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Le diverse concezioni su "restauro e conservazione"
dei manufattí di interesse storico-artistico nel corso dei secoli

Premesso che con il termine "restauro" si intende indicare qualsiasi intervento rivolto a conservare la materia di cui è composto il manufatto-bene culturale, al fine di prolungare il suo ciclo di vita, in passato esso è stato variamente inteso - e diversamente attuato - a seconda delle concezioni estetiche dei diversi periodi.

La deperibilità e/o l'alterabilità-degradabilità della materia e l’interesse con cui l'uomo ha da sempre scelto i materiali con i quali eseguire le opere, nonché l'attenzione con cui esse sono state mantenute, dimostra che il concetto di conservazione e la pratica del restauro delle opere artistiche hanno origini molto remote.

Nei secoli passati le opere artistiche hanno ricevuto interventi di restauro in nome dei loro pregi estetici, fideistici o di prestigio politico: tali interventi erano diretti esclusivamente a trasmettere intatti nel tempo i suddetti valori mantenendo in buone condizioni il "significato" dell'opera e la sua "leggibilità". Il conferimento ad esse di un valore prettamente contenutistico ha prodotto tutta una serie di trasformazioni dell'aspetto dell'opera, della sua iconografia nel caso dei dipinti, degli stili, delle dimensioni e di quanto altro compone un'opera dal punto di vista estetico.

La più antica notizia circa un intervento di restauro risale al III sec. a.C.: il decreto di Chio del 322 a.C. fa presente l'opportunità di provvedere alla pulitura periodica di una statua, della quale non sappiamo altro (1).

Notizie dettagliate relative all'antichità sono state desunte da Plinio (Naturalis historia, I sec. a.C.) e da Vitruvio (De arch., I sec. d.C.) : siamo a conoscenza che greci e romani prestavano particolare attenzione ai materiali da impiegare per l'esecuzione delle loro opere, prediligendo, di conseguenza, prodotti di riconosciuta durabilità. Non solo le tipologie materiche ma anche la tecnica artistica assumeva a tal fine una posizione di rilievo: a titolo di esempio, si può citare l'uso preferenziale della tecnica a fresco per i dipinti su muro, e di quella ad encausto* per quelli su tavola allo scopo di proteggerli dai danni dell'umidità (2).

Si potrebbero riportare numerosi esempi di interventi di restauro costantemente applicati nell'antichità, come i distacchi di affreschi da supporti danneggiati - con la tecnica detta "a massello"**, utilizzata fino al XVIII sec. - la pulitura dei dipinti o delle sculture strofinando la superficie con cenere per togliere polvere e grasso, e, nel caso in cui si trattava di sculture in legno, la protezione dai tarli per mezzo di oli essenziali: la più antica notizia circa il restauro di una scultura in legno riguarda l'Artemide Efesia in cui venne iniettato olio di nardo, usato anche per l'unzione esterna della statua, al fine di evitare i danni dovuti alle tignole nonché l'essiccarsi eccessivo del legno con conseguenti spaccature (3). In breve dal punto di vista meramente estetico l'opera d'arte, in quanto portatrice di un "messaggio" religioso e politico, doveva mantenere inalterata la propria "leggibilità": essa, quindi, poteva essere riprodotta come copia piuttosto che sottoposta a restauro nel caso in cui risultassero compromesse le suddette peculiarità. Quest'ultimo caso era frequente per le opere di particolare pregio, per le quali si riteneva opportuno conservare la memoria, mentre le opere di scarso valore venivano distrutte per farne materiali da riutilizzo (4).

Con il sorgere e l'affermarsi del Cristianesimo si ebbe il fiorire della produzione iconografica del nuovo culto: i primi cristiani rappresentavano le loro immagini devozionali, che mantenevano sempre in condizioni di buona "leggibilità" attraverso i rifacimenti e le ridipinture. Ciò è stato possibile dedurlo - in quanto non esistono testimonianze al proposito - dai ritrovamenti di numerose opere palinseste, cioè rappresentazioni tra loro sovrapposte, all'interno di catacombe.

Per avere altre testimonianze di restauri dopo Vespasiano, occorre giungere al Medioevo: in questo periodo l'azione di restauro era rivolta a ristabilire l'integrità dell'opera d'arte rinnovando e attualizzando l'opera secondo la concezione estetica del tempo. Tale prassi operativa dei rifacimenti e delle ridipinture produsse una stratificazione degli interventi "ricostruttivi" succedutisi nel corso del tempo, che ne ha fatto delle opere palinseste. Ciò ha posto il problema, in tempi relativamente recenti, della liceità dell'eliminazione degli strati sovrapposti allo scopo di recuperare l'immagine "originale".

Una prassi consueta di questo tipo di interventi di manutenzione, di cui si ha notizia, è quella della pulitura dei colori e dell'oro anneriti, con calce viva, cenere e sapone sciolti nell'acqua: in seguito i materiali trattati venivano ripassati con chiara d'uovo per ravvivare i colori e renderli brillanti (4).

Dall'antichità greca e romana, di cui abbiamo le più remote testimonianze, fino al XVIII sec., gli interventi, miranti a mantenere e trasmettere il "messaggio" delle opere artistiche, non mostrano di prestare attenzione alcuna - fatta eccezione per alcune opere, ritenute "intoccabili" in quanto opera di maestri riconosciuti dell'arte e quindi di "maniera" inimitabile, come nel caso dei dipinti sistini di Michelangelo - al problema del rispetto dell'epifania originale. Si effettuano conseguentemente una serie innumerevole di “ritocchi" e rifacimenti sulla maggior parte dei manufatti giunti sino a noi. In particolare, a determinare le maggiori attenzioni da parte dei restauratori a partire dal XVI sec., sono i completamenti di opere del passato in stato lacunoso, attraverso integrazioni "mimetiche": ciò derivava non solo dall'esigenza da parte dei fruitori di "godere" della bellezza dell'opera nella sua completezza, soprattutto da parte dei committenti-collezionisti di oggetti d'antiquariato, ma anche da una necessità sentita, specialmente in epoca rinascimentale, di innescare una "gara" con gli artisti del passato e quindi di studiarli e di eguagliarli. Da ciò si comprende il valore dato al restauro quale "strumento" per conseguire il recupero dell'esteriorità dell'opera, tralasciando non solo il suo valore storico - scarsamente riconosciuto se non in senso strumentale - ma ancor più trascurando completamente gli aspetti materici afferenti all'arte. Sarebbe tuttavia riduttivo affermare che questi erano completamente sconosciuti agli artisti e agli intenditori d'arte dell'epoca poiché in particolare gli artisti, a partire dalla presa di coscienza del valore intellettualistico del loro operare, cioè a partire dall'inizio del XV sec., compresero l'importanza della conoscenza delle nozioni attinenti le tecniche e i materiali, la quale presuppone una preparazione professionale non più solamente empirica ma suffragata dallo studio teorico, per il conseguimento di un lavoro di "qualità". Questa rinnovata visione teorica produsse una nuova attenzione verso gli aspetti qualitativi responsabili della conservazione delle opere; d'altra parte il recupero stesso dei precetti dell'arte romana, tratti in particolare dal "Trattato di Architettura" di Vitruvio (27d.C.), consentì ai suddetti di operare delle scelte in funzione qualitativa e quindi conservativa.

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