I conflitti in azienda
Una rilettura sistemica mirata alle soluzioni
(articolo pubblicato su AIF Learning News Aprile 2008, anno II - N.4)
di Marco Matera
Mi sono occupato varie volte, nell'ambito della formazione, di gestione dei conflitti (in corsi di leadership, di comunicazione, di sicurezza, eccetera) integrando nella formazione esperienziale i principi sistemici che guidano la mia attività di coach e consulente di direzione. Tratterò quindi il tema del conflitto da questa prospettiva.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sul conflitto ho guardato a questo come una opportunità per proporre il mio punto di vista con la speranza di aprire un dialogo nella nostra comunità di formatori.
Il conflitto di per sé non è, a mio avviso, né negativo né positivo.
È piuttosto la gestione del conflitto stesso che porta ad effetti utili o dannosi sulla base dei quali giudichiamo un conflitto proficuo, svantaggioso o pericoloso. La risoluzione di un conflitto interiore può ad esempio portare a effetti positivi per la persona.
Di per sé il conflitto è inevitabile in quanto espressione di processi di evoluzione e quindi di ricerca di equilibri.
Compito del formatore è spesso quello di facilitare i processi di comunicazione e fornire strumenti utili al miglioramento e al superamento dei conflitti ossia alla loro migliore gestione.
Un'altissima percentuale dei problemi aziendali è legata a problemi di comunicazione. Possiamo identificare nella comunicazione due componenti:
- una componente di relazione
- una componente di contenuto
In entrambe possiamo riconoscere una componente positiva ed una negativa.
possiamo evidenziare due colonne relative rispettivamente ad una buona ed una cattiva relazione.
La colonna di destra è quella dove non si registrano conflitti:
- il quadrante in alto è ovviamente quello esente da conflitto, essendoci accordo sul contenuto e una buona relazione tra gli interlocutori;
- il quadrante in basso, presentando una buona relazione ma anche un disaccordo tra gli interlocutori rappresenta lo spazio della discussione, del confronto. In questo spazio si possono considerare quei conflitti "benefici" ai risultati aziendali
Nella colonna di sinistra a fronte di una cattiva relazione si possono generare due differenti modalità.
- Nel primo quadrante, in alto, sebbene ci sia accordo sui contenuti la cattiva relazione non permette di lavorare insieme se non a rischio di scivolare, al minimo disaccordo, sul contenuto;
- nel quadrante in basso il disaccordo tra contenuti, senso di valori reciproci etc., porta a tensioni e scontri.
In quest’ottica possiamo quindi affermare che il conflitto trova le sue radici in un problema di relazione. Il tema diventa allora: come migliorare le relazioni, come facilitare la comprensione reciproca?
La relazione più importante è quella che abbiamo con noi stessi e il conflitto spesso non fa altro che mettere in evidenza le parti di noi che non vogliamo accettare o accogliere. Visto in quest'ottica il conflitto può essere letto come un viaggio intorno a noi stessi, trasformandosi così in un'opportunità di crescita personale.
Ovviamente, sebbene sia comprensibile sul piano teorico, spesso è di difficile applicazione sul piano pratico proprio perché, nel momento del conflitto, siamo dentro al sistema e non riusciamo a vedere né i confini né le dimensioni ed è per questo che difficilmente riusciamo ad uscirne.
Sulla base di esperienze maturate in aula e nel corso di sessioni di coaching aziendale, voglio offrire un quadro di lettura che si è rivelato molto utile sia come portatore di elementi di chiarezza, sia come base teorica per un approccio metodologico legato a processi di sviluppo organizzativo.
I due approcci metodologici, a cui faccio riferimento e che trovano entrambi radici in approcci terapeutici rivisitati in chiave aziendale, sono rispettivamente una rilettura sistemica delle dinamiche di relazione e il lavoro focalizzato alle soluzioni sviluppato a Milwaukee (USA) da Steve De Shazer.
Il primo farà da substrato teorico su cui organizzare una strategia in accordo con il secondo approccio.
Si possono definire dei principi “regolatori” che aiutino a semplificare e comprendere la natura delle relazioni?
