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Nel panorama letterario italiano del medesimo
periodo, Il tempo soggettivo domina anche "La
Coscienza di Zeno", di Italo Svevo,
una confessione autobiografica che il protagonista,
Zeno Cosini, scrive su invito del suo psicanalista,
il dottor S.. Nonostante l'impostazione in prima
persona, gli eventi non seguono una successione
cronologica lineare, ma assecondano un tempo soggettivo,
in cui il passato si mescola con il presente.
La struttura del racconto risulta spezzata in
tanti momenti distinti in quanto il tempo della
narrazione è quello interiore della coscienza,
un tempo definito dallo stesso Svevo "misto",
poiché gli avvenimenti che in esso si svolgono
sono sempre alterati dalla volontà del
narratore. La narrazione, quindi, procede continuamente
avanti e a ritroso nella sfera temporale, seguendo
la memoria del protagonista che, rievocando il
passato, lo modifica quando addirittura non lo
crea ex-novo. Come il tempo è soggetto
a continue mutazioni, così anche il protagonista,
nella sua imperfezione di nevrotico, è
disponibile alle trasformazioni, è pronto
a scoprire sempre l'originalità della vita,
a differenza delle persone "sane" che
sono rigide ed immutabili. Davanti alla realtà,
tanto aperta ma anche strana, vengono a mancare
punti di riferimento; così l'intera opera,
ambigua e libera, diventa interpretabile in diversi
modi. Questo cambiamento è l'emblema del
passaggio culturale dall'Ottocento al Novecento.
Riguardo alla concezione dello spazio,
e alla collocazione degli eventi all'interno di
esso, i vari autori fin qui presi in esame esprimono
teorie diverse e tuttavia legate da un unico filo
conduttore: la consapevolezza della dinamicità
e relativa complessità insita nella dimensione
spaziale, in cui l'essere umano si muove, producendo
pensieri e azioni, e la conseguente posizione
critica nei riguardi di una visione statica precedente.
Proust trasforma lo spazio da
dimensione originariamente omogenea a moltitudine
di entità qualitativamente differenti,
che variano con le disposizioni e le prospettive
mutevoli della coscienza umana: come non esiste
uno spazio unico assoluto, così non c'è
una realtà unica.
Joyce ricostruisce gli avvenimenti
da una moltitudine di punti di vista, allo scopo
di darne un senso più completo. Bloom immagina
una molteplicità di universi in cui coesistono
dimensioni differenti: riflette sulle dimensioni
inconcepibilmente grandi e su quelle altrettanto
inconcepibilmente piccole del mondo invisibile
e ne trae spunto per fare la parodia delle misurazioni
tecniche, che dovrebbero dare l'esatta posizione
dei corpi nello spazio terrestre, ma che non chiariscono
la posizione della Terra nell'universo e non considerano
la pluralità degli spazi della coscienza,
entità volubile e perennemente mobile.
Il Mediterraneo di Odisseo, la Dublino di Mr.
Bloom, non sono gli scenari essenziali, poiché
la vera azione ha luogo nella pluralità
di spazi della coscienza che vaga nell'universo
e lo percepisce in modo differente in tempi differenti.
Anche la visione tradizionale dello spazio come
vuoto inerte in cui esistono gli oggetti, che
quindi assumono una funzione primaria rispetto
allo spazio concepito come secondario, cede il
passo ad una nuova visione: lo spazio è
attivo, dinamico e pieno ed ha il potere di "partecipare
agli eventi fisici" come dice Albert Einstein.
Tale concezione di uno spazio positivo ha ripercussioni,
in particolare nella poesia, nella concezione
del componimento come composizione di parole e
di spazi bianchi tra esse, coscientemente modellati
sulla pagina. Tale tecnica fu compiutamente sviluppata
da Stephene Mallarmé,
il quale usò gli sbalzi bianchi tra le
parole come pause visive, per stabilire un movimento
ritmico tra parole ed immagini, con funzione evocativa
e suggestiva di ciò che il poeta ha lasciato
fuori dalla poesia, altrettanto importante quanto
gli elementi che in essa vengono espressi; certo
gli spazi bianchi simboleggiano anche le lacune
del pensiero in successione, le interruzioni nella
comunicazione umana, i silenzi, fondamentali anche
in musica.
…… un'incursione nel cinema
Il cinema si rivela la forma d'arte più
adatta ad esprimere i cambiamenti intervenuti
nell'immaginario e nella percezione del mondo
novecenteschi. Infatti si presta in modo particolare
a rendere la nuova visione del tempo diffusa dalla
filosofia bergsoniana e dalle nuove teorie fisiche:
il montaggio consente una manipolazione e un'
alterazione dei segmenti spazio-temporali sconosciuta
nelle altre arti, in quanto sostituisce allo spazio
statico delle arti figurative il movimento, mentre
la concezione del tempo si apre sia alla simultaneità,
sia alla soggettività e alla relatività
(per esempio attraverso la tecnica del flash back).
Il cinema si rivela, insomma, la forma d'arte
più adatta ad esprimere una visione capace
di stimolare contemporaneamente sensi diversi
(vista e udito) e di esprimere una percezione
della realtà più disgregata, fatta
di frammenti e di momenti distinti assemblati
attraverso il montaggio.
Certe tecniche, come il ricorso al flash back
o l'uso della zoomata (che isola e ingigantisce
il singolo particolare), passano alla narrativa
moderna (Joice, Proust, Svevo) proprio dal cinema.
Solo grazie al cinema si riesce a rappresentare
realmente la natura del tempo. Il film viene compresso
,dilatato o rovesciato; gli intervalli di tempo
possono essere letteralmente cancellati da una
sequenza e l'ordine temporale può essere
modificato a piacere .
Alcuni esempi ci sono forniti da "Accaparramento
del grano" di Griffith in cui si riesce a
creare l'illusione dell'arrestarsi del tempo con
l'immobilismo degli attori, e ancora da "Charcuterie
meccanica" di Lumière, che rappresenta
il tempo "rovesciato", facendo scorrere
il proiettore all'indietro.
Giuseppe Monti
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