No, non era il Grande Fratello
La tragedia dei minatori cileni, seguita da tutte le televisioni del mondo, in diretta da tantissimi paesi, ha avuto il miglior finale possibile.
Per chi non avesse seguito da vicino tutta la vicenda, di seguito un testo scritto dal scrittore cileno Luis Sepulveda per la Repubblica il giorno 14 ottobre 2010:
“IL Cile è un paese che cresce nelle tragedie. Il poeta Fernando Alegría ha scritto: "Quando ci colpisce un temporale o ci scuote un terremoto, quando il Cile non può più essere sicuro delle sue mappe, dico infuriato: viva il Cile, merda!". Nel mese di agosto, con la metà del sud del paese ancora tra le rovine provocate dal terremoto del 27 febbraio, giunse l'allarme dal nord, dal deserto di Atacama e venimmo a sapere che 33 minatori erano rimasti intrappolati.
Erano rimasti imprigionati, dopo il crollo di una miniera di proprietà di un'impresa che violava tutte le regole di sicurezza sul lavoro.
Trentatré uomini, uno dei quali boliviano, sono rimasti intrappolati a 700 metri di profondità per 69 giorni finché, nonostante lo spettacolo mediatico organizzato dal governo, hanno cominciato a uscire uno dopo l'altro dalle profondità della terra. Se volete leggerlo tutto andate a: “http://www.repubblica.it/esteri/2010/10/14/news/il_cile_che_rinasce_dal_sottosuolo-8031945/index.html?ref=search
Articolo pubblicato sul Wall Street Journal: "A show of competence and determination inspires the world". By PEGGY NOONAN.
Questa volta posso dire senza nessun dubbio o timore che sono orgogliosa di essere cilena, e vi racconto perché.
Mio padre aveva una piccola miniera di rame, che si trova a 591 km di Copiapo, dove sta la miniera di San Jose. Almeno, così dice Google. Tenete presente che il Cile è molto lungo, ed infatti da Copiapo a Salamanca, la città più vicina da dove si trovava la miniera di mio padre, ci si mette quasi 11 ore di macchina. E da Salamanca a Santiago sono 318 km, diciamo altre 6 ore di macchina.
Da piccola, molto spesso mio padre diceva a mia madre che ero pallida, senza colore e che avevo bisogno di aria pulita. E così, lo accompagnavo alla miniera. Era uno dei privilegi guadagnati facilmente per il fatto di essere la più piccola di cinque figli.
Il ricordo di quei viaggi è pieno di emozioni impossibili da dimenticare. Certe volte andavamo in macchina ed altre invece andavamo in aereo. Papà era pilota civile, e aveva fondato il Club Aereo di Salamanca insieme ad altri suoi amici piloti, in questo modo si spostava più velocemente, secondo me più che altro si divertiva a volare. Si volava con un piper a due posti che era così vecchio che certe volte ho visto mio padre prima di partire, attaccare dei cerotti al finestrino per precauzione.
Una volta arrivati a Salamanca, si prendeva la jeep, verde e piccola come quelle che si vedono nei vecchi film. La strada che saliva verso la “planta” della miniera (dove avviene la lavorazione del materiale estratto) era sterrata, e naturalmente, dalla planta alla miniera la strada diventava ancora più impervia e pericolosa. Anzi, salire la Cordillera de Los Andes con una jeep su una strada sterrata, molto stretta, dove, in certi punti i camion a mala pena entravano, non fa bene al cuore. Bisogna, avere un cuore forte.
E bisogna essere forti comunque, perché la vita del minatore è dura, sacrificata, sulla montagna in certi periodi fa molto caldo di giorno e molto freddo di sera. La città più vicina è sempre lontana e così i minatori con le loro famiglie vivevano tutti intorno alla planta della miniera, a metà cammino verso l'alto della montagna.
In questa piccola comunità, si conviveva tutti ed io giocavo con dei bambini che avevano le stesse facce di quelle che avete visto in televisione. C'erano le capre, le pecore, i maiali, i conigli, le lepri, e dicevano che c'erano anche dei leoni ma credo fossero leggende per tenere buoni noi bambini.
Mio padre portò un’insegnante volenterosa e instituì la prima scuola dove andavano tutti i figli dei minatori. C'era una “pulperia”, la bottega dove si poteva comprare tutto ed erano più le volte che si segnava che quelle che si pagava.
I ricordi sono tantissimi, gli anni sono passati, quella miniera forse non esiste più e le cose sono molto migliorate ma non di tantissimo. Fare il minatore ancora oggi è duro, e per questo assistere in diretta televisiva al salvataggio dei 33 minatori è stato una allegria immensa, una gioia indescrivibile.
Le notizie che vediamo e sentiamo ogni giorno sono nella maggior parte negative, piene di pessimismo ed angoscia, dunque con maggior ragione poter vivere un lieto fine in diretta, è fantastico. Invece, sentire un giornalista di una rete televisiva privata dire che l’uscita dei minatori dalla capsula Fenix era come l'uscita dei concorrenti del Grande Fratello, non è accettabile!
Marisol Barbara Herreros: Cilena di nascita nazionalizzata italiana, con più di 30 anni di esperienza in marketing, vendita e relazioni pubbliche. Viaggiato un pò, vissuto stabilmente in Santiago del Cile, Quito, Londra e Roma. Responsabile della Redazione di Caos Management. Direttore di GEManagement Ltd.
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