L’approccio sistemico
La risposta alla domanda l’ho trovata nell’approccio sistemico di Bert Hellinger(1), sviluppato sulla base dell’osservazione dei sistemi familiari integrando il lavoro di Moreno sullo psicodramma, la terapia familiare di Virginia Satir, l’approccio sistemico di Boszormenyi-Nagy, il lavoro della scuola sistemica di Milano e l’approccio gestaltico di Pearls.
Senza entrare nei dettagli della tecnica delle costellazioni familiari, per il cui approfondimento si rimanda alla bibliografia,
basti sapere che dall’osservazione delle dinamiche presenti nei sistemi familiari Bert Hellingher ha mostrato l’esistenza di parallelismi e analogie che lo hanno portato a sintetizzare dei principi sistemici che sembrano regolare e mantenere i sistemi umani.
Successivamente ricercatori come Guntard Weber e Matthias Varga von Kibed hanno allargato la sperimentazione a differenti sistemi, come quelli sociali, aziendali fino a generalizzare l’applicazione anche ai sistemi di valori, evidenziando e spiegando in dettaglio come questi principi ordinatori giochino un ruolo importante nell’auto organizzazione dei sistemi.
I più recenti sviluppi sono legati al lavoro di Georg Senoner, Henriette Lingg e Claude Rosselet [3] che hanno trasferito in ambito manageriale sia i principi che l’evoluzione della tecnica(2): un metodo innovativo di problem solving in grado di garantire, nello stesso intervento, sia la diagnosi del problema che l’individuazione di una linea di soluzione.
Ma entriamo più in dettaglio rispetto ai principi sistemici.
I sistemi sociali sono costituiti da un insieme di membri uniti tra loro da relazioni più o meno strette e coinvolti in processi volti al raggiungimento di obiettivi definiti.
Il principio primo che regola i sistemi sociali è quello che regola l’appartenenza.
Mentre nei sistemi familiari l’appartenenza avviene per natura e dura tutta la vita, nei sistemi aziendali e sociali l’appartenenza è limitata nel tempo ed è funzione di obiettivi, valori e regole definite.
Consciamente, ma per lo più inconsciamente, facciamo di tutto per garantirci quest'appartenenza e, in via più generale a mio avviso, la “regola” che il simile attrae il simile è legata al fatto che nella similitudine riconosciamo, o ci illudiamo di riconoscere una appartenenza. È una questione di confini!
Così, mentre nel sistema familiare il confine risulta più facilmente definito, nei contesti aziendali e sociali la definizione e/o percezione del confine è legata all’obiettivo e/o al contesto di riferimento.
Il reparto è un sistema con un confine definito ma basta allargare il punto di vista che il confine comprende l’area produzione che, a sua volta, se si guarda alla relazione con l’esterno, è inserita in un confine più grande che comprende l’intera azienda.
L’allargamento dei confini con l’inclusione di due sistemi in un sistema più grande, in virtù del valore dell’appartenenza al sistema più grande, può rivelarsi una ottima strategia per risolvere un conflitto. Si pensi alle alleanze contro un nemico comune o per un progetto più grande.
La definizione dei confini risulta così fondamentale per salvaguardare l’identità e la struttura del sistema, ed è legata ai processi autopoietici del sistema stesso: in un gruppo esisterà un confine ufficiale ed uno ufficioso più profondo legato, ad esempio, alla condivisione tacita di valori regole e obiettivi non dichiarati ufficialmente.
Definito il confine “chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori”.
Questa frase esprime la tendenza a difendere i confini, al fine di mantenere invariata l’appartenenza. Ad esempio il consulente esterno non potrà mai fare totalmente parte del sistema a meno che il confine non venga ampliato. Così come chi, a causa di gravi mancanze, perde il diritto di appartenenza e viene escluso dal sistema, allo stesso modo chi, non riconoscendosi nei valori e nei modelli organizzativi del sistema rifiuta la propria appartenenza è destinatoa rinegoziarla per poterne rifare parte.
Dunque chi non sta né dentro né fuori può fare da ponte o compromette l’equilibrio del sistema.
Esistono quindi delle conseguenze per l'entrata e l’uscita da un sistema ed i processi di integrazione di nuovi membri, così come i processi di uscita di membri dal sistema, sono molto delicati e vanno seguiti con attenzione. E’ importante che tali processi, una volta iniziati, vengano portati a termine e soprattutto che questo venga fatto in tempi brevi, poiché i momenti di transizione sono i più pericolosi per l’equilibrio del sistema. In genere il protrarsi del momento di transizione è dovuto a situazioni di confusione o di incertezza. Ad esempio l’uscita dal sistema può avvenire, in modo indolore, solo se chi esce ha fatto fronte agli impegni presi all’interno del sistema e ha ricevuto il giusto compenso per il suo contributo. Solo dopo aver "saldato" tutti i conti aperti, infatti, può sciogliere definitivamente i legami con il sistema in cui era incluso.
Il molti casi il mobbing, che può rappresentare l'espressione massima di cattiva gestione di un conflitto può essere letto in chiave di inclusione/esclusione proprio perché è stato violato il principio di appartenenza.
Spesso accade anche che un nuovo membro non riesca a prendere subito il posto che gli spetta perché quest’ultimo non viene liberato realmente da chi lo occupava precedentemente.
Una volta entrato nel sistema, si tratta di stabilire una “gerarchia” o meglio un ordine sistemico. Possiamo così esplicitare il secondo principio che regola il rango e la precedenza.
Il primo criterio di rango è connesso con l’anzianità, ossia il tempo di appartenenza, ha la priorità massima in termini di "rispetto": all’interno del sistema chi c’era prima ha diritto di precedenza. Affinché un sistema si possa evolvere e sviluppare, mantenendo una precisa identità, è necessario che vengano rispettate le origini e chi le rappresenta. I cambiamenti e l’ingresso di nuovi membri possono essere vissuti come momenti di graduale esclusione da spazi importanti da parte di chi ha avuto un ruolo importante in passato ed ora vede progressivamente limitato il suo potere d’azione.
L’insediamento e soprattutto l’integrazione di un nuovo membro nel sistema comporta che il nuovo arrivato riconosca ed onori tutto e tutti quelli che c'erano prima di lui.
I nuovi entrati verranno accolti benevolmente da chi fa parte del sistema da molto tempo, nella misura in cui riconosceranno il contributo che questi ultimi hanno dato alla nascita ed allo sviluppo del sistema.
Si pensi ad un primario che, appena insediatosi, non onori il lavoro del suo predecessore né quello del proprio nuovo caposala stravolgendo l’organizzazione. Oppure al primario che onorando il lavoro svolto fino al suo insediamento, con l‘obiettivo dichiarato di migliorarlo a vantaggio di tutti muti radicalmente l’organizzazione.
Un aspetto che si deve considerare è legato allo sviluppo di nuovi sistemi ed il Principio che garantisce l'innovazione e la nascita di nuovi sistemi può essere tradotto in: “Tra sistema e originario e sistema derivato, il sistema nuovo ha la precedenza”.
Si pensi a quello che accade in ambito familiare. Con il matrimonio (o convivenza) ci si separa dal vecchio sistema e se ne crea uno nuovo che viene difeso ed acquisisce priorità rispetto al sistema originario. In questo caso risulta semplice comprendere il valore dell’onorare le origini.
Una volta rispettato questo livello "onorando" chi c'era prima, chi ha maggiori meriti ha la priorità sugli altri e chi si assume la responsabilità dell'intero gruppo ha priorità massima su tutto il resto.
La pratica ha dimostrato come esista una gerarchia tra i principi dell'ordine e, se è perturbato l'ordine a livello inferiore, gli aggiustamenti a livello superiore non hanno effetto.
Per ristabilire l'ordine in un sistema è necessario dunque verificare il rispetto dei principi dell’ordine, rispettando anche tra questi ultimi delle priorità. La prima cosa da considerare è che non vi sia una violazione del principio di appartenenza, successivamente occorre verificare che non vi siano delle infrazioni ai diversi principi del rango secondo l’ordine riportato qui di seguito:
- precedenza dell'anzianità;
- precedenza del sistema nuovo;
- precedenza della responsabilità;
- precedenza delle competenze e del potenziale.
In ultimo, la stabilità dei sistemi viene raggiunta in seguito ad opportune forme di compensazione tra dare e avere e la dinamicità è mantenuta dall’aspettativa di un possibile riequilibrio. In qualche modo ci giochiamo l’appartenenza quando viene meno la possibilità di un riequilibrio.
Il terzo principio sistemico va sotto il nome di equilibrio degli scambi.
Il riequilibrio può essere garantito dallo scambio se avviene tra pari, dalla restituzione se uno degli elementi del sistema ha preso di più di quanto meritasse.
Esiste un terzo caso legato alla diversità di rango: un figlio rispetto al padre, un allievo rispetto al proprio maestro. Per quanti sforzi si possano fare un figlio non potrà restituire la vita che ha ricevuto, né un allievo potrà restituire tutto quello che ha imparato in termini di esperienza e conoscenza. In questo caso lo scambio è rappresentato dal “fare qualcosa di buono con quello che si è ricevuto”.
Come facilitare dunque un processo di gestione dei conflitti?
Compresa la natura dei principi che regolano i sistemi e riconoscendone le violazioni è più facile trovare leve su cui agire, in ottica strategica, per ripristinare l’ordine sistemico.
In questo l’approccio focalizzato alla soluzione si è rilevato semplice ed efficace.
I vantaggi dell’approccio focalizzato alla soluzione.
Questo approccio deriva dalla terapia breve, è stato sviluppato negli Stati Uniti da Steve De Shazer(3) [4], e consiste, in sintesi, nel occuparsi di ciò che funziona con lo scopo di permettere ai clienti di accedere più facilmente alle risorse già presenti e metterle in pratica anche in ambiti inaspettati. Sebbene possa sembrare semplicistica l'intuizione di De Shazer si è rivelata, in vent'anni di sperimentazione, geniale: “ci si può occupare delle soluzioni senza preoccuparsi troppo dei problemi”.
Spesso ci si lamenta di ciò che non va senza poi però saper bene che cosa si vuole in alternativa.
Dalla terapia breve la tecnica è passata, per osmosi, nel coaching ed io con alcuni colleghi la stiamo introducendo in ambito aziendale come metodo e approccio allo sviluppo organizzativo.
Due semplici domande aiutano a sbloccare il processo:
- la prima “che cosa vorresti?” già introduce allo spazio soluzione
- l'altra domanda più strutturata recita: "supponi che il lavoro che faremo sarà così utile da sciogliere completamente conflitto di cui ha parlato, che cosa ci sarà di diverso?"
Senza entrare nei dettagli tecnici della struttura questa seconda domanda porta il cliente nello spazio soluzione. Verbalmente, sotto la guida del formatore esperto, egli entrerà via via nelle sensazioni che la soluzione offre attivando così risorse e scoprendo una motivazione a lavorare verso la soluzione. Ecco che focalizzarsi su ciò che funziona porta dei benefici immediati. Ma vediamone degli esempi.
Spesso si parla di problemi nella gestione delle riunioni, questo perché si tenta di nascondere o schiacciare eventuali conflitti per paura di perdere l'appartenenza. I conflitti restano così latenti e perciò più pericolosi: il detto del “fuoco che cova sotto la brace” è abbastanza chiaro.
Le riunioni sono indette spesso , almeno in Italia, per risolvere problemi e se tutto funzionasse, sentiremmo meno l'esigenza di riunirci. Effetto è che partecipanti alle riunioni partono prevenuti e pronti al conflitto, all’accusa e allo spirito della colpa piuttosto che della responsabilità.
Una cosa utile che ho implementato nella gestione delle riunioni, quando sono chiamato a gestirle come coach-formatore, è quella di chiedere all'intero gruppo per prima cosa:
"Che cos'è stato fatto di buono finora? In cosa il gruppo è bravo in termini di risorse e obiettivi raggiunti?"
Ciò porta diversi effetti collaterali utili:
- aumenta il senso di appartenenza e quindi la fiducia del gruppo nel gruppo;
- attiva risorse già sperimentate e apre ad aspetti creativi nuovi;
- predispone il gruppo a sapere che ce la può fare così come ha fatto prima.
