Dalla strategia di Lisbona alla Nuova Strategia UE 2020
(A vent'anni della caduta del muro di Berlino):
La Comune di Parigi, assediata dall'Esercito Tedesco, è forse il più grande esempio del conflitto che venne ad interessare la potenza all'epoca egemone della terra: l'Europa delle Nazioni, con tutti i suoi relativi protezionismi, anche giuridici e linguistici.
Sorgeva il conflitto fra i gestori delle risorse umane, naturali e finanziarie e il contrapposto fattore umano della produzione. Tale conflitto, figlio dell'industrializzazione forzata, aveva diviso il mondo superando implicitamente il concetto di Stato coeso e multinazionale; non c'era più bisogno, in altri termini, di imperi sub continentali. La borghesia imprenditrice e la nobiltà finanziariamente dotata avevano bisogno di propri sistemi codicistici, espressi da un ceto politico asservito agli indirizzi imprenditoriali di volta in volta prevalenti.
Così nacquero gli Stati Nazionali e caddero gli imperi multinazionali, interrompendo così quei traffici mercantili che erano stati i punti di forza dei grandi imperi lungo le grandi vie commerciali. Tuttavia, un problema rimaneva irrisolto nell'Europa; la distanza democratica e culturale del ceto operaio di recente urbanizzazione, alla spasmodica ricerca della propria identificazione culturale, politica, religiosa e sociale. bisognoso di nuovi servizi, dal ceto sociale dominante. L'esigenza dei sindacati operai, identificando, essi, la ricchezza esclusivamente con la proprietà dei mezzi di produzione, era quella di assumere il controllo di questi ultimi, senza tenere conto del fatto che il tema vero non è tanto quello della produzione, bensì quello della distribuzione e della soddisfazione del consumatore, in funzione della propria scala valoriale del reddito.
E, mentre il mondo stava a guardare, si è sviluppata la grande tragedia delle due guerre mondiali. Guerre ideologiche, condotte al fine di assumere nel contesto di un'economia reale il controllo sui fattori della produzione e, non pira della singola proprietà dei mezzi di produzione.
Da una parte l'elitarismo di una nuova nobiltà di censo, rappresentata poi dalla trilateral di kissingheriana memoria, puramente capitalistica, che avrà poi nella scuola dei monetaristi i suoi massimi teorizzatori e nel Washingîon Consensus il suo strumento topico applicato dal Fondo Monetario Internazionale / International Monetary fund, dall'altro la Tricontinental, figlia di diversi universalismi portatori di una sorta di solidarismo partecipativo o neocorporativo rappresentato dalle economie collettive e ideologicamente organizzato nella informale struttura dei paesi non allineati, sia pure nelle diverse chiavi di lettura: nella nazional socialista e poi nella mitbestimmung in Germania, nella dannunziana Carta del Carnaro a Fiume, nell'esperienza dei soviet russi con i suoi Kolkoz, Sovkoz e Kombinat nella piccola proprietà contadina polacca del partito dei contadini e nei Kibbutz del primo Israele, tutte evolute poi nell'esperienza della Lega dei Socialisti in Iugoslavia.
Mentre l'eredità di due secoli di confronto aspro e guerreggiato sopravvive ancora oggi
nell'Ufficio Internazionale del Lavoro/International Labour Office di Ginevra che costituisce non a caso l'unico ente che sia transitato senza modifiche dalla incapace società delle Nazioni all'Onu. Gli assetti del mondo sono del tutto cambiati, e con essi il correlativo dibattito ideologico, anche perché le antiche potenze industriali fondate sull'economia reale sono venute a mancare, in un mondo neo mercantilista, tuttavia fondato sull'economia finanziaria o peggio sull'economia della scommessa, denominata Nuova Finanza, eliminando quella sorta di simbiosi mutualistica che nonostante tutto aveva caratterizzato l'umanità dal suo nascere fino alla rivoluzione francese.
Nuovi misuratori sono emersi esterni al sistema umano, relazionato al concetto di qualità della vita: il PIL (Prodotto Interno Lordo), con le sue implicazioni di capacità di produrre reddito e quindi di finanziamento della spesa pubblica, e la Bilancia dei pagamenti, indicatore della capacità endogena di produrre ricchezza attraverso la misurazione del saldo netto fra import ed export con relativa misura della propria volontà di potenza espressa in termini di capacità di investimento diretto all'estero, a prescindere dall'inquinamento del sistema ambiente, dall'abbandono del territorio e, quindi, con la conseguente devastazione dello stesso, perché affidato alla casualità della natura e alle conseguenze delle attività prevaricatorie dell'uomo.
