ECCO LA STORIA
Scriviamo per farla finita con noi stessi,
ma con il desideri di essere letti, non c'è
modo di sfuggire a questa contraddizione. E'
come se annegassimo urlando: "Guarda, mamma,
so nuotare!". Quelli che gridano più
forte all'autenticità si gettano dal
quindicesimo piano, facendo il tuffo d'angelo:
"Vedete, sono soltanto io!". Quanto
a sostenere di scrivere senza voler essere letti
(tenere un diario, per esempio), significa spingere
fino al ridicolo il sogno di essere contemporaneamente
l'autore e il lettore.
Ecco cosa mi dicevo percorrendo rue Piat verso
l'appartamento di Sonia sotto un sole che prometteva
un autunno tranquillo. Venga, caro autore, l'ho
letta, venga che ne parliamo. Mi irritava con
quei suoi "caro autore", ma erano
fatti apposta per irritarmi. Le sue due righe
mi avevano messo nello stato di agitazione ambigua
che ben conosco: curiosità di essere
letto, vergogna di questa curiosità;
desiderio di essere adulato, fastidio per questo
desiderio; ricerca di crtiche oggettive, affermazione
di indipendenza; il tutto su uno sfondo di falsa
modestia: Che importanza? Per chi ti prendi?
E di interrogativi annoiati, conseguenza di
un'educazione nevrastenica. Infatti, per chi
mi prendo e che importanza?
Insomma, mi facevo la mia depressioncina autunnale,
aggravata dal fatto che il mio libro era quasi
alla fine. Ancora qualche settimana di quella
prigione poi avrei dovuto uscire…
Daniel Pennac, Ecco la Storia,
Feltrinelli 2003, Pag. 249
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