SELF – EMPOWERMENT:
CURARE SE STESSI PER MIGLIORARE IL RAPPORTO
CON GLI ALTRI
Si tratta di una filosofia individualistica,
rivolta cioè innanzitutto alla persona,
e alla sua possibilità di raggiungere
una condizione esistenziale cognitiva e affettiva
caratterizzata da una serie di capacità,
cosiddette di auto-efficacia, ma ha ripercussioni
anche sul versante relazionale e organizzativo
in genere.
Di matrice americana, sorta negli anni ’60,
segnati dalla contestazione delle minoranze,
soprattutto di colore, è stata affiancata
nel corso del tempo dalla nascita e dallo sviluppo
di altre discipline ad essa legate per affinità
di contenuti: la psicologia di comunità,
la medicina e psicoterapia, la pedagogia degli
adulti, fino a legare il proprio nome e ad esercitare
la sua influenza, in particolare negli anni
’90, a tutta una serie di interventi relativi
all’apprendimento e alla formazione.
Oggi viene intesa, prima ancora che come status
di vita, non permanente, ma da conquistare e
mantenere, nel significato di ideologia
portatrice di valori quali la proattività,
il senso di responsabilità, la cooperazione,
e ancora come processo, ovvero passaggio
da una situazione di sfiducia e impotenza nei
riguardi della vita e delle occasioni di impegno
che quotidianamente ci troviamo ad affrontare,
a una sorta di ristrutturazione di se stessi
e del proprio rapporto con il prossimo.
Ma che cos’è propriamente il self-empowerment
e come fare per essere considerati soggetti
empowered? Il senso di auto-efficacia
consiste nella capacità di sentire gli
eventi sotto controllo e interagire con successo
rispetto ad essi, concentrandosi sulla soluzione
dei problemi piuttosto che sulla loro natura,
di percepire le difficoltà come sfide
e porsi davanti obiettivi stimolanti da perseguire
e coltivare, la progettualità, il potere
di scelta, la visione positiva delle cose, etc.
Diverse sono le “fonti” su cui occorre
lavorare per sviluppare il self-empowerment,
nonché i pensieri, le emozioni e i comportamenti
che ne derivano perché diversi sono gli
elementi che contribuiscono ad aumentarlo: la
storia personale, la cultura del contesto, l’esperienza
diretta e quella vissuta attraverso il confronto
con gli altri, il monitoraggio del proprio stato
fisico-psichico (biofeedback), il dialogo interno,
l’autoregolazione. Diversi sono anche
i livelli di applicazione di una teoria del
genere: il giudizio di capacità su se
stessi può infatti essere esteso a un
gruppo, a un’organizzazione, a una comunità.
Simili concetti, inoltre, è facile intuire,
trovano riscontro pratico anche all’interno
delle realtà aziendali, di qualsivoglia
tipo e dimensione, dove possono essere sistematizzati
e resi praticabili attraverso l’impiego
di strumenti che aumentano di validità,
se usati in modo sequenziale. Un esempio fra
tutti, già ampiamente sperimentato, il
cosiddetto Bilancio di competenze:
si tratta di un percorso formativo a tappe,
cui si aderisce volontariamente, basato su una
relazione di aiuto tra consulente e cliente
e finalizzato a dare consapevolezza e valore
alle competenze della persona, nonché
definire un progetto di sviluppo professionale
che può andare dalla conferma dell’attuale
ruolo professionale con miglioramento delle
prestazioni attraverso un intervento formativo,
o miglioramento del benessere attraverso azioni
specifiche, all’assunzione della responsabilità
di un servizio o ancora alla conciliazione del
ruolo professionale con progetti di natura personale.
Importato dalla Francia già nella prima
metà degli anni ’90, questo strumento
è oggi diffuso nel nostro Paese e il
termine che lo definisce compare di frequente
sia in ambito istituzionale (nella programmazione
delle politiche del lavoro, nelle misure di
formazione continua, negli accordi di concertazione
tra le parti sociali) che in ambito privato,
in quanto spesso richiesto dalle imprese alle
società di consulenza per la gestione
ad esempio di processi di mobilità interna/esterna
o per l’orientamento e lo sviluppo degli
alti potenziali.
Donatella L.M. Vasselli
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