Storia del pensiero manageriale in 1000 parole
Un divertissement “bignamesco” nel quale Lucio Macchia, manager e formatore, autore del libro “La strategia aziendale nei mercati complessi” racconta in circa 1.000 parole un secolo di pensiero manageriale, al fine di tratteggiare un quadro (o meglio, uno “schizzo”) della disciplina, ponendola nel contempo in una prospettiva di sviluppo storico. |
Fino agli anni 50 lo scenario industriale è caratterizzato da domanda superiore all’offerta: l’enfasi è tutta sugli aspetti di efficienza della produzione e dell’organizzazione intesa come “macchina”. Il pensiero fondativo di tale approccio è la “organizzazione scientifica del lavoro” di Taylor che vede la sua riprova applicativa nella straordinaria affermazione industriale della Ford negli anni 20. Un allievo di Taylor, Henry Gantt, ha introdotto il famoso diagramma che porta il suo nome, considerato uno dei primi strumenti di pianificazione manageriale.
Parallelamente e silenziosamente si affacciano anche i primi lavori sul fattore umano che vedono, come “profeta”, Mary Parker Follett (primi studi negli anni 20 sulle esperienze nei centri comunitari di Boston) e Elton Mayo (con i famosi studi di Hawthorne sulla motivazione degli anni 30), e successivamente Chester Barnard (che negli anni 40 ha condotto i primi studi su ruolo dei dirigenti, ed ha segnato l’apertura verso i valori), Abraham Maslow (articolo del 1943 sulla scala dei bisogni che rivoluziona la visione della motivazione) e Kurt Lewin (che negli anni 40 elabora la teoria del campo per studiare l’influenza dell’ambiente lavorativo sul comportamento del singolo) fino a Douglas McGregor (fine anni 50 con i suoi fondamentali studi sul comportamento dei lavoratori).
I due filoni, quello scientifico che si basa sull’equazione “azienda = macchina” e quello orientato al fattore umano che si basa su una visione “azienda = sistema sociale” continueranno ad intrecciarsi e scontrarsi per decenni fino alle prime sintesi a partire dagli anni 80, che culmineranno nelle visioni contemporanee di “azienda = sistema complesso”.
Negli anni 30 e 40 nascono anche metodiche per la valutazione finanziaria degli investimenti basate sui flussi di cassa attualizzati, ancora oggi le più usate nell’ambito dei business plan e analisi di progetto (tale metodologia vide la sua compiuta formalizzazione nel lavoro di Williams).
Nel 1954 Peter Drucker fonda il management come scienza con il suo libro “The practice of management” e nei decenni successivi continua ad esercitare una forte influenza al di là delle varie scuole (famoso il suo articolo del 1968 sul processo decisionale manageriale).
Negli anni ’60 e ‘70 il mercato comincia ad essere avvertito come dinamico ed emergono esigenze di gestione più complessa.
Nel 1960 nasce il famoso modello del “marketing mix” (McCharthy) che focalizza le 4 componenti fondamentali del marketing: prezzo, prodotto, promozione e punto vendita. Nello stesso anno Levitt scrive il suo celebre articolo sulla “miopia del marketing” nel quale afferma la necessità che tale disciplina guardi al di là del prodotto verso le esigenze di base da soddisfare. Da questo punto la disciplina del marketing si arricchisce sempre più fino alla prima trattazione organica a cura Kotler nel 1971, ed agli sviluppi ulteriori che, nei decenni successivi, per rispondere alla crescente complessità del mercato, hanno portato a paradigmi centrati sulla comunicazione con il cliente (marketing “relazionale”) e sulla personalizzazione sempre più spinta (marketing “one-to-one”) fino agli attuali esiti “postmoderni” (mitologia del consumo, esperenzialità, socialità, catalizzate dalla diffusione del web).
Nel 1963 Henderson fonda Boston Consultino Group (la prima società di consulenza aziendale moderna) e inventa la “curva di esperienza” (1966) e la “matrice di portfolio” (1968).
Nel 1968 Ansoff pubblica “Corporate Strategy” fondando la strategia come disciplina a sé. Nel 1971 Andrews introduce la SWOT Analysis. Questa idea “scientifica” di strategia culmina nel “Newton” del pensiero strategico, Michael Porter, nei primi anni 80.
