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Fra il Quattrocento e il Cinquecento divenne frequente la pratica del restauro di integrazione: in particolare si provvedeva a completare le numerose sculture, rinvenute negli scavi archeologia dei primi del Cinquecento, nelle loro parti perdute, con nuove parti eseguite in "stile" secondo la concezione estetica classicista. Alla valenza estetica, però, si aggiunse un interesse storico lontano, naturalmente, dal nostro rispetto per l' "istanza storica" che, come è noto, si affermerà solo con Brandi. Tale interesse consiste nel "rifare in stile" l'opera d'arte, allo scopo di mantenere i caratteri propri del suo periodo di origine: si presta così attenzione alla storicità delle opere.

Passando al secolo della Controriforma - l'azione e il movimento di riforma della vita e della disciplina religiosa nella Chiesa cattolica nei sec. XVI e XVII nonché di difesa, nei confronti della Riforma protestante, della tradizione cattolica - essa condusse al restauro devozionale di dipinti e statue dedicate al culto: tale interesse si rivolse esclusivamente all'iconografia, per mezzo di tagli, adattamenti, ridipinture, etc., allo scopo di intervenire sui "contenuti", modificandoli, per renderli compatibili alle nuove e più severe regole del culto controriformato.

Per tutto il Seicento persistette tale pratica di restauro, affiancata comunque dall'uso di rifare le opere secondo il nuovo gusto barocco.

Ma è solo a partire dal XVIII sec. che si hanno i primi cenni di una attenzione agli aspetti storici e materici caratterizzanti le opere; si levano le prime isolate concezioni di un restauro rispettoso per l'aspetto in cui si presenta l'opera, quindi propensi ad un non-intervento: tale concezione produce, indirettamente, una maggiore attenzione nei confronti dell'autenticità della materia di cui si compone l'arte.

Nella seconda metà del secolo si delinea, per la prima volta, l'interesse per una "normativa" delle procedure attinenti la conservazione e il restauro e, quindi, si ha un più cosciente controllo dell'operato: in particolare ciò si attua nei restauri diretti da Pietro Edwards a Venezia (4).

A partire dall'Ottocento la disputa sui metodi e sulle concezioni del restauro si fa accesissima per l'affermarsi di concezioni teoriche a volte opposte. All'origine di un così ampio dibattito si pone il grandissimo numero di restauri monumentali operati in Francia durante il periodo Romantico. Questo nuovo interesse sorto intorno al restauro è determinato dalla volontà di recuperare le proprie origini culturali "nazionali", ravvisate nelle vestigia di epoca medievale. Tale impostazione di "recupero" del passato ha il suo più conosciuto assertore in E. Viollet-le-Duc, il quale teorizza e pratica il restauro di ripristino o stilistico degli stili architettonici del medioevo. Una controparte è rappresentata dall'inglese J. Ruskin, il quale ritiene il consolidamento l'unico intervento valido sui monumenti, insieme alla tutela costante di essi, che ne scongiuri gli interventi diretti: egli pone particolare riguardo alla conservazione delle opere molto più che non il suo antagonista. Una posizione "rivoluzionaria" è rappresentata negli stessi anni dall'italiano C. Boito, il quale, in veste di teorico (come lo era Ruskin, ma non LeDuc il quale era un architetto restauratore) conferì importanza al valore "documentario" delle opere e, quindi, al rispetto dello stato in cui esse giungono ritenendo importante limitare al minimo i rifacimenti, i quali, inoltre, devono essere sempre riconoscibili. Le sue idee confluirono nel documento sul restauro redatto dagli Architetti e Ingegneri nel 1884 ponendo le basi per il futuro restauro scientifico. Da Boito e dalla sua concezione "moderna" discende il restauro storico-filologico teorizzato, a distanza di pochi decenni, da L. Beltrami. Tali concezioni rappresentano i prodromi del restauro critico, in seguito sancito da Brandi, che vennero affermate nella Carta del Restauro italiana del 1931(5).

Il rispetto per l'opera e per il suo stato di conservazione si è affermato in tempi recenti con il mutamento della concezione del restauro, verificatosi con l'avvenuto riconoscimento dell'importanza della valutazione “critica" dell'opera. Essa si afferma gradualmente, a partire dalla definizione del restauro data da C. Brandi nella sua "Teoria del Restauro" nel 1960. Egli definisce il restauro come il "momento metodologico del riconoscimento dell'opera nella sua polarità storicoestetica". Tale "riconoscimento" non è possibile in presenza di manufatti alterati a causa di restauri impropri: ne consegue che la suddetta impostazione concettuale è essenziale per la conservazione dell'opera (6).

In quegli stessi anni si ha il delineamento e l'affermazione del concetto di "conservazione", a partire dalla definizione di "bene culturale" quale "testimonianza materiale avente valore di civiltà", conferito dalla "Commissione d'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico e del paesaggio" nel 1967: questa ha prodotto il superamento di una visione meramente estetica degli “oggetti" d'arte ed ha attribuito loro il valore di testimonianza delle culture del passato superando la valenza discriminatoria insita nel concetto di "belle arti". Accanto al valore di "civiltà", si pone per la prima volta in risalto quello altrettanto caratterizzante concernente l'aspetto "materiale" di tali beni: questa rinnovata visione ha contribuito alla formazione della moderna definizione di conservazione come insieme di "atti", diretti ed indiretti, volti al mantenimento della "funzionalità" di un bene, il che equivale a dire fruibilità di esso. Tale finalità è conseguita attraverso interventi relativi alla materia, al suo "ciclo di vita", in quanto da essa dipende la "trasmissibilità" dei valori di "civiltà" che corrisponde alla finalità stessa dell'intervento conservativo.

La conservazione è oggi avvertita come una esigenza prioritaria: l'impegno culturale e tecnico garantisce la "vita" stessa del bene. Essa non può prescindere dal rispetto dell' “istanza estetica" e di quella "storica": ciò implica, conseguentemente, la tutela del contesto storico - ambientale che ha "prodotto" il bene e ne ha assicurato la trasmissione fino a noi.

 

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