Gli aspetti personali sono indubbiamente importanti e non vanno mai sottovalutati; per aspetti personali intendo i valori che ci contraddistinguono e le credenze che abbiamo. Le credenze non sono altro che generalizzazioni di come pensiamo funzioni la realtà. Ecco perché la logica delle piccole differenze funziona: semplicemente ci riporta alla concretezza e all’oggettività.
Un caso pratico
Per concludere vorrei condividere un caso che racchiude sia i principi sistemici sia l’efficacia dell’approccio focalizzato alla soluzione.
Mi trovavo a gestire un modulo di formazione all’interno di un corso di counselling con gli allievi dell’ultimo anno ed emerse un conflitto, tra gli allievi, sulla presentazione delle tesi se come gruppo o singolarmente. Il tema era "caldo" e toccava valori profondi, ma non direttamente espressi; nel giro di poche battute il clima cambiò ed il conflitto stava degenerando. Il mio collega (titolare del corso), si trovò suo malgrado a diventare parte di questo sistema in conflitto perché vedeva in questa gestione una mancanza di pratica da parte degli allievi: “…come proprio loro che hanno imparato i principi sistemici, loro che hanno acquisito il modello Marshall Rosemberg [5] sulla comunicazione non violenta non riescono a dipanare un conflitto banale?”
L'invito ad utilizzare gli strumenti appresi non sortì alcun effetto se non l’acuirsi del conflitto. Sentendomi estraneo al conflitto presi la parola e colsi l'occasione per sperimentare l'approccio focalizzato alla soluzione.
Con una certa autorevolezza ma con rispetto e dolcezza, chiesi a tutti partecipanti di stare in silenzio per un po' e feci alzare le tre persone più "calde" e le invitai a scambiarsi di posto. Una volta sedute le invitai a percepire cosa provassero in questa nuova posizione, cosa ci fosse di diverso. Nel frattempo chiesi all'intero gruppo che cosa li tenesse insieme come gruppo, quali fossero le cose che apprezzavano e riconoscevano del gruppo. Nel dare la parola alle persone del gruppo feci in modo che la persona più arrabbiata potesse parlare per ultima.
L'effetto fu strabiliante: il clima, man mano che le persone parlavano cambiò tanto che una volta arrivati all'ultima persona questa si commosse esprimendo, da uno spazio diverso, quello che effettivamente le stava a cuore e come, ascoltando gli altri partecipanti, si era resa conto di quanto avessero tutti la medesima idea e fosse possibile negoziare un buon compromesso.
Da quel momento fu di nuovo possibile affrontare il tema con chiarezza e serenità.
Bibliografia
- Franke-Gricksh M., Tu sei uno di noi, Edizioni Crisalide 2004
- Hellinger, B.: Ordini dell’amore. Un manuale per la riuscita delle relazioni. Urra, 2004
- Senoner G., Lingg H. Rosselet C., Management Constellations - mit Systemaufstellungen Komplexität managen, Erscheinungstermin 2007
- Shazer, S. de, Chiavi per le soluzioni Astrolabio, 1986
- Rosemberg M., Le parole sono finestre (oppure muri) , Esserci edizioni 2003
- Maturana, H., Varela F., L’albero della conoscenza, Garzanti, 1999
Note
(1).Bert Hellingher il padre delle costellazioni familiari. Tra i vari testi pubblicati consiglio il libro di Marianne Franke-Gricksch il cui sotto titolo recita: Le costellazioni familiari e la scuola. Intuizioni e soluzioni sistemiche per insegnanti, alunni e genitori. [1-2]
(2). Per approfondimenti si rimanda al loro sito www.management-constellations.com
(3).Steve de Shazer direttore del centro di terapia breve di Milwaukee e creatore insieme ad Insoo Kim Berg dell’approccio focalizzato alla soluzione .
Marco Matera: Laureato in chimica industriale, Referente Qualità del Dipartimento ARPAL della Spezia. È consulente di direzione ed organizzazione aziendale. Esperto in PNL e coaching sistemico, progetta e conduce: sessioni di coaching individuale e di gruppo, interventi di sviluppo organizzativo, progetti di formazione. Consigliere Regionale AIF Liguria (info@soluzionicreative.it)