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Il proponibile trattamento degli investitori stranieri agenti anche attraverso fiduciarie o trust companies dovrebbe essere basato sui principi generali dell'OMC di non discriminazione (Trattamento della Nazione più favorita e equiparazione ai residenti, anche per quanto attiene il regime degli espropri e delle nazionalizzazioni). Di conseguenza la applicazione dei detti principi manterrebbe inalterato il diritto dei paesi ospiti di legiferare sul loro territorio in materia di politiche economiche e del lavoro, in maniera tuttavia non discriminatoria, verso i capitali di non residenti. L'U.E. dovrà assistere i paesi aderenti al proposto accordo nella elaborazione delle politiche dirette all'attrazione di capitali esteri, in particolare nei settori a più alta occupazione, soprattutto in termini di promozione di opportunità (pensiamo ai pacchetti diretti alla creazione dei distretti produttivi applicati dall'EIRE o dal Galles). Gli investitori sono permeati nella scelta dei luoghi dove investire, da una serie di preoccupazioni sul rischio di investimento all'estero, talune vere altre frutto d'immaginazione. Un tale approccio spesso vanifica le singole politiche di attrazione poste in essere dai diversi paesi vuoi in via di sviluppo che in transizione. Certamente, l'elaborazione di un nuovo sistema giuridico multilaterale, dotato di propri strumenti per la conciliazione delle controversie da solo non garantisce il risultato in termini di nuovi flussi d'investimento. Ma certamente una normazione adeguata dovrebbe consentire un'espansione dei flussi riducendo a livello minimale il rischio associato a qualsiasi nuova allocazione all'estero.

Tali garanzie normative potrebbero poi sposarsi con singoli programmi di incentivazione fiscale, finanziaria e assistenziale, anche in termini di aree attrezzate (cfr. il citato modello irlandese).

L'attuale frammentazione di norme sul trattamento degli IDE (in atto, esistono fra stati ben 11.000 strumenti di protezione bilaterale œBIT-Bilateral Investment Treaties;, senza considerare gli accordi regionali o multilaterali)
non è soddisfacente. Gli investitori considerano tale proliferazione come segno di inefficienza e di mancanza di trasparenza. Per tale ragione gli operatori, anche le multinazionali, sono sempre alla ricerca di paesi in grado di offrire certezze giuridiche e non agiscono in funzione solo di criteri di opportunità economica, come dovrebbe essere.

Il problema è ancora più sentito dalle PMI che vogliono internazionalizzarsi. Esse non hanno le capacità di verificare e di adattarsi a sistemi legislativi in continuo cambiamento, specie nel campo delle politiche di protezione degli investimenti e quindi considerano il rischio connesso alla politica del diritto troppo elevato. Per muoversi le PMI abbisognano di regole certe, vuoi dinanzi ai nuovi paesi confinanti che verso il Sud America. Ovviamente, i Governi devono conservare il diritto di regolare l'attività economica dei paesi in cui operano con riferimento al modello di
sviluppo, all'ambiente e alle condizioni sociali, nel quadro tuttavia del principio del diritto alla coesistenza e alla pari dignità.
La questione dell'accesso al mercato dovrebbe quindi essere indirizzata in maniera tale da consentire a ciascun paese di assorbire gli IDE in una maniera e a un ritmo compatibile con le politiche interne, prevedendosi in caso di apertura la gestione dei conflitti solo attraverso procedure di tipo conciliativo.

Il futuro dei rapporti con il Sud America e con i nuovi vicini è fondabile solo sulle regole e su tale base dobbiamo operare.

Vincenzo Porcasi

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