Gli indicatori hanno funzionato assai bene, tanto da far prendere atto della dislocazione funzionale solo al sistema, e quindi non democratica, delle grandi organizzazioni internazionali, ONU in primis da una parte, e di una necessità di avviare una guerra totale ai reali vincitori dei conflitti degli ultimi due secoli, cioè gli evasori e gli elusori fiscali e la grande criminalità internazionale, gestrice vera della sussidiarietà che si accompagna e allinea dietro corruzione, concussione, terrorismo, e traffici illeciti, che la malerba criminale con enorme fantasia è riuscita a sviluppare.
Intanto, mentre l'Europa attraverso l'avverarsi del Trattato di Lisbona cerca di estendere i modelli di democrazia partecipativa, espressi nel modello renano di sviluppo, nel pieno rispetto delle regole che si è data concorrenza: leale, rispetto del consumatore, standard di qualità, diritti della persona e delle quattro libertà volute dai padri fondatori avviandosi anche, attraverso il ripetersi degli scudi fiscali, ad assumere il controllo reale sui capitali riciclati, il resto del Mondo, e soprattutto i BRIC, galoppa ancora con regole non del tutto condivise, in maniera a volte non del tutto attenta al rispetto delle regole, fondate su quel patrimonio accumulato che e rappresentato dall'Organizzazione Mondiale del Commercio della svolta necessaria sembra essere portatrice la strategia europea per la regione del Mar Baltico cui partecipa anche la Russia.
Se si fa riferimento ai dati dei capitali scudati e a quelli dei depositi esistenti presso le banche situate nei paesi di ufficiale provenienza, si vede bene come i capitali "rientranti", in effetti, non siano in depositi all'estero, bensì in forzieri bancari o fiduciari all'interno e, quindi, provenienti, quanto meno, da evasione o altro, riciclaggio, da qualsiasi origine, destinato ad avere effetti sull'economia reale e su quella finanziaria.
Come si vuole dimostrare, sulla base dell'esperienza che la Grecia sta vivendo, occorre superare il vincolo della fiscalità nazionale, senza il quale l'attuale dibattito in sede di Parlamento Europeo sul rafforzamento della supervisione finanziaria in Europa risulterebbe sterile in funzione dell'obbligazione di dare all'Unione Europea regole efficaci, coerenti e credibili a livello globale, come evidenziato e richiesto dal G20 di Londra, 12 mesi or sono. Servire il sub continente europeo dei 27 paesi membri e le relative politiche di prossimità, significa disporre di un'adeguata cassa comune che solo un diritto finanziario congiunto può consentire, evitando così quei continui fenomeni di tax- shoppíng intracomunitari che tanto hanno distorto e distorcono le allocazioni anche produttive delle aziende e delle famiglie (non certo solidali con gli Stati di origine), alla continua ricerca di occasioni di delocalizzazione per le ragioni anzi dette ma anche per il social dumping che ha caratterizzato, in molta misura, l'azione della parte occidentale nella globalizzazione. Infatti, si è trattato di un modo premiante per affrontare la concorrenza internazionale, senza puntare su Ricerca & Sviluppo e marketing territoriale; al punto che ormai si corre il rischio di comprare prodotti cinesi, ovviamente di grande qualità e standard puntuali, recanti la sigla "Made in Europe", mentre il prodotto "Made by Europe" proviene singolarmente dal resto del mondo e si può chiamare “Made for Europe”.
L'opposizione, degna sempre e comunque di profondo rispetto, inglese, che invoca la sovranità degli stati in materia di finanza pubblica, ha il limite della estrema tutela che offre alle lobbies bancarie, assicurative e finanziarie, che hanno provocato l'attuale grande crisi: queste si sono salvate ancora una volta grazie al denaro pubblico, ci hanno lucrato sopra, e ora, complici i governi, vorrebbero evitare una camicia di nuove regole troppo strette, come evidenzia Sylvie Goulard, in sede di Comitato Europeo dei Rischi Sistemici.
Sono quelle lobbies che supportano la delocalizzazione e il riciclaggio e non l'internazionalizzazione che implica invece lo stabilirsi all'estero per servire il mercato locale e quello regionale, mettendo così in crisi il sistema Europa e la sua capacità di confronto nell'economia globale. Ciò con l'aggravante, peraltro della nefasta scelta delle privatizzazioni già realizzata e in corso di realizzazione, senza tener conto delle profonde ragioni che avevano portato alla concentrazione in mano pubblica della maggior parte delle attività produttive e di servizio nei vari paesi, e cioè offrire servizi alla collettività, in funzione della qualità degli stessi e non solo del guadagno teso a remunerare solo il fattore capitalistico della produzione.
