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Anche le
emozioni influenzano profondamente la nostra coscienza.
Esse derivano da attività che si svolgono
in zone sottocorticali (nel cosiddetto sistema
limbico) di cui non abbiamo coscienza, ma che
a loro volta sono in grado di influenzare l'attività
della corteccia. Vale la pena di nominare a questo
proposito le endorfine, un neurotrasmettitore
che viene secreto dal sistema mesolimbico in risposta
a sensazioni piacevoli e che informa la corteccia
del fatto che il comportamento che si sta tenendo
o l'attività che si sta svolgendo e' appunto
fonte di piacere. Questo messaggio spinge
il nostro cervello a voler ripetere l'attività
fonte di piacere, per cui si può
pensare che quello che noi coscientemente decidiamo
di fare, sia in realtà in parte influenzato
da una serie di attività di elaborazione
sottocorticale di cui non abbiamo alcuna coscienza.
Alessandra Celebrini
Questo articolo fornisce una spiegazione generale
del funzionamento del cervello umano e delle sue
capacità di elaborazione ed "archiviazione"
delle informazioni; conoscere il modo in cui il
nostro cervello reagisce agli stimoli è fondamentale,
non solo per individuare le modalità di comunicazione
più efficaci, ma anche per comprendere le
dinamiche dell'apprendimento ed individuare quelle
capaci di dare maggiori risultati.
Quando nell'articolo si afferma che, pur non
avendo coscienza della maggior parte delle informazioni
che arrivano al nostro cervello, questo, comunque,
elabora tali informazioni a livello sotto corticale,
si intuisce l'estrema complessità della
comunicazione tra gli uomini e il fatto che questa
si realizzi a più livelli, non soltanto
quello più evidente, verbale o scritto.
Molte volte, infatti, quelle che chiamiamo sensazioni,
provengono da uno dei livelli di comunicazione
più profondi, non immediatamente percepibili
dalla nostra coscienza, se non altro perché
il numero di informazioni che ci giungono ogni
giorno è immenso. Per questo le emozioni
hanno un ruolo così importante nell'influenzare
i nostri stati di coscienza, come affermato nell'articolo,
perché la zona del cervello in cui vengono
elaborate queste informazioni è vicina
e fortemente collegata a livello sinaptico con
quella dell'apprendimento.
Così, per apprendere profondamente, è
fondamentale che le informazioni che si ricevono
nell'ambito della propria formazione, siano legate
in qualche modo ad una sensazione forte e piacevole,
capace di rendere indimenticabile un'esperienza
formativa.
Il gioco, da questo punto di vista, offre delle
grandi possibilità e svolge appieno il
compito di legare l'apprendimento ad un'emozione,
ad un'esperienza sensoriale complessa.
Per questo nella società attuale, dove
la velocità, tanto nell'elaborazione delle
informazioni quanto nell'adattamento all'ambiente,
è un'esigenza primaria e dove milioni di
informazioni "assaltano" il nostro cervello,
è importante studiare delle modalità
di formazione che tengano conto delle dinamiche
efficaci dell'apprendimento.
E' vero che anche un libro può essere
enormemente efficace, ma questo avviene perché
in quel momento stiamo dando grande importanza
a quel libro, perché l'argomento è
interessante per noi o perché è
scritto particolarmente bene, ma non sempre il
nostro cervello è così ben disposto
all'apprendimento, anche se le cose utili da imparare
sono tantissime, nel lavoro come nella vita personale.
Quando si gioca o si simula una situazione, oppure
si abbinano immagini e suoni a quanto si studia,
il nostro livello di attenzione si amplifica e
i risultati del nostro sforzo diventano più
efficaci e duraturi, in quanto le sfere delle
emozioni e dell'apprendimento si legano facilmente
e permettono ad un'esperienza di essere ricordata.
Quando assistiamo ad una lezione di tipo "tradizionale",
con un professore che spiega la sua teoria o quella
di altri, a meno che il professore non sia particolarmente
capace di suscitare entusiasmo per quello che
sta spiegando, le parole rischiano di scorrere
nell'aria e di lasciare la stessa traccia di una
folata di vento nella roccia; è vero che
anche il vento può scalfire una roccia,
ma dopo quanti anni? Troppi, per pensare che il
miglior metodo di insegnamento sia quello di trasferire
concetti nella mente degli studenti a forza di
ripeterli.
Quando ad un'informazione teorica si abbina un'esperienza
pratica, una simulazione, e si procede costantemente
a realizzare lo scambio tra teoria e pratica,
la nostra mente reagisce molto più velocemente
e la nostra memoria ricorda più a lungo,
così che i frutti di quell'esperienza diventano
davvero preziosi.
Simone Piperno
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