Numero 54 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Inutili Affanni

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di Laura del Vecchio


Sarà capitato a tutti di trovarsi a un semaforo e allo scattare del verde vedersi la strada sbarrata da alcune macchine i cui guidatori proprio non sono riusciti a resistere alla tentazione di procedere comunque, forti del proprio verde, pur sapendo che avrebbero finito per ingombrare l’incrocio, tanta la fila di macchine davanti a loro.

Quando ciò accade, esplode un putiferio. I bloccati si sentono autorizzati dal proprio verde a sfogarsi sul clacson. Il frastuono è tale che i guidatori incriminati sembrano scomparire nei sedili delle proprie macchine. Ma la vergogna è solo il disagio di un momento: posti in un’analoga situazione, torneranno a comportarsi esattamente allo stesso modo. Io pure nel traffico non mi faccio scrupolo: rosicchio metri di strada superando a sinistra pur sapendo di dovere svoltare di lì a poco a destra. Proprio non ce la si fa a trattenersi. Una lotta senza quartiere più che con gli altri con se stessi.

yyDomani mi metterò in viaggio per la Sardegna: mi prefiguro già l’ansia generale di salire a bordo e mi aspetto che l’imbarco sia il solito arrembaggio. Di ritorno da quella vacanza prenderò il treno per il trentino: benché il popolo della rotaia sia più mansueto di quello su gomma, so già che dovrò farmi largo nel corridoio stretto tra bagagli abbandonati e passeggeri che trovano più divertente viaggiare in piedi a gambe larghe piuttosto che comodi ai propri posti.

Noi italiani la prendiamo sempre sul personale e l’affollamento ci induce a occupare più spazio rispetto a quanto non ci serva: paradosso della scarsità o semplice puntiglio.

E’ quasi un riflesso automatico, come quando al cinema seminiamo borse e giubbotti sui sedili adiacenti al nostro, anche se siamo soli e non abbiamo nessuno a  cui “tenere il posto”. In piscina teniamo occupato il lettino per ore con un asciugamano anche se di sole non ne possiamo più e siamo altrove, magari al bar all’ombra a fare le parole crociate.

Proteggere le proprie posizioni, barricarsi, non è un fatto solo fisico: è un assetto mentale. Quasi un dettato morale. Così finisce che persistono privilegi senza senso e corporativismi anacronistici. L’importante è conservare le propria stazza, anche se di fatto ostacola, nella falsa convinzione che “un po’ di grasso non guasta”.

E’ quello che in parte sta accadendo in questi tempi di tagli. Tutti reclamano il contenimento della spesa pubblica e una migliore distribuzione delle risorse, nessuno però è disposto a perdere terreno, anche se incolto o incoltivabile. Tanto si è abituati a sentirsi rispondere che non ci sono soldi, che si finisce con il credere che oggi come in passato ci sia solo da rinforzare gli ormeggi per resistere all’onda d’urto e salvarsi.

Ma questa volta non si tratta di un caso isolato. Non ci si rende conto che c’è veramente da stringere la cinghia e soprattutto da cambiare sistema. Non si può più acquistare a credito. Eppure ci si affanna per compiacere e rendere favore a tizio o a caio perché guardi con benevolenza alla nostra “situazione”, se ne faccia carico e la difenda. Così succede che in tempi di rigore si moltiplichino le spese in cene e, magari, case. L’unico effetto della crisi, in fondo, sta nella ritrovata concretezza del privilegio: non più lusso insensato ma solido mattone.

E’ venuto forse il momento di smettere di affannarsi per restare sempre gli stessi e incominciare invece a immaginare un modo per essere diversi: non più privilegi per pochi, ma diritti per tutti.

 

Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni