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Il contesto internazionale
Certamente il contesto dell'economia internazionale
non ha offerto un supporto agli investimenti,
ma l'occasione per sfruttare questo periodo ai
fini di una ristrutturazione e modernizzazione
complessiva della nostra economia è pressoché
fallito.
Le pesanti crisi economiche che si sono succedute
nella seconda metà degli anni '90 (Asia,
Russia, Brasile e poi l'Argentina, solo per fare
alcuni nomi) hanno rappresentato il prezzo da
pagare per il periodo di ristrutturazione che
le aziende, come gli Stati, hanno attraversato,
con la disintegrazione dell'Unione Sovietica.
In questo periodo, assieme all'enorme speculazione
legata alle aziende della cosiddetta new economy,
si sono verificati altri fenomeni di grande interesse:
- numerose fusioni e acquisizioni tra aziende,
ma non solo, basti pensare al consolidamento
dell'Unione Europea;
- continuo processo di delocalizzazione delle
attività produttive, basti pensare che
il 57% del PIL degli Stati Uniti deriva da assets
posseduti all'estero;
- ristrutturazione dei processi di lavoro, con
l'obiettivo di sfruttare appieno le innovazioni
nella telematica, riducendo uno dei costi più
elevati di ogni azienda, che è quello
del personale
Un commento
Queste sono solo alcuni delle trasformazioni avvenute
negli ultimi 10 anni, ma quasi mai i manager italiani
sono stati all'altezza o hanno voluto condurre
questo periodo di ristrutturazione per rendere
più competitive le loro aziende; ci si
è accontentati, infatti, di stipendi e
dividendi da capogiro, fatto piuttosto comprensibile
conoscendo la natura umana, ma senza dubbio distruttivo
per la nostra economia.
La ristrutturazione non passa soltanto attraverso
l'utilizzo o meno di un computer o la vendita
di qualche prodotto via internet, è qualcosa
di più profondo, che va a incidere sul
modo in cui si produce valore nell'azienda, portando
le innovazioni al servizio delle performance dell'impresa.
Un modo per affrontare le sfide dell'economia
attuale è quello di accettare, non soltanto
a parole, ma con i fatti (si legga investimenti
in formazione e R&S), che l'innovazione, le
informazioni e la conoscenza all'interno di una
organizzazione sono un bene prezioso, che permette
di crescere, di adattarsi ai cambiamenti, di essere
vincenti, in poche parole.
Non è più possibile delineare una
strategia a lungo termine (a causa della velocità
delle trasformazioni nei vari settori della nostra
società), senza prevedere di modificare
il percorso, se necessario, sulla base di nuove
informazioni, o della possibilità di gestire
un patrimonio di conoscenza maggiore; ma, per
avere un'organizzazione in grado di fare ciò,
occorre essere capaci di innovare, e dimostrarsi
al contempo così coraggiosi da aggiornare
costantemente il personale e ancora così
lungimiranti da realizzare ricerche e percorsi
di miglioramento costante dei propri prodotti.
Da parte dello Stato, però, non può
mancare un apporto fondamentale, e dai dati riportati
da Eurostat, emerge come manchi, a prescindere
dallo schieramento al governo, la spinta a rendere
competitiva la nostra economia, che fatica a trovare
una collocazione nel mercato internazionale e
rischia di perdere anche le prerogative conquistate
negli ultimi 50 anni.
Statistiche
Vi proponiamo alcuni dati elaborati da Eurostat
e Istat, che potranno fornire un valido supporto
alle riflessioni fin qui espresse.
L'investimento
dell'Italia nel settore delle Telecomunicazioni
è stato del 3.1% del Pil, dato in media
con il resto dei paesi UE, ma enormemente più
basso di quello di altri Stati:
Bulgaria 9.2%, Estonia 8.1%, Slovacchia 6.1%,
Polonia 5.5%, Romania 5.3%, Portogallo 4.4%, Grecia
3.8%. È vero che alcuni di questi Paesi
necessitavano di elevati investimenti a causa
di condizioni particolarmente arretrate rispetto
ai 15 dell'UE, ma l'Italia non ha brillato per
iniziativa…
Il
dato sull'Information Technology è
ancora più negativo, la spesa è
stata dell'1.9% del Pil, mentre la media dei Paesi
UE è del 3% e quella dei Paesi in attesa
di entrare è del 2.7%
Svezia 4.4%, Gran Bretagna 4%, Repubblica Ceca
3.8%, Olanda 3.7%, USA 3.6%, Danimarca 3.4%, Finlandia
3.4%, Francia 3.3%, Germania 3%, Austria 2.9%,
Ungheria2.9%, Giappone 2.7%
Passiamo
agli investimenti in Ricerca & Sviluppo
La spesa del nostro Paese in R&S, negli ultimi
10 anni è stata, in media di poco più
dell'1%, mentre la media UE è stata il
doppio e l'investimento di USA e Giappone circa
il triplo.
Analizzando
singoli settori, possiamo vedere come
la spesa in R&D nel settore privato, sempre
in rapporto al Pil, è stata nel 2001 dello
0.56%, mentre la media UE era del 1.3%: 1.46%
Germania, Olanda 1.1%, Francia 1.41%, Svezia 3.31%,
Gran Bretagna 1.28%.
Anche la spesa nel settore statale è stata
inferiore alla media europea seppur di poco: 2.2%
in confronto al 2.6%; la stessa cosa è
accaduta per gli investimento relativi al settore
scolastico e universitario, dove la media della
spesa europea è del 0.44% e quella italiana
è dello 0.33%, mentre per la spesa nel
settore istituzionale, il gap rispetto ai paesi
UE torna ad essere ancor più sostanzioso,
circa il doppio (1.07% contro 1.99%)
Simone Piperno
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