I Ragazzi di Zuccotti Park
E nevicato nella notte ma il giorno è iniziato all’insegna di un sole splendido. Non ho resistito alla tentazione di fare una puntata a Zuccotti Park: è dal 17 settembre che sono nelle tende. La notte deve essere stata dura per quei ragazzi. Da tempo volevo farci un salto ma esitavo. Inizialmente pensavo fosse un gruppo di figli dei fiori fuori stagione. E invece mi sono dovuta ricredere. Non mollano. E non sono soli: la scorsa settimana ero a Boston e anche lì ho scorto delle tende, poco più di una manciata, ma segno tangibile che qualcosa sta succedendo, qualcosa di totalmente nuovo. Non chiedono nulla: solo -"solo"- di riscrivere il contratto sociale. Non hanno particolari pretese. Stanno “solo” puntando il dito contro il sistema.
Il Sindaco di New York, Bloomberg, sa bene di non poter evacuare la piazza con un'azione di forza perché diventerebbero eroi. Più astutamente le Autorità hanno pensato bene di vietare fornelli da campo e stufe per prevenire incendi. Ma del resto con il fuoco a New York non si discute. Per capire quanto l’argomento incendi sia tabù, basta guardare allo spazio che è obbligatorio lasciare di fronte, prima e dopo uno dei tanti idranti che costellano i marciapiedi della città e ciò nonostante la cronica fame di parcheggi che assilla Manhattan. In una notte come ieri non so come abbiano fatto a non morire congelati. Il vento era ovunque e frustava la neve in folate scomposte. A Central Park sono caduti rami e per terra la neve si è sciolta in un pantano di ghiaccio, foglie e terra.
Ho deciso di andare a Zuccotti Park in una sorta di pellegrinaggio con l’intento di portare il mio contributo. Voglio crederci. E non sono la sola. I ristoranti della zona intorno a Zuccotti Park portano ai manifestanti pasti caldi: a pagare sono anonimi benefattori che on-line comprano da mangiare. A onor del vero va detto che se da un lato il comune affama e congela i dimostranti, dall'altro ha lasciato che installassero bagni mobili e una tenda ospedale pagata con le donazioni. Si sta creando una comunità che provvede a se stessa su regole nuove. Lo stanno facendo da zero. Senza un tetto sulla testa. Per strada, sotto gli occhi di tutti.
E’ incredibile quanta libertà, fiducia e speranza ci sia in questo manipolo di giovani. Agli occhi del cittadino comune sono tanti Don Quijote. Eppure in un'epoca povera in termini di ideali, questi ragazzi sono i più ricchi. E hanno voglia di condividere: sono ammassati nello spazio ristretto di quella che in realtà è poco più di una piazzetta soffocata da grattacieli e hanno creato un tortuoso percorso tra le tende per far spazio alla gente venuta a curiosare. La piazza e’ transennata e la polizia ha costruito una specie di torretta per avere un migliore controllo della situazione. Su un lato della strada le camionette e macchine bianche della polizia ordinatamente parcheggiate e dall’altro il caos verde/blu della tendopoli: le tende sono ricoperte da teloni che danno all’accampamento una certa uniformità. Ma se ci si addentra, la fragilità di quelle sistemazioni di fortuna è sconvolgente. Impensabile che riescano a sopportare i rigori dell’inverno.
Eppure il clima che regna nella piazza è rilassato: i poliziotti non si vedono. Ne ho scorti solo due in divisa che chiacchieravano con un manifestante. Non si capisce come tutte quelle macchine della polizia siano arrivate lì. Il livello di conflitto è sorprendentemente basso. Gli stessi ragazzi appaiono composti nonostante la promiscuità della baraccopoli. E poi c’è la gente comune: visitatori, passanti distratti e curiosi incuranti. E poi ci sono io, con la mia borsa comprata allo shop del Metropolitan Museum. Non potrei essere più distante da questi ragazzi per aspetto o trascorso eppure come loro sono scontenta del sistema. Come molti altri ho lasciato la mia offerta nel barattolo all’ingresso e come gli altri sono tornata alla mia vita. Eppure qualcosa di questi ragazzi mi è rimasto: un senso di incredula sorpresa per la serena determinazione con cui hanno deciso di contrastare con la tela delle loro tende l’acciaio e il marmo dei grattacieli che li sovrastano. Spero non ne restino schiacciati.
Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni