questo mese "l'esplorazione"
di alcune tra le aree più rilevanti per
il loro valore strategico, economico e militare.
Dopo i grandi cambiamenti avvenuti alla fine
del secolo scorso, il mondo attraversa una fase
di "ristrutturazione" nelle allenze
e nei rapporti di forza tra gli Stati.
Molte questioni di intrecciano nella politica
internazionale e la loro lettura è spesso
confusa da giochi di alleanze molto complessi
e spesso poco noti, nel percorso verso ciò
che potremmo chiamare, alla maniera di Henry
Kissinger, "il nuovo ordine mondiale".
Iniziamo con la zona del Caucaso, dove negli
ultimi 10 anni i cambiamenti sono stati enormi
e molto rapidi e dove gli interessi legati all'energia,
petrolio e gas, creano tensioni internazionali
molto intense.
Il Caucaso è una delle regioni dove
da sempre è valso il motto "divide
et impera", le dominazioni che si sono
alternate nei secoli hanno dato grande importanza
a questa zona, per il suo alto valore strategico
di "cerniera fra culture dal Mediterraneo
alla Persia", collegando commercialmente
Europa ed Asia, e per la rilevanza delle sue
risorse, il petrolio in primis.
Un vero e proprio spirito caucasico unitario
non è mai riuscito a prendere piede in
un'area così importante per le grandi
potenze confinanti ed anche il leggendario tentativo
dell'imam Shamil di opporsi all'esansionismo
russo-zarista,nel 1859, non riuscì a
produrre un sentimento nazionale, se non un
legame solidale, basato sulla religione comune,
su legami di clan e sull'opposizione ad un nemico
comune.
Il Caucaso è un territorio particolarmente
montuoso situato nella parte sud-orientale dell'Europa,
tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e dove si mescolano
tra loro più di 150 etnie differenti
in un contesto altamente "esplosivo",
dove i conflitti si sono susseguiti con grande
continuità, riprendendo con estremo vigore
dopo la "caduta del muro di Berlino"
e la dissoluzione dello Stato Sovietico.
Russia, Europa, Stati Uniti, Turchia e Iran
hanno importanti interessi economici e militari
in quest'area e continuano a contendersi il
controllo sulle grandi risorse di un'area condannata
proprio dalla sua ricchezza ad una storia di
instabilità e guerre.
Quando nel 1989 l'Unione Sovietica era ormai
vicina ad un cambiamento epocale, ancor prima
della sua trasformazione in Comunità
degli Stati Indipendenti, Gorbaciov pubblicò
una Piattaforma programmatica dove auspicava
il rafforzamento del ruolo delle repubbliche
della Federazione Sovietica e delle culture
locali; ma gli anni '80 si concludevano all'insegna
di una profonda instabilità che covava
in sé i conflitti etnici che sarebbero
esplosi da lì a poco tempo, amplificati
dalle grandi potenze, sempre al limite tra guerra
commerciale e "guerra guerreggiata".
La guerra in Cecenia ha avuto una cassa di
risonanza superiore a quella degli altri conflitti
nell'area, anche per le ripercussioni avute
in territorio russo, ma rappresenta soltanto
la punta dell'iceberg di un'area dove enormi
interessi economici si intrecciano in modo pericoloso,
legando tra loro motivazioni storiche, religiose,
culturali e politiche e facendo dell'area una
polveriera del livello di quella balcanica.
Molto spesso, dietro i conflitti etnici avvenuti
negli anni '90, si celavano aiuti più
o meno manifesti da parte degli Stati che, "spintonandosi"
tra loro, cercavano di arrivare primi nella
corsa alla concessione di trattati commerciali
e di avamposti militari nei Paesi che avevano
recentemente ottenuto l'indipendenza.
Ripercorriamo alcuni dei numerosi conflitti
che si sono verificati in quest'area, per focalizzare
gli obiettivi strategici ed economici che muovono
le grandi potenze verso il Caucaso.
Armenia e Azerbaijan costituiscono uno dei
casi più evidenti per spiegare cosa accade
nel Caucaso. Nei primi anni '90 iniziò
la guerra legata al possesso del Nagorno-Karabakh,
zona a maggioranza armena, ma concessa all'Azerbaijan
al tempo dell'Unione Sovietica; questo conflitto
degenerò in una gravissima pulizia etnica
ed oggi questi Stati sono protagonisti di quella
corsa all'oro nero di cui si rendono artefici
le grandi potenze.
Oggi l'Armenia sembra rimasta legata all'influenza
russa, ma viene considerata dagli Stati Uniti
qualcosa più che un'alleato potenziale,
mentre l'Azerbaijan fa ormai parte dello scacchiere
di allenze statunitensi. Le distanze tra i due
Stati si sono ridotte sempre più negli
ultimi mesi in virtù di una scelta di
campo piuttosto evidente, manifestatasi nella
comune adesione a "Enduring freedom".
Questa scelta politica ha una precisa motivazione
economica e precisamente la costruzione dell'oleodotto
Baku-Tblisi-Ceyhan, un grandioso progetto che
punta a trasportare gas e greggio dall'Azerbaijan,
tagliando fuori i territori controllati direttamente
dai russi, ma anche dall'Iran, e favorendo le
compagnie petrilifere prevalentemete americane
presenti a Baku. Queste compagnie detengono
il controllo del 16% delle riserve petrolifere
e l'11% di quelle di gas di tutta la zona del
Caspio. (fonte: Limes n° 6 -2004, pg127)