Nel frattempo il filone “relazione” fa passi da gigante: Ed Schein (con studi sulla cultura aziendale e sulla motivazione), Chris Argyris (i suoi studi negli anni 70 sull’apprendimento organizzativo gettano le basi del “knowledge management”), Rosabeth Moss Kanter (anni 60/70: sul concetto di delega di autorità), Frederick Herzberg (dalla fine anni 50 introduce nuovi concetti legati ai fattori motivazionali).
A partire dagli anni 80 si fa strada un profondo senso di crisi: il mercato e la tecnologia mostrano comportamenti sempre più complessi, imprevedibili e turbolenti, ed il pensiero manageriale tende a orientarsi su una visione che integra il fattore umano enfatizzando innovazione ed apprendimento, e nutrendosi di concetti nati nell’ambito di discipline scientifiche di frontiera, come la Teoria della Complessità, la Teoria dei Giochi e la Psicologia Cognitiva (si citano i fondamentali contributi portati all’analisi del processo decisionale dai lavori sulla “razionalità limitata” di Simon e dalla “Prospect Theory” di Kanheman e Tversky). Da questo punto in poi si assiste, nel pensiero manageriale, al superamento della tesi/antitesi dei due filoni (scientifico e del fattore umano), a favore dell’emergenza di nuovi paradigmi che si pongono oltre tale dualità.
Henry Mintzberg con il suo saggio del 1994 “Ascesa e declino della pianificazione strategica” critica e “chiude” l’approccio “pianificatorio” e propone concetti innovativi come la strategia emergente ed il ruolo dell’intuizione. Nel frattempo Kenichi Ohmae propone nuovi modelli come il triangolo strategico e studia la globalizzazione e la new economy (anni 90), mentre Gary Hamel analizza le competenze distintive e parla di precognizione strategica, in una visione che vede l’innovazione come chiave di volta del pensiero manageriale.
Tom Peters e Charles Handy, a partire dagli anni 80, elaborano visioni organizzative a Rete e mettono al centro creatività e snellezza.
Nel frattempo il concetto di Qualità Totale (nato grazie al lavoro di Deming e Juran che hanno “impiantato”, nel sistema socio-economico giapponese, i semi delle tecniche di analisi statistica e miglioramento di processo sviluppate in occidente) irrompe nella disciplina manageriale come un nuovo paradigma di gestione che sostituisce il tradizionale “aut aut” del management con il nuovo “et et” del Total Quality Management. Non più alta qualità o basso prezzo, ma alta qualità e basso prezzo. Non più personalizzazione o velocità, ma personalizzazione e velocità.
Richard Pascale, a partire dagli anni 80, lavora sui modelli giapponesi ed introduce lo schema delle 7 S (McKinsey), i concetti di Vision e change, e l’analogia con sistemi viventi (legandosi a concetti di teoria della complessità).
Peter Senge alla fine degli anni 90 introduce la learning organization e le discipline sistemiche. Molta enfasi viene data agli aspetti “intangibili” (valori aziendali come il know-how, il brand e le relazioni, che la contabilità tradizionale non considera): nel 1993 Kaplan e Norton introducono la “Balanced Scorecard” ed alla fine degli anni 90 Leif Edvinsson il concetto di “i-capital” (capitale intellettuale).
Anche la valutazione finanziaria si evolve e nascono metodi di nuova generazione come quello delle “opzioni reali”, che utilizza modelli messi a punto per l’analisi dei mercati borsistici.
Lucio Macchia, 45 anni, laurea in ingegneria, ha un vissuto d’azienda quasi ventennale, in contesti di elevata complessità e dinamicità, nell’ambito di un ampio spettro di tematiche manageriali. Opera inoltre come formatore in corsi per professionisti e master di Business School, nelle aree Strategia, Finanza Aziendale, Business Plan e Management by Projects. A marzo 2010 ha pubblicato il libro “La strategia aziendale nei mercati complessi. Dai modelli di base alle visioni di frontiera” (Franco Angeli Editore).
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