Ceteris Paribus, come insegna il nobile Presidente Obama, è il tema della medicina la massima espressione insieme alla giustizia all'interno delle carceri, peraltro, del diritto alla inclusione sociale e, quindi, alla tutela in ogni sua espressione, della dignità della persona.
La controprova della cattiva scelta sta nella realtà delle priorità fissate dalla Repubblica Popolare Cinese, che unisce al suo essere il paese più ricco al mondo di abitanti quello di tentare di riprendere quel ruolo - i5% del PIL del mondo - che l'asse anglofrancese le sottrasse, con la guerra dell'Oppio nel 1838/39, mantenendo, vieppiù sviluppando, la collaborazione fra capitale pubblico e iniziativa privata, all'interno del concetto espresso dal grande Timoniere (Mao TzeDong) "Arricchitevi, mantenendo la stabilità della forma di Stato e della forma di governo".
Testimone di ciò è il Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio -
Pascal Lamy - che nel suo discorso tenuto presso l"'European Policy Centre" di Bruxelles, in data 24 febbraio 210 ha affermato che il commercio mondiale, produttore di ricchezza reale e universale ha registrato nel 2009 la maggiore contrazione dal tempo della seconda guerra mondiale, ma nonostante ciò, a un anno dall'inizio della crisi finanziaria internazionale, "il sistema di commercio multilaterale ha dimostrato la propria capacità strategica di tenuta come baluardo contro il nuovo protezionismo galoppante".
Ciò risulta essere in particolare nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo, dove il potenziamento dell'industrializzazione creativa" si sta peculiarmente mettendo in luce, grazie all'impatto che la mondializzazione, insieme all'accoglimento delle nuove tecnologie, e in particolare della digitalizzazione, sta avendo nel coinvolgimento dell'industria tradizionale nella creazione di "industrie innovative", per esempio come movies e moda.
Il rapporto dell'ONU - 2008 sulla “Creative Economy" dimostra che le imprese innovative sono un potente carburante per lo sviluppo economico e lo sviluppo del commercio mondiale.
Guardando ai dati, il commercio internazionale di settore registra una crescita significativa e l'Europa ancora non sembra percepirlo; i volumi in espansione riguardano: disegno di moda, movies, musica, architettura, ante, pubblicità, informazione, comunicazione sociale e telecomunicazioni.
Può sembrare strano, ma è proprio l'applicazione dell'economia creativa al settore primario, quello considerato portatore di un modello retrogrado di sviluppo, che risulta più creativo in termini anche di qualità della vita, green economy e sviluppo.
Infatti, esempio di ciò è il modello di sviluppo rurale olistico "Bangladesh Rural Advancement Commitee" (BRAC) voluto da Fazle Hasan Abed, che ha definitivamente
rivoluzionato gli strumenti di definizione del reddito nelle comunità rurali. Tale sviluppo
avviene perché il settore primario continua di nuovo ad essere un serbatoio enorme per assorbire l'inoccupazione o la disoccupazione, anche in Europa crescente. In Europa non si è messo in relazione il modello con la produzione di biomasse e di specifiche piantagioni di essenze utili alla produzione di energia, purtroppo-
Alla stessa stregua l'evoluzione veloce della tecnologia di internet e di quella digitale, che ha creato un open market per la spendita dei beni immateriali e delle proprietà intellettuali, su base planetaria, nella continua scoperta di innovazioni nel mondo dell'era digitale pone nuovi problemi di pirateria e di repressione delle frodi, in un portale mondiale web interattivo e creativo portante connecting creative communities, dove regole certe capaci di influenzare anche l'andamento delle bilance dei pagamenti nazionali devono ancora essere fissate, anche per evitare il ripetersi di quelle contraffazioni e di quella pirateria, anche televisiva, che tantodanno hanno provocato e provocano nelle economie dei vari paesi, incluse le violazioni che attengono all'utilizzo dei cieli, delle piattaforme continentali e degli spazi marini.
Gli insegnamenti di Lord Keynes e del Dott. Beneduce sono ancora attuali. Senza cadere nel neoprotezionismo, occorre ricreare le condizioni perché nascano le istituzioni europee di cooperazione economica pubblica, versanti essenziali per mantenere coesa l'unione e far fronte alla crisi sottostante di metodo e di valori e, attraverso il mittbestimmung, assicurare quegli strumenti di democrazia diretta e partecipativa richiesti dalla Carta Europea delle Autonomie Locali. Altrimenti ci troveremmo impreparati alla crisi finanziaria mondiale prossima ventura, così come ci troviamo oggi impreparati a quella greca, alla finnica, alla spagnola, all'irlandese, alla islandese, all'italiana, alla portoghese, che comunque ci riguardano e coinvolgono tutti, sempre tenendo conto che almeno 1.4 miliardi di persone al mondo vivono con reddito inferiore a quello minimo della soglia di povertà.
Il tema della demo 6azia diretta e partecipativa si contrappone a quello del capitalismo autoritario e finanziario, che ha portato alla crisi attuale, fondato sul Washington Consensus.
Come afferma l'harvardiano James Robinson: "Le istituzioni economiche sono figlie di scelte collettive e riflettono le istituzioni del potere nella società: io non penso che occorra cambiare le istituzioni, occorre invece cambiare le relazioni di potere nella società" così come proposero in altro contesto Beneduce e Keynes e come oggi ripropone Benedetto XVI nella sua Caritas in veritate estremamente vicina, vuoi all'evangelista Marco, ma anche alle prescrizioni della Sunna.
La transizione verso l'economia globale presuppone uno sviluppo integrale di istituzioni subcontinentali, all'interno di un'architettura tesa a creare una nuova governance globale, nelle quali di fatto non vi sia più posto per avventure militari e finanziarie, come quelle in atto, che stiamo attraversando.
In tal senso la ragionieristica Unione Europea del metodo Jean Monnet rappresenta comunque un modello altamente positivo di integrazione economica, applicabile a molti diversi contesti planetari, e in questo senso, sulla base dell'esempio si può considerare importante il ruolo che le istituzioni sub continentali hanno nella costruzione di un sistema di integrazione economica regionale versus una collaborazione multi regionale: è caratteristico il caso dell'UMA (Unione Magrebina Araba) all'interno del programma Unione per il Mediterraneo.
Tuttavia, la visione dell'esperimento si presenta limitato dal fatto e dalla formazione di un reale mercato unico, a cui non si sia risusciti ad affrancare una politica economica unica.
Non può esistere una comune politica di spesa se a monte non esiste una organica politica comune delle entrate. Come in altro conteso il Presidente J. Delors afferma: "occorre realizzare la cooperazione economica in Europa, che significa armonizzare le politiche finanziarie di entrata e di uscita; non si tratta di avere un Ministero del Tesoro Europeo ma un coordinamento delle politiche economiche, capace di lavorare con la BCE (Banca Centrale Europea), dal momento che sí può avere uno moneta unica senza unione politica, ma di certo non senza un coordinamento delle politiche economiche, come ci dimostra la storia romana, la storia dell'impero cinese, e più di recente quella del processo di formazione degli Stati Uniti d'America".
Dinanzi alla crisi attuale, torna alla ribalta il tema dei grandi lavori civili europei, capaci di assorbire grandi quantità di lavoratori e di distribuire ricchezza, e quello delle emissioni di Eurobonds garantiti da un gettito derivante dal coordinamento delle politiche finanziarie, anche perché in tal caso i capi di stato e di governo europei sarebbero costretti a capire i meccanismi di gestione della UE di cui ancora non percepiscono l'irreversibile importanza.
Un cambiamento puntuale, capace di superare il tax shopping corrente e di innescare un po' di investimenti comuni nella ricerca, e poi una politica unica dell'energia da sviluppare, insieme ai paesi partners del nuovo vicinato, danno piena applicazione a quanto previsto dal trattato di Lisbona.
I valori di solidarietà e sicurezza di cui paria il Trattato, coniugati con i nuovi diritti dei cittadini europei, impongono poi l'adozione e la piena applicazione del documento di Edimburgo, in merito alla filiera delle piccole e micro imprese, da sviluppare anche attraverso il potenziamento di un sistema mutualistico, vetero europeo, arricchito con le nuove tecniche di applicazione e di distribuzione del microcredito, integrate anche dalle iniziative di assistenza tecnica in materia non solo industriale ma anche di tutela del consumatore, di abuso di posizione dominante, di apphcazione delle noÍne di antiriciclaggio e di faire competition oltre che di marketing territoriale (di tutto ciò è parte la nuova strategia UE 2020 per un'Europa più intelligente, più competitiva, più verde). L'iniziativa in parola nel sub continente potrebbe essere coordinata dall'Organizzazione per la Cooperazione Economica del Mar Nero applicata dalla Banca per il Commercio e 1o Sviluppo del Mar Nero (BSTDB).
Su altro piano la tutela ambientale, la politica energetica, la salute pubblica, la protezione civile, i cambiamenti climatici e la ricerca, comportano tutti l'obbligo di riattribuire al settore primario quella funzione, anche mutualistica, che gli fu propria fino all'avvento della Rivoluzione Industriale, sia nell'ideologia del nuovo padronato che nella visione di Engels e in parte di Marx. Il decalogo dell'ambiente impone anche, nella politica di vicinato, un ritorno della gente nelle campagne, non certo per dar vita a nuovi Kolkoz, Sovkoz o Kibbutz, bensì a degli innovativi centri coordinati e sistemici di produzione e a lavoro altamente tecnologico ed olistico, diretto da una parte alla produzione alimentare di qualità in grado di offrire sul fronte del prodotto fresco, quantità e prezzo per un'ottimale produzione globale, e dall'altra per consentire una produzione di fuel ed energia, sui modelli austriaci e giapponesi, che insieme alle fonti geotermiche, eoliche e solari rappresentano il punto di partenza di un nuovo modo di essere sociali.
Protagonisti di tali svolte dovrebbero essere, alla luce del trattato di Lisbona i sindacati, come espressi nell'ILO, la società civile e le chiese, dove presenti, come diretta espressione delle comunità di base.
E' la persona umana che deve essere protagonista del mondo del lavoro orientata ad un confronto internazionale non violento, che offra alle rispettive specializzazioni la possibilità di una crescita armonica e solidale.
Gli effetti secondari della seconda guerra mondiale, la mancata riforma della ragione di scambio, la decolonizzazione che ha assoggettato vaste aree della terra ad un neocolonialismo di sfruttamento unilaterale, insieme al progressivo invecchiamento anche tecnologico della componente bianca dell'umanità, hanno impedito il passaggio da una democrazia oligarchica a una democrazia partecipativa.
Inoltre, la dislocazione della ricchezza in poche mani all'interno della democrazia criptocratica ed autoperpetuativa sta allontanando la gente dalla gestione della cosa pubblica, minacciando la stabilità di un sistema che non è stato in grado di preservarsi e/o di proporre un metodo di associazione alla ricchezza.
Siamo entrati nella società dell'informazione e poi in quella della conoscenza ben sapendo che un miliardo di soggetti non hanno accesso né alla energia elettrica né all'acqua potabile.
Si è entrati nella società della comunicazione, ma cento milioni di bambini l'anno non entrano in alcuna scuola. Abbiamo portato nell'U.E. dodici paesi candidati attirandoli nella società dei consumi dopo aver chiesto ai popoli di tali paesi di adeguarsi alle regole del libero mercato e sull'intervento solo sussidiario dello stato e lasciando che il ceto contadino rovinasse all'interno di una redistribuzione non competitiva della terra.
Come tutti sappiamo oggi il problema non è più rappresentato dal tema della proprietà dei mezzi di produzione, bensì dal tema della gestione dei prodotti e della loro canalizzazione distributiva.
Al riguardo, non vi è dubbio che la grande distribuzione ha raggiunto il massimo possibile di ofelimità: produrre al costo minimo, nella migliore qualità percepita come tale dal consumatore, per realizzare il miglior profitto possibile in relazione alla singola capacità di reddito del consumatore. Ma tale comportamento, se comunque consente la sopravvivenza di talune fasce abbienti, dall'altra getta nella più cupa disperazione l'umanità esclusa, cioè tutto quel mondo contadino o operaio che, avuta la terra tanto agognata o la fabbrica privatizzata, hanno prodotto o fabbricato beni, non veicolabili sul mercato, perché privi della necessaria richiesta standardizzazione portata dalla visibilità spettacolare del mezzo televisivo per cui esiste ciò che è mediabile e mediato, non necessariamente ciò che soddisfa bisogni attuali o potenziali.
A proposito del fantasma che si aggira per il mondo di marxiana memoria non possiamo certo parlare più della classe operaia che vuole andare alla gestione collettiva o quanto meno alla cogestione o alla mitbestimmung, quanto piuttosto al nichilismo risuscitato di chi non ha più nulla da perdere, avendo perso la speranza.
La questione che ci attanaglia riguarda quel miliardo di persone che hanno perso tutto, pur avendo tutto, anche la dignità di persona umana, ritornate ad essere quelle maschere che al tempo di Ennio e di Plauto godevano almeno di un nome sia pure scenico.
Cosciente di questo ruolo rimane il soglio pontificio, più che mai voce che grida nel deserto.
La gente del mondo percepisce tale atteggiamento ancora come una guerra combattuta dall'Occidente per il controllo delle ragioni di scambio e quindi delle materie prime, in specie le "Oil”, e sui relativi impieghi da dare ai ricavi conseguenti.
In effetti è una guerra più articolata. La superpotenza globale, reale vincitrice della seconda guerra mondiale, desidera mantenere nei confronti dei vinti e degli antichi alleati la supremazia conquistata sul piano militare a suo tempo, fermato il tempo, ritiene che il mondo debba e possa pagare il prezzo del suo averci liberato da| nazifascismo e poi dal centralismo democratico, sottoscrivendo quote sempre più ampie del proprio debito pubblico.
Gli Stati Uniti tuttavia non tengono conto del fatto che il mondo è divenuto improvvisamente povero, in specie la vecchia Europ4 e che chi non ha niente da perdere può facilmente subire il fascino di una propaganda che garantisce un futuro migliore in ogni sorta di Paradiso.
La pace nel mondo non si porta sulla punta delle lance, ma come ha insegnato la storia romana, aiutando la gente a integrarsi nella propria comunità e più ampiamente in un mondo coeso e teso verso un processo di crescita comune.
Il terrorismo non si combatte con i carri armati, bensì offrendo alla gente opportunità di lavoro qualificate secondo gli indirizzi fissati dall'ILO.
Il fallimento delle attuali politiche di potenza non avviene ora ma inizia bensì dieci anni or sono quando i PVS asiatici e le tragiche realtà dei paesi in transizione chiesero che ai bambini, ai vecchi, ai carcerati, ai loro disabili e alle donne fosse offerta la possibile dignità di un salario adeguato, di una tutela sicura della loro dignità.
La risposta del mondo occidentale fu tale che ben sette di quei paesi, India inclusa, uscirono dall'ILO, mentre la potenza che avrebbe dovuto garantire l'equilibrio mondiale si rifiutava di versare i propri contributi.
Storicamente fu quello il momento nel quale la storia ha liberato le sue spinte eversive, come in ogni circostanza in cui ad una richiesta di partecipazione e condivisione si risponde con il più classico dei non possumus scatta l'eversione, entropia che deriva dalla mancata accettazione della richiesta di condivisione. E ben ne ha saputo qualcosa l'Europa quando si è trovata davanti la rivolta di tutte le colonie, dopo il sangue che queste avevano versato sui vari fronti della seconda guerra mondiale.
Tutto ciò premesso, occorre rinunciare all'oligopolio che stati e sistema imprenditoriale
quotato hanno dato di sé, dal momento anche attraverso la manipolazione delle certificazioni effettuate in più paesi, con cui hanno realizzato il più perfetto saccheggio di risparmio dal tempo del banchiere Law, sono le prove meno edificanti del neocolonialismo da qualsiasi parte esso si sia originato.
La spartizione della preda in termini neocoloniali ha avuto diversi nomi, oggi concentrabili nell'unico: neoliberismo. I1 risultato è in una serie di illusioni: a) che il passaggio dall'economia collettiva a quella di mercato rendesse tutti gli esseri umani più ricchi, mentre gli effetti concreti sono stati il frazionamento della proprietà contadina, in dimensioni tali da non consentire un qualche progetto produttivo e distributivo, quindi con la conseguente impossibilità per gli stessi di passare dal servaggio collettivo ad un reddito autonomo sufficiente al mantenimento proprio e della propria famiglia, così in Polonia, come in Romania o in Russia o negli altri PVS o LDC.
In conseguenza di ciò la grande distribuzione, certamente portatrice di un ottimo rapporto qualità prezzo, ha trovato modo di soppiantare l'antico mercato delle erbe, certamente spingendo una disperata massaia a rinunciare a un anonimo acquisto su quel mercato tradizionale, divenuto troppo caro e portatore di un'immagine tradizionale da sostituire con una tecnologicamente più avanzata, meno costosa, standardizzata e avvertita come funzionale al bisogno da soddisfare.
b) La privatizzazione con la generalizzata chiusura dei kombinat, ha comportato la dispersione di capacità e competenza, anche notevoli, fra operai, quadri e dirigenti, il deprezzamento della dignità l'alterazione della capacità produttiva, l'accaparramento da parte di soggetti locali o di enti internazionali delle strutture e delle aziende, senza che poi queste abbiano mantenuto fede al dichiarato motivo che le aveva indotte ad effettuare investimenti che naturalmente presupponevano successivi apporti in macchine, brevetti, know hows, strumenti innovativi anche di organizzazione aziendale. Pur avendo ottenuto ogni possibile agevolazione fiscale, doganale e sul trattamento del personale tutto, gli investitori si sono ben guardati dal mantenere gli impegni assunti.
