GLOBAL MIND SET E
NUOVO MERCATO DEL LAVORO
1. Mentalità
globale per competere
Come sarà l’educazione
di questi anni 2000? E a cosa servirà?
Per rispondere vi sono due diverse opportunità.
Estrapolare le conclusioni dall’analisi
di un sistema educativo che è ancora
fermo al XIX secolo e ai suoi equilibri.
Oppure guardare al mondo, come va e soprattutto
dove va.
Sono almeno trent’anni che gli amanti
delle prosposizioni nel futuro mettono in
guardia contro la lentezza di reazioni nei
confronti del cambiamento. Si è parlato
spesso di rapidazione dei processi.
Ma tant’è, nessuno ci ha creduto
fino in fondo. Gli Stati Uniti hanno dovuto
subire lo shock giapponese degli
anni Ottanta per uscire da un pericoloso
annebbiamento da “primato raggiunto”.
La vecchia Europa, con i suoi riti formalistici
e sindacali, che ancora permeano pesantemente
la vita economica, sta accorgendosi solo
ora, nel mezzo di un inarrestabile incubo
“disoccupazione”, degli anni
persi nel tentativo di convalidare vantaggi
individuali e collettivi non più
corrispondenti all’assetto di un’economia
protetta.
1.1 Sapere come competizione
L’educazione pubblica
è un luogo sintomatico del futuro.
Il suo risultato abissale nei confronti
dei comportamenti sociali ed economici di
ogni giorno è chiara agli occhi di
tutti. In alcuni paesi, fra i quali l’Italia,
la disorganizzazione e il velleitarismo
raggiungono livelli parossistici. Ma nulla
di sostantivo accade. Nulla che adegui il
prodotto e i processi del sistema educativo
nelle nuove direzioni competitive del sapere.
Gli istituti di ricerca sociale
fanno sapere che fra i giovani c’è
in giro una grande disaffezione verso la
scuola. La percezione evidente psicologicamente
negativa è che nelle aule stiano
perdendo tempo. Là fuori il mondo
bolle. Fra le, spesso, disadorne mura scolastiche
non si vedono le connessioni. Essere motivati
significa saper giudicare l’esito
delle azioni che si intraprendono. Esattamente
l’opposto di quanto avviene al giovane
che studia. Qualcuno deve dirgli che anche
dalla periferia del mondo si gioca una per
pochi: Stati Uniti, Cina, India, Russia,
Brasile e si stanno dividendo responsabilità
e poteri del mondo che viene. L’Europa
non può fare da controfigura o controparte.
Lo stesso Giappone è a rischio.
É dall’esperienza scolastica
che si deve entrare nel contesto internazionale
e capire ch lo si può plasmare attraverso
comportamenti attivi, come individui e come
popolo. Dopo è troppo tardi. La forza-lavoro
arriva nell’agone produttivo consapevole
solo di astratti diritti. Non si rende conto
che le regole della competizione del sapere
si ripropongono continuamente e devono essere
sempre provate sul campo. L’individuo
deve continuamente decidere del suo livello
di conoscenza e abilità, cercare
ed usare una molteplicità di strumenti
per migliorare le proprie prestazioni, agire
in un contesto non provinciale con disponibilità
alla mobilità fisica e comunque al
networking comunicazionale.
La rapidazione degli eventi nel
campo della preparazione delle risorse umane,
dalla scuola in poi, si traduce nella comprensione
del posto di lavoro non come piattaforma
dinamica, dove l’apprendimento
è processo e la pratica dei comportamenti
eccellenti (best practices) è
l’obiettivo condiviso.
Negli anni 2000 sarà possibile non
praticare questo tipo di educazione e formazione,
ma non c’è dubbio alcuno che
questa è l’unica educazione
e formazione di cui c’è bisogno.
I “portatori sani” di questo
virus di iniziativa e flessibilità
avranno la meglio sugli altri nell’agone
economico e sociale. Il motore del cambiamento
è comunque il modo con cui oggi guardiamo
al lavoro: