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LA TEORIA DEL CAOS: L'INTUIZIONE DEGLI
ARTISTI
(appunti e spunti da vecchie letture e recenti
navigazioni su internet)
Questa è la terza parte (per la prima parte
vedi Notiziario Gemini Europa di dicembre
2003; per la seconda parte vedi Caosmanagement
n.2)
Premessa
Nel 1884, a Washington, 25 Paesi adottarono come
meridiano zero quello di Greenwich e divisero
la Terra in 24 fusi orari; poco tempo dopo tutti
i Paesi del mondo adottarono questo sistema e
in tal modo il tempo pubblico venne accettato
come indicatore di durata e successione, entità
che scorre uniformemente e linearmente e può
essere divisa in parti eguali. L'introduzione
dell'ora ufficiale, valida e coordinata per ogni
nazione provoca nel tardo ottocento la scoperta
della contrapposizione tra tempo omogeneo e tempo
eterogeneo. Il tempo pubblico non è reale:
può variare da individuo a individuo e
nello stesso individuo di momento in momento.
La concezione del tempo e dello spazio:
viaggio nella letteratura
Il primo esempio di esplorazione di tempo eterogeneo
appare con Laurence Sterne nel
Settecento. In " The Life and Opinions of
Tristram Shandy ", gli eventi non sono cronologici
e i limiti del tempo oggettivo sono superati da
frequenti flash back e da vari tipi di deviazioni.
L'opera è particolarmente interessante
ancora oggi per il suo carattere anticonformista.
La punteggiatura è costituita in gran parte
da piccole linee e il testo è costellato
da asterischi, da spazi vuoti e da pagine tutte
nere o tutte bianche. L'opera può essere
considerata il primo esempio in letteratura di
caos stilistico e strutturale. L'autore rifiuta
l'ordine cronologico poiché il tempo personale
non è uguale al tempo dell'orologio, un
minuto può essere più lungo di un'ora.
Oscar Wilde, ne "Il ritratto
di Dorian Gray", esprime la differenza tra
il tempo personale e il tempo pubblico; Dorian,
il protagonista del romanzo, diventa immune all'azione
del tempo oggettivo il cui effetto è trasferito
sul suo ritratto.
Per Proust la realtà non
è mai assoluta, fissa, bensì si
presenta labile, sfuggente, non catturabile; solo
la memoria può cogliere le trasformazioni
apportate su uomini e cose dal tempo, considerato,
nella possibilità di ricrearlo e riviverlo
interiormente, come unica e vera dimensione della
realtà. Il romanzo "Alla ricerca del
tempo perduto" ha luogo in un tempo pubblico
chiaramente identificabile (la città di
Dublino agli inizi del Novecento), mentre il tempo
personale del narratore ha un andamento irregolare,
spesso sfasato rispetto a quello degli altri personaggi
e non riducibile a un sistema di riferimento.
Tutta la struttura dell'opera dipende dalla dilatazione
e dalla frantumazione del tempo personale.
Secondo Proust, "il corpo
custodisce il suo proprio tempo", perciò
gli orologi meccanici nel romanzo risultano totalmente
inutili, mentre l'autore si pone in "ascolto"
dei ricordi impressi nel proprio corpo. Il tempo
del racconto si identifica totalmente con quello
della memoria individuale, cosicché ambienti
e personaggi rappresentano sempre proiezioni interiori.
Riappropriarsi del passato serve per riappropriarsi
di sé, ma quello che emerge è un
sé frammentato, disperso, che attende sempre
di essere ricostruito. La ricerca volontaria del
passato è inutile: essa non ci restituisce
la realtà interiore degli eventi che abbiamo
vissuto, ma, al contrario, ci presenta i nostri
ricordi come figure piatte che non ci appartengono
più. Il passato non torna per opera dell'intelligenza,
ma grazie a oggetti quotidiani che riprendono
abitudini passate. C'è un'affinità
tra l'universo bergsoniano e l'opera di Proust:
i ricordi della memoria volontaria, la memoria
dell'intelligenza, non sono in grado di restituire
che un'immagine morta del tempo perduto, fino
a quando il ricordo del passato, inaspettatamente,
riaffiora involontariamente e fa rivivere gli
aspetti più intimi e profondi della coscienza.
Lo svelarsi della propria più intima identità
è costituito dal tempo della coscienza.
Il tempo pubblico, che Proust
ritiene superficiale ed inutile, è ritenuto
da James Joyce (1882-1941) arbitrario
ed inadatto a regolare la vita dell'uomo. L'autore
interpreta il tempo nella sua opera, "Ulisse",
in senso più duttile; infatti, il viaggio
di Odisseo, che nel poema omerico ha la durata
di un ventennio, viene "compresso" e
ridotto nelle sedici ore dell'esperienza unica
di Mr. Bloom. Joyce si sforza di trovare procedimenti
narrativi che gli consentano di presentare un
breve intervallo di tempo e uno spazio limitato,
come una riproduzione in scala ridotta di tutta
la vita umana. Inoltre ogni atteggiamento umano
diventa possibile secondo il punto di vista dell'osservatore,
come in un caleidoscopio: nei suoi romanzi Joyce
è influenzato dalla concezione relativistica
che, in ambito letterario, si traduce nell'associazione
ad un unico individuo di infinite identità.
Nell' "Ulisse", Joyce riesce a rappresentare
l'eterogeneità del tempo mediante un'esposizione
frammentata, alternando alla narrazione commenti
sull'esperienza temporale di Bloom in relazione
al tempo pubblico, così come la tecnica
del monologo interiore diretto serve a riprodurre
la concezione di Bergson per cui la realtà
è un continuo flusso, un perenne divenire.
Il "flusso di coscienza", entrato nell'uso
letterario dopo il 1890, è utilizzato in
tutto il romanzo.
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