A questo punto occorre provvedere ad effettuare un cambiamento di rotta a 180" attraverso quello che gli studiosi di organizzazione aziendale, di origine americana più avvertiti hanno chiarito essere la nuova responsabilità sociale delle imprese; sulla scia del concetto di responsabilità sociale si riapre il dibattito sulla proprietà e sulla gestione dei mezzi di produzione, ripartendo così da quelle esperienze di segno opposto che comunque avevano segnato il secolo passato, la cogestione della Lega dei socialisti jugoslava e la mittbestimmung in Germania.
Ovviamente a cavallo dei due secoli molte cose sono cambiate, dal protezionismo nazionale siamo passati al protezionismo continentale, dai diritti nazionali siamo trascorsi a quelli multilaterali, dai tribunali ordinari siamo passati a quelli arbitrali, dalle borse territoriali siamo passati a quelle universali, dal mercato interno siamo passati a quello globale, accanto e sopra 10 le potenze tradizionali sono emerse le nuove realtà, peraltro, in due casi di antichissima civiltà, Cina e India, e nell'altro l'unico paese al mondo che non conosce conflitti etnici o pregiudizi razziali: il Brasile.
Dall'indifferenza e dall'ateismo siamo caduti nell'integralismo trionfalistico. In tutto però è venuta meno la coesione sociale, il linguaggio comune, specie nel momento in cui è nata la società della conoscenza per definizione discriminata per la mancanza di strumenti di accesso (elettricità e ordinatori, etc.), mentre nel nome di ogni possibile settarismo capitalistico i poveri del mondo divengono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.
Come talune esperienze condotte nel mondo stanno insegnando, partendo dalla povertà più assoluta, ma invertendo le ragione del valore, è possibile costruire un sistema di cose dove il micro ridia dignità all'essere umano.
Occorre iniziare quella grande marcia che ha consentito a suo tempo al futuro Presidente Mao Tze Dung di portare la Cina al di là dal bisogno primario. La grande marcia che riporta al centro la persona umana è la riscoperta del settore primario, orientato finalmente a sollevare il produttore dal vincolo del distributore e creando una autonoma catena del valore capace di portare finalmente ad un rapporto congruo il rapporto costo/beneficio per il consumatore/elettore e per il produttore/elettore.
Il sistema italiano cooperativo e popolare, fondato sull'ammasso distributivo e sulla selezione delle sementi inventato da Piero Piacentini e sviluppato poi sul piano attuativo dalla Coldiretti e dal sistema di casse rurali ed artigiane, fissa il principio della comune partecipazione alla creazione di ricchezza, non solo finanziaria ma anche di qualità della vita, e la successiva evoluzione trasforma il micro produttore in un soggetto capace di moltiplicare le iniziative, partendo dal tema di un miliardo di inoccupati e di disoccupati a cui occorre attribuire un lavoro qualificato e redditualmente capace di mantenere dignitosamente se stesso e la propria famiglia in una società onnicomprensiva e onnicratica e paritetica.
Il capitalismo puro successivo alla caduta del muro di Berlino è stato utilizzato per la delocalizzazione, sfruttando il differenziale materie prime-lavoro umano a tutto vantaggio di un recupero di competitività non fondata sull'innovazione tecnologica ma solo su una obsolescenza non più controllabile.
Non tutto quanto è stato realizzato dal socialismo reale è da buttare: libertà di imparare, di amare, di essere rispettati nella salute, nella cura dei bambini, degli anziani, dell'ambiente, delle madri è stato un fatto forte che può essere posto a base di un nuovo fondante umanesimo diffuso e non più arcadico, cioè un umanesimo della responsabilità sociale delle imprese ma anche del settore pubblico allargato. Ciascuna persona fisica o giuridica soggetto pubblico o privato desidera esprimere nel suo essere il contesto naturale e culturale da cui trae origine, e nel proprio agire quindi deve contestualizzarsi.
Non si può immaginare il cavallino Ferrari fuori da Modena, così come l'ossidiana al di fuori della Grecia o il corallo lavorato al di fuori di Torre del Greco.
Non a caso e anzi proprio per queste considerazioni i valori delle ville pompeiane e stabiesi sono divenuti |'argomento forte che accompagna il corallo torrese o il cammeo correlativo,
cioè un valore che aggiunge valore. A11o stesso modo le imprese e la P.A. devono attendere alla compilazione del bilancio etico, certamente figlio di quello contabile ma innovativo, in quanto esprime la capacità di remunerare non solo i quattro fattori classici della produzione, terra, capitale, lavoro, organizzazione ma anche il quinto: il consumatore-azionista-elettore.
