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Il Praetor Peregrinus aveva la capacità
di sincretizzare gli usi e costumi esterni ed
estranei a Roma, ma ugualmente importanti, alfine
che Roma potesse alimentare e svolgere le sue
funzioni politiche anche con la collaborazione
dei “Barbari”. Tutto questo non in
una posizione di tipo espropriativo, ma collaborativo
nella ricerca di soluzioni che soddisfacessero
tutte le culture rappresentate nell’imperium
romano.
Il contadino laziale, nell’ambito dei suoi
traffici, si avvaleva di collaboratori che provenivano
da ogni parte del mondo, essendo attratti da Roma
o conquistati per debellatio. Roma e
gli stati federati, all’interno di una piattaforma
giuridica unitaria, utilizzavano un codice di
procedura civile capace di consentire e regolare
i traffici.
Alla caduta dell’Impero Romano i Germani
e gli stessi Goti, nella loro avanzata, capirono
che la via della seta doveva essere mantenuta
sgombra a qualunque costo anche dividendo l’impero
romano in due parti, una lasciata alle conquiste
e l’altra, l’Impero Romano d’Oriente,
rafforzato con alleanze e trattati che ne hanno
garantito l’indipendenza e la funzionalità
fino alla caduta di Costantinopoli.
Attualmente queste premesse storico-giuridiche
si mantengono integre e possono essere riprodotte
in questa fase storica di nascita della potenza
unitaria europea perché sono nuovamente
presenti le caratteristiche ed i bisogni di integrazione
economica tra Europa ed Oriente vicino, come dimostra
il programma Wider European Integration.
Venuta meno, con la scoperta dell’America,
l’importanza della via della seta, si è
sostituito il concetto della cooperazione tra
i popoli garantito dai liberi commerci, con il
concetto violento, introdotto dai portoghesi e
dagli spagnoli, di conquista materiale e di occupazione
militare dei paesi più deboli, utilizzando
gli strumenti morali biblici del popolo eletto,
per teorizzare la superiorità dell’europeo
bianco sui popoli sottomessi.
L’Europa, da quel momento in poi, ha sostituito
la strategia della libertà di mercato,
ancorché controllata, con l’occupazione
ed il presidio diretto dei territori concetto
dal quale sono scaturiti i grandi Stati nazionali,
ma anche la riforma e la controriforma e, non
ultime, le guerre coloniali e le due ultime guerre
mondiali.
Sia la prima che la seconda guerra mondiale sono
state combattute dalle potenze europee, per ragioni
esclusivamente europee, ma gli uomini che hanno
combattuto sono venuti da tutti gli angoli del
mondo e spesso gli appartenenti alla stessa nazione
si sono trovati sui fronti opposti (croati, polacchi,
francesi, musulmani bosniaci hanno combattuto
sotto le bandiere dell’Asse e sotto quelle
alleate), il Gran Muftì di Gerusalemme
dimorava a Berlino e stringeva accordi con il
nazismo mentre i musulmani marocchini e algerini,
senegalesi ed uzbekhi morivano a Cassino, in Africa
o in Russia combattendo contro i tedeschi.
A quei soldati che si sono battuti per gli interessi
europei, le guerre mondiali hanno insegnato l’indipendenza,
l’elettorato attivo, la libertà di
commerciare come cittadini, producendo su di loro
esattamente lo stesso effetto che produsse sulle
truppe italiche, combattenti sotto le insegne
di Roma: la prospettiva di partecipare al “cursus
honorum” spettante al “cives romanus”.
In questo contesto, oggi come allora, non è
in discussione il centralismo europeo (così
come non era in discussione l’autorità
di Roma) che rimane un obiettivo globale per le
nazioni mediterranee, del Mar Nero e dell’Asia
Centrale, ma l’Europa deve riconoscere la
pari dignità all’interno delle politiche
commerciali e di cooperazione industriale.
L’Europa, durante il periodo della guerra
fredda, è diventata povera perché
non ha accettato o non ha saputo riconoscere la
cennata richiesta proveniente dai paesi ACP ed
ha delegato agli USA, al centralismo commerciale
del dollaro, la gestione della propria politica
di sviluppo e delle proprie scelte di diplomazia
economica.
L’Europa ormai, non solo si serve delle
materie prime dei paesi asiatici ed africani,
del petrolio medio-orientale, ma anche di tecnologie,
innovazione di sistema e ricerca, provenienti
dai laboratori indiani e cinesi, nonché
di prodotti finiti giapponesi, cinesi e coreani.
Oggi all’Europa è rimasta una sola
risorsa vitale, quella dei banchieri centrali
che, attraverso la politica monetaria, hanno cercato
di realizzare attraverso l’Euro, il sostegno
delle nostre economie; visto che il mondo della
politica non trovava soluzioni di respiro internazionale
e rimane ancorata alla gestione e alla soluzione
della politica economica interna, senza tener
conto delle nuove competizioni internazionali.
La scelta inglese di non aderire all’Euro,
la paura irlandese (poi superata), il diniego
danese, non sono altro che posizioni radicali
di difesa delle proprie quote di mercato e del
proprio Prodotto Interno Lordo rispetto ai mercati
di riferimento consolidati. Diversa la situazione
per Italia, Francia e Germania che con varie motivazioni
e, grazie ad una diversa flessibilità del
proprio tessuto imprenditoriale, hanno potuto
e saputo consolidare le proprie presenze commerciali
all’estero, pur nelle presenti difficoltà.
La politica dell’Unione Europea è
lo specchio, e non potrebbe essere altrimenti
visto che gli stessi soggetti nazionali partecipano
alle scelte europee, del bisogno di accrescere
l’esportazione, limitare l’importazione
dei prodotti finiti e dei semilavorati fabbricati
senza il rispetto delle condizioni minime sociali
e di sicurezza del lavoro (interessante il dibattito
ONU sulla clausola sociale come elemento decisivo
per combattere la concorrenza “sleale”
dei Paesi in via di sviluppo, in deroga ai principi
WTO), ridurre le spese comuni.
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