Charta di Roma
BOZZE 17 aprile 2005
Occorre
innanzi tutto premettere che le risorse che
la Comunità mondiale, attraverso le Nazioni
Unite e le Sue agenzie, ivi incluse le unioni
regionali può destinare allo sviluppo,
sono limitate nel tempo e nello spazio a fronte
(auspicato 0,5% del Pil, in cui il ruolo dell'Italia
è limitato ad uno 0.156% del Pil) del
sempre maggiore bisogno che la gente ha di risorse
per potere semplicemente sopravvivere.
Ancor più incalzante diviene il problema
alla luce della sempre crescente pressione demografica
e della inadeguatezza delle politiche di uso
delle risorse naturali che per erronee successive
scelte condotte dal nord del mondo non sono
organizzate per servire i sempre nuovi cittadini
del mondo.
Ciò premesso, considerato che le Nazioni
Unite dispongono di limitate risorse finanziarie
per far fronte alle sempre nuove emergenze,
tenuto conto del fatto che il diritto di ciascun
essere umano non solo di sopravvivere ma di
concorrere al benessere collettivo attraverso
il suo realizzarsi per essere felice nel suo
percorso vitale pur nelle singolari differenze
che lo caratterizzano e rendono irripetibile
ed importante per l'umanità tutta per
il semplice fatto di esistere, occorre trovare
un modo diretto a sovvenire alla realizzazione
di tale diritto alla felicità.
Il diritto alla felicità che molto di
più della mera elencazione dei diritti
dell'uomo, della donna dell'anziano e del fanciullo,
del carcerato del portatore di diverse abilità
comprende il diritto alla piena e compiuta realizzazione
delle capacità originali costruttive
e relazionali della persona umana e della sua
interezza e integralità consentendogli
di perseguire le proprie positive aspirazioni
in piena autonomia sinergica al contesto globale
in cui si trova ad operare.
Le crisi ponderali e lo sviluppo
Il modello economico italiano fondato sulla
piccola e media impresa è risultato vincente
negli anni della costruzione dell'Unione Europea
dal momento che l'economia dei tre motori continentali
della stessa erano complementari fra di loro
(i.e. Francia, Germania, Italia) e come tale
capace di assorbire pressoché in integro
rispettive produzioni, per altro già
all'epoca orientate alla qualità.
Purtroppo la sconfitta globale subita a causa
della seconda guerra mondiale dall'intero continente
europeo, ha costretto i paesi europei ad accettare
la così detta globalizzazione fondata
su un libero mercato senza vincoli allo sviluppo
di un modello capitalistico integrale sconosciuto
all'Europa dei secoli XIX e XX (infatti l'Europa
è trascorsa dalla simbiosi mutualistica
del mondo contadino e mercantile finanziario
che durò dalla fine delle guerre gotiche
fino alla Rivoluzione Francese e poi sostituita
all'interno dei singoli nazionalismi dai concetti
di mitbestimmung e di cogestione).
Il capitalismo integrale accompagnandosi all'enorme
sviluppo dei mercati finanziari mondiali, ha
trovato piena applicazione nell'ambito della
formazione della information society e della
conseguente società della conoscenza
che presuppone la partecipazione attiva a tali
mercati solo di quei "sacerdoti" che
sono dotati delle necessarie strutture conoscitive
e delle infrastrutture quanto meno telefoniche
ed elettriche che consentono di concorrere alla
partecipazione gestionale degli strumenti.
La conseguenza è stata non solo il mantenimento
dell'alterato rapporto di scambio fra prodotto
finito e materia prima, fra servizi e consumo,
fra fruizione dell'ambiente ed estraniazione
dall'ambiente, ma anche ha fatto venir meno
i valori di riferimento di ciascuna società
componente individuale della comunità
globale.
Per altro chi si è trovato nella condizione
di potere presumere di far parte della società
della conoscenza all'interno del mercato finanziario
globale ha percepito il fenomeno come un'opportunità
per realizzare guadagni facili all'interno di
un'economia finanziaria considerata sempre e
comunque in costante crescita.
Pochi si erano e si sono accorti che la società
della conoscenza non comporta da sola la parità
delle capacità di valutazione e di competizione
all'interno del mercato finanziario mondiale,
ancora minore è stata la capacità
di concepire il fenomeno della bolla finanziaria
costruita sulla base del continuo afflusso di
denaro in cerca di sempre maggiore remunerazione
in settori e strumenti aventi un contenuto in
termini di rendimento altamente aleatorio.
Operare sui prodotti finanziari dei derivati
e sui futuri non significa avere la certezza
di un rendimento così come sottoscrivere
quote di fondi che hanno alla loro base una
presunta capacità di selezione del meglio
all'interno di un mercato finanziario aspettante
rendimenti ma privo di informazioni reali sulla
capacità di realizzare le attese economiche
ha portato all'erosione di un'enorme quantità
di disponibilità finanziarie che erano
state trasferite dal tradizionale core business
ad una prevalente attività finanziaria.
In tal modo in concreto l'operatore economico
ha cessato di essere interessato a realizzare
cose e servizi belli per attendere alla finestra
risultati puramente avventuristici in forza
della regola che la scienza economica statunitense
ha sottolineato come determinante gli investimenti
diretti: si fa un investimento diretto quando
alla qualità del prodotto o del servizio
realizzato si accompagna anche un risultato
economico superiore a quello atteso dagli investimenti
puramente speculativi (senza alcun intendimento
di attribuire un senso dispregiativo al termine).