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A testimonianza del fatto che le relazioni internazionali molto raramente sono legate a rigidi schieramenti, ma vivono al contrario una continua trasformazione legata al cambiamento di interessi e rapporti di forza, l'Azerbaijan ha recentemente stretto un accordo economico-militare con Mosca, mentre l'Armenia ha avviato la costruzione del gasdotto Tabriz-Erevan. Un'opera molto importante che ha l'obiettivo di soddisfare circa 1/3 delle esigenze di gas del Paese, grazie all'importazione dall'Iran.
In questa situazione, per completare il quadro delle principali nazioni coinvolte in quest'area, si inserisce anche la Turchia che difende storicamente l'Azerbaijan dalle mire iraniane sui giacimenti del Mar Caspio, (in Iran l'etnia azera costituisce il 25% della popolazione, ma non ha un riconoscimento ufficiale). La contrapposizione tra Turchia ed Iran vive anche della differenza nel modello politico dei due Stati, il primo laico, il secondo rigidamente islamico, e di cosenguenza nel tipo di Stato offerto ai Paesi mussulmani coinvolti nelle proprie orbite di interessi.

Il ruolo della Turchia in quest'area è rafforzato dalla gestione del Bosforo e dalla sua politica di riduzione dei traffici e dei trasporti di greggio, inaugarata a gennaio del 2004 e che potrebbe portare alla completa chiusura del Bosforo, ufficialmente per motivi di "sicurezza ambientale".
Questa decisione è direttamente legata alla costruzione degli oleodotti e dei gasdotti nell'area del Caucaso e diverge significativamente dagli interessi di Mosca, che subirà un'incremento notevole nei costi di esportazione.
La Russia potrebbe essere costretta ad utilizzare le traiettorie commerciali utilizzate e protette dai Paesi della NATO, invece del tradizionale trasporto nel Bosforo.
Gli Stati Uniti si troverebbero così nelle condizioni di consolidare il loro progetto di ricevere sia il petrolio kazako, sia quello azero, attraverso una rete di oleodotti e di infrastrutture, anche militari, che costituiscono uno dei 10 "corridoi", progettati per rendere sicuri i commerci e stabilire precisi rapporti di forza non solo in quest'area, ma in tutte quelle vicine (mi riferisco in particolare al progetto TRACEA - Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia, che riguardava inizialmente soltanto i mezzi di trasporto convenzionali e cioè porti, strade e ferrovie, ma si è esteso anche a gasdotti e al trasporto aereo, includendo anche la Mongolia e l'Ucraina).

Un altro Paese al centro dei conflitti avvenuti negli anni '90 nel Caucaso è la Georgia, che con Romania, Bulgaria e Turchia costituisce la Black Sea Force, una coalizione militare di Stati che agisce nell'ambito della NATO. La Georgia ha partecipato attivamente alle ultime inziative militari degli Stati Uniti, principalmente ad "Enduring freedom" ed ha chiesto l'adesione all'Unione Europea, concretizzando così l'allontamento dalla sfera di interessi russi.

La Georgia si è trovata al centro di vari conflitti tra cui segnalo quelli con l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud, entrambe molto legate alla Russia e che, soprattutto nel primo caso, sono riuscite a concludere la grave questione grazie all'apporto del potente alleato.
La guerra abkhazo-georgiana del 1992-93, nonostante la differenza di forza militare tra le due nazioni ha visto il successo dell'Abkhazia, proprio grazie al ruolo manifesto di truppe di volontari consacchi e al sostegno celato dell'esercito russo; per quanto riguarda la Georgia abbiamo già delineato il quadro dei sostegni e delle alleanze, ma va aggiunto come la Russia conservi alcuni contigenti militari in territorio georgiano, così come in Armenia. Il secondo conflitto è quello tra Georgia e Ossezia del Sud, un territorio georgiano che chiedeva l'annessione all'Ossezia del Nord, dopo aver subito la pesantissima campagna di "georgificazione" condotta dal leader Gamsakhurdia, che voleva sventare ogni tentazione indipendentista. In entrambi i casi le guerre sono degenerate in terribili "pulizie etniche" , ma il danno è andato addirittura al di là delle tante vittime, perché la guerra ha fatto di queste zone un campo di battaglia permanente per anni, cancellando ogni possibilità di sviluppo. Se a questo aggiungiamo l'enorme inquinamento prodotto dallo sfruttamento intensivo dei giacimenti petroliferi, come nel Mar Caspio, dove l'economia costiera, legata al salmone e al caviale, è stata quasi annientata, possiamo comprendere la grande difficolta che avranno questi Stati nella creazione di un'economia nazionale.

Gli Stati Uniti considerano il Caucaso una zona molto importante per "ragioni di interesse strategico", come hanno annunciato apertamente al vertice atlantico di Istanbul del 2004 e stanno giocando la loro partita puntando su alcune questioni strategiche fondamentali, tra cui il consolidamento dei "corridoi" più favorevoli, la chiusura, anche parziale, del Bosforo, la costruzione di avamposti militari nei paesi dell'ex Unione Sovietica. La politica intrapresa da Washington è dettata dall'esigenza sempre più stringente di ridurre i legami economici e militari con l'Arabia Saudita, per differenziare maggiormente le possibilità a disposizione ed evitare i rischi legati all'inasprimento del conflitto tra Stati Uniti ed Al-Queda.

La "partita" aperta in quest'area è molto importante perché è una delle chiavi nel controllo delle risorse energetiche del pianeta, ma non è l'unica e nei prossimi numeri continueremo l'"esplorazione" di un'altra zona per scoprire quali sono i Paesi in sviluppo, come si evolvono le alleanze internazionali e su quali territori stanno puntando le aziende e gli Stati.


Simone Piperno

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