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Ha vinto l'Italia ormai priva di un senso civico degno di questo nome, della corruzione dilagante di molti ambienti e delle tendenze separatiste di alcuni, priva del senso di appartenenza e dell'amor patrio, del rispetto verso gli altri e verso le istituzioni.

Ha vinto l'Italia della dipendenza da cellulare, dei branchi, dell'omologazione al conformismo, del disagio sociale e dei fenomeni di marginalità, della globalizzazione del pensiero, dell'eccessivo clericalismo; l'Italia di chi lascia fare, che nasconde la testa sotto la sabbia lasciandosi scorrere addosso le ipocrisie dei finti moralisti, di chi sa usare bene la faziosità delle parole; l'Italia di chi abdica alla propria volontà, di chi sa solo lamentarsi e non decide, degli abulici di raziocinio.

In una parola, ha perso l'Italia. Hanno perso le donne e gli uomini, le minoranze senza diritti, lo sviluppo scientifico, i malati: quelli che ancora non sono nati e chi (già nato) lo diventerà; ha perso l'Italia dell'autonomia di pensiero, di chi cerca di reagire alle difformità di una società incapace di recepire gli stimoli dei cambiamenti epocali che stanno caratterizzando i nostri anni. Abbiamo perso tutti.

E per tornare al quid che ha dato inizio a queste riflessioni, è certo che la ricerca non si fermerà, tanti stati esteri continueranno a sperimentare nel nome esclusivo della vita, senza rievocare (come si è abusato spesso in questi giorni) i Mengele della storia.
L'Italia si è fermata, come al solito, come gran parte dei fatti che contraddistinguono le vicende del nostro Paese.
Nessuna meraviglia dunque, nessun trionfalismo.

Caterina Ledda

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