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Sembra aumentare la spesa pubblica in R&S, che pure rimane del 20% inferiore alla media europea, mentre decisamente insufficiente risulta lo sforzo del settore privato, sia sul fronte della R&S, dove spediamo circa il 60% in meno della media europea, sia sul fronte del contributo dei settori high-tech in termini di valore aggiunto, inferiore del 20% alla media europea ed in calo. Per queste sfide, tuttavia, il settore privato non sembra essere in grado di attingere a risorse umane qualificate, visto che i laureati in discipline scientifiche e tecnologiche sono il 45% di meno della media europea. Un ultima annotazione meritano i dati sulle spese in Ict, che pure hanno rappresentato un'area prioritaria di attenzione da parte del Governo in questa legislatura, dove si nota ancora un deficit del 20% rispetto alla media europea ed una sostanziale stabilità rispetto ai trend di crescita europei.
Non consola considerare che questi dati utilizzano come riferimento l'Europa dopo l'allargamento, le cui medie, dunque, dovrebbero riflettere l'ingresso di paesi sicuramente in parte più piccoli e con meno articolazioni territoriali rispetto al nostro, ma per i quali potrebbe esserci un'aspettativa di arretratezza sul fronte dell'innovazione. Se ciò fosse vero, i valori medi nelle statistiche aggregate si dovrebbero abbassare, riducendo così il gap dei paesi più distanti. Non solo ciò non accade, ma, dalla Figura 1 è possibile rilevare come proprio questi paesi mostrino i maggiori sforzi di miglioramento delle proprie capacità innovative.

Figura 2: Posizionamento e tendenza della capacita innovative dell'Italia secondo l'European Innovation Scoreboard
Un'ulteriore scomposizione di questi dati con particolare riferimento al settore privato è possibile utilizzando i dati del Community Innovation Survey, che, giunto alla sua terza edizione, raccoglie i dati nei singoli paesi su più di 60.000 imprese e mostra come in Italia le imprese impegnate in qualunque tipo di innovazione, incrementale o radicale, di prodotto o di processo giocano un ruolo meno rilevante nell'economia rispetto alla media europea. In Italia sono coinvolte in qualche tipo di innovazione il 36% delle imprese, contro il 44% della media europea. Queste imprese impiegano il 37% della popolazione contro il 72% della media europea e sono responsabili per il 64% del fatturato complessivo, contro il 75% della media europea. Il 41% di queste imprese sviluppa progetti innovativi grazie ad un finanziamento pubblico, contro il 29% della media europea. Il 13% ha fatto domanda per almeno un brevetto, contro il 17% della media europea.
Incrociando questi dati e considerando che sono stati rilevati 4 anni fa, focalizzando l'attenzione sui dati relativi a fatturato e occupazione, tutti gli indicatori più recenti che mostrano segnali di crisi strutturale oramai riconosciuta da tutte le parti sociali risultano meno sorprendenti.
Purtroppo, infatti, oltre ad essere vero sulla carta, è anche vero nei fatti che la competizione mondiale è fortemente influenzata dalle risorse dedicate all'innovazione tecnologica. In queste condizioni, una struttura produttiva nella quale la maggior parte degli occupati ed una quota non marginale del proprio fatturato dipende da ambiti nei quali non vi è alcun impegno in proposito non sembra avere concrete possibilità. Su questi temi, dunque, generiche dichiarazioni di fiducia nel futuro senza un intervento strutturale che affronti seriamente e con adeguate risorse il problema rischiano di sottovalutare la gravità della situazione, chiudendo anche l'ultimo spiraglio rimasto per un recupero di competitività basata sull'innovazione.

Maurizio Sombrero

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