Come trasformare la cultura in valore
Parte Prima
di Paolo Petrucciani
Ci chiediamo spesso se la cultura aziendale sia o no un valore per l’azienda. Specie in un momento storico dove l’immediatezza e la strategia a breve e brevissimo termine la fanno da padrone. Beh la risposta a mio avviso é sì e tra quelli più importanti, anche se intangibile.
La motivazione della risposta risiede nella consapevolezza che ogni ambiente aziendale é prevalentemente connotato da linguaggi, usanze, tradizioni, costumi e consuetudini che siamo costretti, nel bene e nel male, ad accettare o rifiutare, e che costituiscono un’asse portante del business o servizio creato e creabile. Comprendere e considerare quindi la cultura nei suoi costituenti elementari può risultare di estremo vantaggio per il mantenimento di una posizione nel mercato o per modificare la propria strategia o per poter intraprendere un cambiamento, piccolo o grande, e mantenere la sopravvivenza e la successione storica nel contesto in cui si opera.
In effetti quando parliamo di cultura aziendale dovremmo distinguere tra cultura del lavoro e cultura organizzativa.
La prima (cultura del lavoro) é l’insieme delle regole organizzative, delle caratteristiche e dei sistemi gestionali che costituiscono l’ambiente dell’impresa e ne orientano le azioni. Si esprime quindi come un insieme collettivo di comportamenti, valori, aspettative e attitudini delle persone che la compongono (in un dato momento storico), ed é guidata dalla strategia.
La seconda (cultura organizzativa) invece si sviluppa e si consolida come risultato diretto delle prassi, dei sistemi, dei processi, delle strutture e del personale di un’organizzazione. Può essere modificata mutando gli elementi che la compongono.
Così distinguere tra le due sottoclassificazioni ed effettuare specifiche analisi e diagnosi porta utilmente a capire quali elementi possono risultare patologici e quali invece fisiologici, e apportare quindi le necessarie azioni correttive, nell’evoluzione e nel dinamico adattamento al contesto che l’azienda opera nel tempo.
I contesti di mercato sono in continuo mutamento e comprendere quindi dove e come operare eventuali variazioni di ‘rotta’ diventa sicuramente un driver di ‘valore', specie in momenti di grande incertezza come quelli che stiamo vivendo negli ultimi decenni (vedi fig.1).
Fig. 1 – il contesto ambientale di riferimento
Così un’organizzazione di successo deve disegnare e riallineare accuratamente i suoi sistemi e processi sulla base dell’evoluzione del mercato, dei bisogni dei consumatori e degli utenti e allo stesso tempo deve adattare i programmi e i meccanismi di gestione interna (ruoli, strutture, sistema premiante) per sostenere le sfide e gli obiettivi che si é posta.
L’analisi della cultura diventa così un elemento imprescindibile per allineare valori, sentimenti, obiettivi e comportamenti, per migliorare e allineare la performance aziendale e individuale tra loro, per creare una maggiore armonia tra la ‘domanda di prestazione e l’offerta interna di motivazione e ricompensa’ che l’azienda offre nel suo ciclo di vita.
Non sono molti ad oggi gli strumenti sofisticati di analisi, valutazione, diagnosi e prognosi della cultura aziendale in circolazione sul mercato della consulenza che adoperino approcci scientifici per studiare la tassonomia dei fenomeni socio-organizzativi e in grado di determinarne in modo efficace il valore.
Ma alcuni elementi di base per progettare alcuni diagnostici efficaci possono esser qui spiegati sinteticamente:
(analisi)
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osservare i comportamenti esistenti in un’organizzazione e classificarli, senza graduarli, evidenziando anche l’eventuale assenza di comportamenti auspicati o desiderabili e non ancora attuati dall’azienda, includendoli nella classificazione;
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costruire, attraverso interviste individuali e/o collettive, delle risposte e delle graduatorie personali ai comportamenti classificati, sulla base di due momenti storici di osservazione: come siamo oggi (cultura attuale o dove si é), come vorremmo essere (cultura desiderata);
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analizzare le differenze individuali e collettive, misurare i gap e la loro ampiezza;(valutazione)
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individuare le azioni necessarie per ridurre ed unificare i gap, trasformandoli da individuali a collettivi tramite sessioni di consensus bulding (tecnica per ridurre ad un solo gap tutte le differenze individuali e collettive tra cultura attuale e cultura desiderata); (diagnosi interna)
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lavorare ad un piano di azione articolato che valorizzi i punti di forza e minimizzi i punti di debolezza della cultura attuale per costruire il percorso più veloce per il raggiungimento della cultura desiderata-obiettivo;
(diagnosi esterna)
- effettuare o acquistare eventuali benchmark, survey e censimenti delle culture prevalenti nei settori industriali di riferimento e/o di competizione dell’azienda; (prognosi)
- selezionare e concordare un numero molto limitato di azioni-obiettivo da raggiungere entro 18-36 mesi (in genere 3-5 azioni) e riorientare i comportamenti interni/esterni, allineando in modo efficace politiche, processi, strutture, sistemi e competenze esistenti.
