MAL COMUNE, MEZZO GAUDIO?
Per quanto sta accadendo in Europa e anche a casa mia, non direi proprio. Più siamo a star male, peggio é. Perché? Se a qualcuno andasse bene, se fosse in crescita e non a rischio recessione, potrebbe fungere da esempio, modello, stimolo e speranza per gli altri, ma purtroppo così non é. Quindi di gaudio per il momento neanche l'ombra. Prima l'opposto.
Si, anche la Slovenia é in piena crisi. Superata per il momento quella politica, con la nomina del nuovo governo, permane e si aggrava il malore economico e sociale. Crescita del prodotto interno lordo pressocché nulla, (alla meglio le previsioni OECD la danno per quest'anno sullo 0,3%) un debito pubblico che sfiora i 18 miliardi di euro, ovvero il 50% del PIL, 116 mila disoccupati, pari al 12 e mezzo %, un reddito medio sui mille euro netto, quello minimo poco superiore ai 580, sul 20% il tasso di povertà, per 3 che lavorano, due sono in pensione.
Ma quello che più preoccupa é il calo di rating, ovvero di affidabilità finanziaria, decretato dalle apposite agenzie internazionali - Moody's e Standard & Poor's, tanto per lo stato come tale quanto per le sue banche, che rincara i prestiti acquisibili sul mercato internazionale, spaventa i potenziali investitori, frena la ripresa. A determinarlo, al di là dell' obiettività e dell'onestà di analisi e previsioni di dette agenzie, la fragilità che la Slovenia ha manifestato negli ultimi 2-3 anni in quanto a capacità di riformare i grossi sistemi di spesa pubblica e di stimolo alla crescita. Primi fra tutti quello pensionistico che, respinto da un referendum voluto dai sindacati e coccolato dall'opposizione, rimane, forse unico in Europa, ancorato ai 60 anni di età e ai 40 anni di contributi, e del mercato del lavoro. Ma, sfiduciato com'era, il governo precedente ha perso a raffica anche altri referendum, per più disciplina nel lavoro studentesco e meno lavoro nero che, si calcola, divori all'anno alle casse dello stato oltre 10 miliardi di euro. Insomma, nulla ha funzionato come Borut Pahor voleva, sacra eccezione l'accordo di arbitrato sul confine con la Croazia che ha spento uno dei focolai più scomodi e pericolosi sulla cerniera fra Balcani ed Europa. Vero, gran credito quest'ultimo, ma che poco serve nell'equilibrare la spesa pubblica, riguadagnare raiting e rilanciare l'economia.
Dichiara di volerlo e saperlo fare il nuovo governo, questa volta di centrodestra, uscito dal voto anticipato del 4 dicembre scorso con a capo nuovamente Janez Janša, già premier nella legislatura 2004-2008. A vincere le elezioni era stato un altro, l'ex sindaco di Lubiana e direttore della più grossa rete di distribuzione alimentare in Slovenia - il Mercator, Zoran Jankovič, lanciato nella mischia dal primo presidente della repubblica dopo l'indipendenza Milan Kučan, con una lista civica che ha tolto ai tradizionali partiti del centrosinistra l'80% dell'elettorato. Jankovič con la sua »Slovenia Positiva« ha superato di quasi 3 punti il Partito democratico di Janša ma gli son mancati poi i numeri per cucire il governo. L'appoggio dei socialdemocratici di Pahor, unici superstiti della coalizione precedente rientrati in parlamento in virtù del grosso margine che avevano – di 29 seggi ne hanno salvati 10 – é stato insufficiente. E così, a 2 mesi dal voto, a farcela, a raccogliere intorno a se tutta la destra e in più in centrista partito democratico dei pensionati, sempre disponibile ad allearsi con chiunque é, stato Janša in cui molti vedono e temono, conoscendo il suo agire e considerando il momento in cui si insedia, un nuovo Viktor Orban. La storia insegna che il totalitarismo, l'autocrazia, il pugno di ferro si alimentano ed esplodono al culmine delle crisi.
E mentre le piazze, i movimenti, la società civile vedono superato e spento in termini di evoluzione e progresso sociale il classico paradigma capitalista, che anche in Slovenia ha arricchito pochi di tanto e impoverito molti, e rivendicano un modello di sviluppo più sostenibile, solidale ed equo, ovvero a misura di tutti - ma basta poco per far scattare l'invocazione all'ordine, alla disciplina e alla giustizia rapida - Il mondo economico e finanziario indica in tre progetti base l'uscita dalla crisi. Guarda all' ammodernamento dell'infrastruttura ferroviaria, fra le più obsolete e inefficienti in Europa, specie se paragonata a quella autostradale, alla realizzazione della cosiddetta »terza asse di sviluppo«, ovvero all'infrastrutturazione viaria e produttiva di quella fetta di Slovenia che dalla Carinzia a nord porta alla Bela Krajina a sud e che la croce autostradale fra Capodistria e Maribor, fino al confine ungherese, e fra Jesenice e Novo Mesto, non coinvolge nei flussi di traffico e investimento, e alla costruzione dell'idrocentrale sul fiume Sava.
Se ben progettati, capaci, una volta avviati, di autofinanziarsi e rispettosi dell'ambiente, così come vuole la sua politica, la Banca europea per gli investimenti si dichiara disponibile a sganciare quanto necessario.
Ma ovviamente vuole vedere prima come le forze politiche oggi al governo sapranno fare quello che non hanno lasciato fare a chi li ha preceduti: un taglio consistente della spesa pubblica per ridurre il disavanzo e le riforme strutturali più importanti, pensionistica e del mercato del lavoro comprese. E in tempi ancor più attillati di quanto lo fossero sotto Pahor. Già quest'anno Janša ha promesso un risparmio di 800 milioni sul costo dello stato, non dettaglia però i provvedimenti in calendario e gli impiegati pubblici sono in agitazione. Per il momento l'unico taglio é quello del numero dei dicasteri, portati da 18 a 12, ma in termini di soldi é quasi niente. Per un ministro che se ne va, a svolgerne i compiti si chiamano due segretari di stato e si rischia addirittura di spendere di più.
E i sindacati ovviamente si rifanno sentire. Si, siamo consapevoli che le riforme s' hanno da fare, che i tagli, il risparmio, il sacrificio sono indispensabili e inevitabili, ma attenti a dialogare con le parti sociali in modo corretto e a distrubuire il peso dell'austerity secondo criteri di giustizia e solidarietà sociale! Gli annunci di sgravio fiscale per i ceti più ricchi, per quanto se ne comprenda lo scopo - alleggerire il capitale e stimolarlo ad investire in un nuovo ciclo produttivo, vanno nella direzione opposta.
Un'impresa ardua per Janša e colleghi soprattutto perché dovrà rimangiarsi tutto o quasi di quanto detto e fatto quand'era alla opposizione. L'unica circostanza più favorevole di quanto lui stesso l'abbia concessa a Pahor, il fatto che tanto i socialdemocratici quanto il partito di Zoran Jankovič promettono di non rompere, anzi di dargli addirittura manforte. Meglio fare così che rischiare commissariamenti europei o baratri ellenici.
Aurelio Juri, 61 anni, nativo di Pola in Croazia, residente fin da piccolo a Capodistria in Slovenia. Appartenente alla comunità nazionale italiana, sposato con due figli.
Di professione giornalista - 19 anni nei programmi informativi in lingua italiana a Radio e TV Koper-Capodistria. Entrato nel 1973 nella Lega dei comunisti, seguendo un po' le orme del padre Vittorio, comunista e partigiano, contribuì attivamente nel 1990 al processo di democratizzazione e indipendenza del paese e alla trasformazione del partito in socialdemocratico. 8 anni sindaco di Capodistria, negli anni della transizione al sistema pluripartitico e della guerra di indipendenza, e successivamente parlamentare nazionale (12 anni, ovvero 3 legislature) ed europeo (supplenza di 1 anno in sostituzione del presidente del governo Borut Pahor). Impegnato soprattutto sui temi della politica internazionale, dei diritti umani e delle minoranze nazionali, della convivenza, del buon vicinato, della multiculturalità nonché su quelli ambientali, pacifisti e della democrazia locale.
Per 5 anni membro del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa e per 8 anni membro della Presidenza del Forum parlamentare europeo Habitat.
Ritiratosi dalla politica attiva nel 2009,a conclusione del mandato a Bruxelles, per divergenze col partito sul contenzioso frontaliero fra Slovenia e Croazia, ovvero per aver osteggiato apertamente il blocco posto dalla Slovenia ai negoziati della Croazia di adesione all'UE.
Da allora in pensione. Continuano la tradizione parlamentare il figlio Luka e il fratello Franco. Capodistria, 21 febbraio 2012