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TRA SCANDALI E SPECULAZIONI: IN ITALIA NON SI INVESTE!

Caosmanagement nasce per offrire spunti di riflessione per i lettori, riferendo di esperienze e di progetti, perché riflettere su quello che ci circonda ci aiuta ad interpretare una realtà in continua evoluzione e molto complessa.

Lo spunto che intendiamo offrire in questo numero riguarda gli investimenti, davvero pochi, realizzati dalle aziende nel nostro Paese nell'ambito della ricerca e dell'innovazione: scarsa volontà di investire per rendere competitive le imprese italiane, ma grandi sforzi per realizzare "succulente" speculazioni e trasferimenti di capitali in paradisi fiscali, con la commistione tra banche e noti imprenditori

Tra scandali e finanza
Quello che è accaduto negli ultimi mesi all'economia italiana ha dell'incredibile: tre aziende, tra le più rilevanti per la nostra economia, sono state colpite da pesanti crisi e da scandali vergognosi.

Partiamo dalla Fiat, che per l'ennesima volta nella sua storia ha annunciato una crisi per avere via libera e la coscienza pulita, prima di licenziare centinaia di persone: è chiaro, a nostro avviso, come questo progetto celasse l'esplicita volontà di concentrare l'attività del gruppo Agnelli in ambito prettamente assicurativo e finanziario, attraverso l'azione della holding IFI, del gruppo assicurativo Toro e della banca San Paolo IMI.
Si potrà obiettare che ogni imprenditore è certamente libero di agire per ricercare il massimo profitto, ma cosa dire del fatto che l'Italia ha visto la drastica riduzione di capacità produttiva di uno delle sue pochissime multinazionali?
Non è cedendo o ridimensionando i pezzi migliori che potremo affrontare la competizione interna all'Unione Europea e quella con gli altri Paesi, e non è certamente in questo modo che si creano lavoro e ricchezza.

Trattare degli scandali finanziari che sono accaduti recentemente nel nostro paese, Cirio e Parmalat, è fin troppo scontato, ma senza dubbio offre spunti chiarificatori.
Le recenti dichiarazioni di Fausto Tonna, ex direttore finanziario di Parmalat, avranno fatto gelare il sangue nelle vene a molti:
"Da Tanzi 3-4 miliardi all'anno ai politici, soldi in contanti da un fondo in teoria destinato all'acquisto di francobolli e marche da bollo", e ancora "la Banca di Roma ci fece acquistare Eurolat" per "salvare Cragnotti", e "se non avessimo fatto l'operazione, i rapporti tra Parmalat e Banca di Roma si sarebbero compromessi".
Alla fine l'acquisto fu realizzato perché secondo Tonna, "la nostra preoccupazione non riguardava soltanto l'immediato rientro nei confronti della Banca di Roma, ma il clamore che sarebbe derivato dalla semplice richiesta di rientro. Infatti, essendo la Banca di Roma considerata banca amica di Tanzi, la notizia avrebbe destato forti sospetti e preoccupazioni al sistema bancario e al mercato borsistico". Se fossero realmente queste le relazioni tra le grandi aziende e le banche, non stupirebbe affatto quanto siano scarse le spinte all'innovazione e alla ricerca per le aziende nel nostro Paese, in quanto gli interessi principali sono chiaramente orientati verso altri obiettivi, speculativi e non produttivi.

In questi giorni sembra essere caduta anche la "schermatura" sui conti esteri della famiglia Tanzi, un vicenda intricatissima, che coinvolge personaggi invischiati, in passato, in vicende particolarmente complesse come il processo Enimont, quello a Craxi o addirittura a Licio Gelli.
Secondo le ultime rivelazioni dell'avvocato Ributti, (difensore di Tanzi, ma costretto a rivelare elementi fino ad ora negati energicamente) all'inizio degli anni '90, in piena bufera tangentopoli, venne creato un fondo speciale a Lugano per permettere a Callisto Tanzi di realizzare "operazioni di sostegno del titolo Parmalat"e "acquisizioni societarie da tenere nascoste ai fratelli": la vicenda è molto difficile da decifrare, ma è interessante approfondirla>>

Anche nella vicenda Cirio sono emersi particolari che permettono di delineare il vero volto della nostra economia: accuse di riciclaggio del denaro proveniente dalla bancarotta fraudolenta e imputazioni di pagamenti facilitati in favore di numerose banche a parziale pagamento dei debiti accumulati dalla Cirio Finanziaria Spa e dalla Cirio Holding Spa, oltre alle accuse di associazione a delinquere finalizzata alla truffa per il collocamento sul mercato delle obbligazioni Cirio.

Una ricerca molto interessante
Tornando all'argomento principale della nostra riflessione, ovvero la mancanza di investimenti nella ricerca e l'innovazione nel nostro Paese, è interessante citare i dati elaborati dalla rivista Spectrum, pubblicata dall'IEEE (Institue of Electrical and Electronics Engineers).
La rivista ha condotto una ricerca per individuare le prime 100 aziende al mondo in termini di investimenti in R&S nel 2001 e 2002, approfondendo in particolare il rapporto tra investimenti e fatturato e l'investimento per addetto.
Il risultato di questo studio vede le aziende italiane assolutamente arretrate e lontane dalle posizioni migliori. Mentre la prima azienda per l'investimento totale è la Ford, con 7700 milioni di dollari, e la Broadcom Corporation (azienda produttrice di circuiti integrati) ha il rapporto più alto tra fatturato e investimenti (6,59%) e il maggiore investimento per addetto (285000$), l'Italia ha la sola Fiat in classifica, al 46° posto, con un investimento totale di 1856 milioni di dollari (3,2% del fatturato) e di 10000$ per addetto.

Questa tabella riassume i risultati: quante sono le aziende in classifica per ogni Stato, quanto investono complessivamente, il Pil nazionale e il rapporto tra investimenti realizzati in R&S e Pil.

Nazione USA Giap Ger Svi Fra UK Ola Can Fin Sve Ita
N°aziende 42 24 10 6 6 4 3 2 1 1 1
Investimenti
(miliardi $)
86,8 49,5 20,2 9,3 11,2 11,3 6,4 2,3 3,24 4,1 1,86
Pil 9900 5400 2750 350 180 1340 510 790 170 290 1250
Inv. in % Pil 8,76 9,17 8,12 26,5 6,2 8,6 12,5 2,9 18,8 14,1 1,48

Fonte: Spectrum IEEE, Ottobre 2003 p.33

Le cifre riportate, però, possono non essere totalmente affidabili a causa di un'altra distorsione a cui va incontro la gestione dell'economia e cioè l'alterazione dei bilanci, in quanto il management di una grande azienda, spesso, vuole dimostrare di non spendere troppo nella ricerca, perché gli investimenti riducono gli utili, pur affermando a gran voce di portare avanti progetti di R&S per attirare la fiducia del mercato per il futuro.

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