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INTRODUZIONE

Il 20 marzo 2003 aveva inizio la guerra condotta da USA e Gran Bretagna contro l'Iraq di Saddam Hussein. La guerra ebbe ufficialmente termine il 1° maggio, ma l'esercito irakeno poteva già dirsi sconfitto con la presa di Baghdad il 9 aprile, segno inequivocabile della caduta del regime baathista.

Da quella data, e ancora oggi, non si sono arrestati i fenomeni di violenza in tutto il paese e gli attentati contro le forze di occupazione, nonché i rapimenti a scopi politici o di riscatto e i sabotaggi a infrastrutture importanti per la vita economica del paese come gli oleodotti.

Nonostante questa situazione non permetta ancora condizioni di oggettiva sicurezza per gli operatori economici stranieri, i governi e le organizzazioni internazionali hanno attuato i presupposti legislativi e gli accordi necessari per garantire la riapertura delle attività commerciali nei confronti dell'Iraq e dei progetti per la ricostruzione economica del paese, e anche molti operatori privati hanno premuto per poter al più presto porsi nell'ambito di questa ricostruzione.

L'Iraq è infatti un paese con enormi potenzialità, che gli derivano dalla situazione geografica, modellata in tempi coloniali sulla base dalle risorse naturali di cui è dotato, e da una secolare tradizione mercantile e imprenditoriale della sua gente; inoltre è un paese giovane: il 40% della popolazione attuale dell'Iraq ha oggi meno di 14 anni. E' un nuovo mercato dove tutto è da fare o rifare, e in cui il valore degli investimenti si calcola in 100 miliardi di dollari nei prossimi 5 anni.

Tuttavia non va dimenticato che l'Iraq esce non solo dalla guerra del 2003, ma anche da 7 anni di guerra con l'Iran, dal primo conflitto del Golfo, da 10 anni di sanzioni economiche dell'ONU e da 30 anni di dittatura baahtista, i cui effetti negativi si sono riversati anche sull'ambito economico.

Fino al 2003, l'economia irachena è stata infatti caratterizzata da massicci interventi statali, attraverso la creazione di imprese governative e con pesanti imposizioni normative di restrizione dei prezzi e di sovvenzioni. Il settore petrolifero, in particolare, ha rappresentato il motore più potente dell'economia, e in un futuro prossimo, dovrà espandersi rapidamente per finanziare la ricostruzione, ma al contempo si dovrà affrontare una transizione verso un'economia basata su un mercato più sano e su fonti più diversificate e sostenibili di reddito.

Per tutti questi motivi è indiscutibile che la lunga strada verso la normalizzazione, anche quella politica, istituzionale e sociale, dell'Iraq, dovrà passare anche attraverso azioni che diano prima di tutto il benessere economico agli iracheni.

Questo lavoro intende perciò riportare e analizzare in breve gli interventi, soprattutto legislativi, che gli attori internazionali presi in esame (ONU, UE, Italia) hanno predisposto proprio per porre le basi della ricostruzione e, presumibilmente, della futura collaborazione economica con l'Iraq.
Daniele Bressan

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IL RUOLO DELL'ONU

1.1. PRECEDENTI INTERVENTI DI CARATTERE ECONOMICO DELLE NAZIONI UNITE NEI CONFRONTI DELL'IRAQ

Il 6 agosto 1990, in risposta all'invasione irachena del Kuwait, il Consiglio di Sicurezza approvò la risoluzione 661 che imponeva sanzioni contro Baghdad al fine di "ripristinare l'autorità del legittimo governo del Kuwait".
Le sanzioni vennero riconfermate dalla risoluzione 687 del 3/4/1991, che le subordinò ad una serie di richieste, quali il riconoscimento della sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica del Kuwait da parte dell'Iraq, nonché quello dei confini fra Iraq e Kuwait; tale riconoscimento è stato ottenuto nel 1994, ma le sanzioni rimasero attive per la questione del disarmo.
Per il risarcimento dei danni di guerra, di cui l'Iraq era riconosciuto responsabile, fu poi istituita l'apposita United National Compensation Commission (UNCC).

Le sanzioni ONU contro l'Iraq furono le sanzioni economiche più estese e severe mai applicate, la cui durata non ha precedenti nella storia delle Nazioni Unite, così come senza precedenti è la gravità delle conseguenze umanitarie prodotte sulla popolazione irachena. Un episodio complesso, che mette in luce le incongruenze e il mancato collegamento fra le disposizioni del capitolo settimo della Carta delle Nazioni Unite e le convenzioni sui diritti umani, e che è causa di contrapposizione fra organi diversi di una stessa organizzazione. L'embargo aveva ridotto le importazioni del 90% e le esportazioni del 97%, e nel dicembre 1990 era stata stimata una riduzione del Pil iracheno del 48%.
Tuttavia, la risoluzione 687 stabiliva nell'art. 22 che una volta realizzato il disarmo non convenzionale l'Iraq avrebbe potuto riprendere ad esportare il suo petrolio.

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