In questo modo il paradigma della cultura del lavoro e della sua ‘derivata’: la cultura organizzativa diventeranno di sicuro successo per l’azienda perché maggiormente rispondenti ai seguenti requisiti:
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i dipendenti aziendali hanno normalmente bisogno di pensare ed agire in modi distintivi e a volte unici per essere efficaci nei propri ambiti di competenza e nell’esecuzione di strategie differenti e dinamiche;
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i dipendenti sentono naturalmente il bisogno di modificare il modo in cui pensano ed agiscono nell’organizzazione di appartenenza, in risposta ad un ambiente di business in cambiamento, che richiede e sollecita risposte diverse;
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la cultura del lavoro (cultural blueprint), essendo una combinazione di tutti i ‘segnali’ che l’organizzazione invia ai propri dipendenti, intesi come modi appropriati di pensare e agire, deve permettere di riorientare e riordinare continuamente le regole di funzionamento interno e le ‘policies’ per mantenere 4 obiettivi irrinunciabili: sopravvivenza, benessere, partecipazione e soddisfazione dell’appartenenza.
In un recente articolo pubblicato su Harvard Business Review a luglio 2009 e tradotto nella versione italiana di settembre 2009 (“Rebuilding Companies as Communities”, nella versione italiana ‘L’azienda come comunità”), Henry Mintzberg, uno dei padri e capostipiti della scienza organizzativa a livello mondiale, effettua uno storico passo indietro rispetto a modelli di management troppo basati sulla leadership poco partecipata e direttiva, sostenendo che il futuro delle aziende é da ricercare nel middle management, attraverso un esame più accurato e riflettuto degli asset valoriali presenti nelle persone (know-how, idee, competenze, esperienze, ecc.) rispetto ad un loro uso solo istantaneo, strumentale, immediato e basato sugli esiti di borsa. Una nuova era dell’economia globale dovrà quindi ripensare le organizzazioni costruendo nuovi percorsi di fiducia, identità, rispetto e di impegno, dall’interno dell’impresa verso il mondo esterno e il mercato, a partire dalla cultura e dal patrimonio esistente, sinteticamente quella che conia con il nuovo termine di ‘comunitocrazia’ (communityship).
Sul fronte delle risorse umane e dell’organizzazione é utile qui ricordare gli schemi di riferimento e i macro-processi salienti che caratterizzano e danno forma alla cultura del lavoro (vedi fig.2):
Fig. 2 – i 5 processi della cultura del lavoro
Come si vede nulla di nuovo o rivoluzionario, é la prospettiva di analisi che cambia, niente superficialità ma approfondimento e concretezza basati su vincoli di funzionalità abbastanza semplici che devono, quando esplorati, indirizzare e offrire soluzioni e prospettive nuove ai problemi del cambiamento in atto.
Oggi viviamo una fase storica di grande turbolenza socio-economico-politica, questo cambiamento altera la natura del lavoro attraverso i suoi 3 agenti principali: tecnologia, modifica della composizione della forza lavoro e delle sue competenze, globalizzazione dell’economia.
Alcuni tra i principali driver del cambiamento in atto sono:
- l’economia globale stabilisce il costo del lavoro;
- i design e le strategie organizzative sono sempre più determinate dai clienti/consumatori;
- le organizzazioni e le aziende sono oggi più conosciute per le loro competenze che per i loro prodotti;
- le persone sono sempre di più i principali investimenti reali delle organizzazioni;
- la velocità e la semplicità stanno diventando le risorse-chiave del vantaggio o della coesistenza competitiva.
In questo quadro trasformare la cultura in valore richiede uno sforzo prevalentemente di impostazione metodologica: pensare meno all’apparenza e di più alla sostanza, guardare i risultati e i trend di medio-lungo periodo e basarsi su quelli più promettenti e meno costosi, progettare il futuro in funzione di quello che si ha o che si presume si avrà e sostenere il suo raggiungimento in modo socialmente e industrialmente consapevole e responsabile.
Così la forma e l’architettura dei programmi e dei sistemi aziendali del 21simo secolo richiedono prevalentemente:
- una chiara comprensione attuale dell’organizzazione e delle sue caratteristiche (valori, struttura, obiettivi, cultura e visione);
- una determinazione della posizione di partenza e della posizione di arrivo desiderata, per disegnare il percorso di cambiamento;
- l’individuazione dei diagnostici organizzativi e culturali appropriati, sull’organizzazione e sui sistemi premianti, per avere una missione definita e programmabile/revisionabile nel tempo.
Una buona sintesi del percorso e dei benefici che derivano dall’utilizzo di efficaci diagnostici della cultura é semplificato qui di seguito (vedi fig. 3)
Fig. 3 – sintesi di un percorso di valutazione della cultura (culture assessment)
Nella seconda parte affronteremo l’analisi delle caratteristiche di 4 diversi tipi di modelli e ambienti/contesti organizzativi che permettono di delineare approfondimenti specifici in fase di una progettazione dei diagnostici della cultura: modello time-based, modello network, modello gerarchico-funzionale, modello per processi.
Paolo Petrucciani: 57 anni, matematico con specializzazione in cibernetica socio-comportamentale, é un consulente di direzione certificato, CMC – certified management consultant dal 1994 presso APCO-ICMCI (www.apcoitalia.it; www.icmci.com; www.globalcmc.com), membro del Consiglio Territoriale della Delegazione APCO Lazio (www.apcoitalia.it/lazio.html), e socio ordinario AIF, svolge attività di consulenza di direzione e organizzazione da oltre vent’anni per grandi aziende e strutture organizzative di vari settori industriali, prevalentemente multinazionali, nazionali e aziende pubbliche. é Amministratore Unico di Epistema Srl (www.epistema.it), co-autore di 3 libri, di cui un e-book e di oltre 30 articoli e saggi tecnici pubblicati su riviste specializzate.