Il mercato nel quale ci si muove oggi è quello globale e così come i cartoons giapponesi sono acquisiti da tutte le televisioni del mondo in funzione del fatto che le figure animate hanno grandi occhi universali e non necessariamente asiatici, così i produttori di beni materiali o immateriali, devono rendere il proprio prodotto messaggio universale, quasi fosse un codice leonardesco o il testo originale dei trattati di Westfalia conservati in un archivio tedesco o olandese o uno dei movies magistralmente firmati da Radu Mihaileanu. Le esperienze non mancano: l'impresa che quarant'anni fa inventò le "Stock options" (distribuzione di azioni ai managers a prezzo inferiore a quello di mercato, con vincolo di cassettizzazione per cinque anni) intendeva raggiungere la piena fidelizzazione del dipendente, sul quale ha investito danaro e che conosce i suoi segreti e che per quanto possa sottostare al divieto di non
concorrenza porta con sé immedesimatala conoscenza acquisita.
Oggi secondo il pensiero economico aziendalistico più avanzato la fidelizzazione non riguarda più o solo il lavoratore dipendente di qualsiasi livello, bensì anche il consumatore che può essere, attraverso la sua spesa quotidiana, ammesso al capitale sociale delle imprese da cui compra e dalle quali si attende un ritorno in termini sociali.
Non a caso la ricerca sul cancro, direttamente o indirettamente, nonché quella sulle disfunzioni sessuali, è spesso e volentieri finalizzata dalle maggiori aziende produttrici di tabacco.
Da qui il passo è breve a dire che il futuro sta nella partecipazione alla gestione del consenso attraverso la compartecipazione della gente non solo al capitale delle imprese ma anche alla nascita di nuovi strumenti di recupero dell'inoccupazione, attraverso un tipo di microcredito partecipativo che dovrebbe essere il modello attuativo del Fondo Mondiale della solidarietà voluto dal Presidente Ben Alì.
Le Nazioni Unite consapevoli del fatto che la mondializzazione sta cambiando il nord centrismo che fin qui ha attraversato il mondo, volendo far si che la componente bianca e occidentale dell'umanità conservi un ruolo comunque importante al servizio del sistema scaturente dalla mondializzazione. propongono all'Europa e agli Stati Uniti un modo per competere nella determinazione dei ruoli futuri con i BRIC, senza violenza.
La proposta delle Nazioni Unite passa attraverso il consiglio di sviluppare in maniera originale e positiva le tecnologie dell'informazione e quindi della conoscenza, senza per questo trascurare gli antichi e tradizionali settori primario, terziario e quaternario, sapendo o confermando che il settore secondario o industriale non è più praticabile nel condominio nord atlantico, vuoi per motivi ecologici, voi per motivi organizzativi e di costi.
La visione delle Nazioni Unite dice all'Europa composta ormai da ben 54 Stati che il suo futuro abbisogna di autonomia a livello di risorse naturali, umane e finanziarie' Per
raggiungere tale livello di autonomia è necessario realizzare un effettivo spazio economico e sociale nell'area del Mediterraneo (compreso ovviamente il Mar Nero) e dell'Asia Centrale, al fine di conseguire l'autonomia delle risorse di cui si parla. Tale concetto, di Pan Economic European Space, contraddistingue e rende significativo quello di Wider European Integration.
Genericamente l'intera area può essere considerata Mediterraneo Economico e segue storicamente il percorso dei tre grandi imperi dell'are4 quello persiano, quello greco alessandrino e quello romano travolti per ben due volte dalle invasioni volute dall'impero cinese nel IV - V secolo d.C. a nord e poi dall'mpero mongolo-cinese nel basso medio evo, da nord e da sud.
In questo senso è da recepire il concetto di "mediterraneo" quale area di confluenza delle grandi vie di comunicazione che hanno messo in relazione le terre della Lega Anseatica con Roma e Costantinopoli (via dell'Ambra); il Corno d'Africa e le Arabie e la Somalia (via dell'Incenso) e le più lontane vie delle Spezie e della Seta, con il bacino.
La proposta non violenta diviene l'essenza di una chiave di lettura che, rifiutando la globalizzazione della povertà, avvia la cultura del costruire insieme, miscelando le esperienze diverse portatrici di cultura e tecnologia, onde consentire una comune competitività; non necessariamente conflittuale con il resto del mondo, ma atta ad identificare nuove ragioni di scambio non opprimenti sulla base di nuove regole comuni.
Il presidente Sarkozy crea l' "Unione per il Mediterraneo", con sede a Barcellona, come ponte di federiciana memoria tra l'Europa Centrale e la sponda meridionale del Mediterraneo, su indicazione delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea, nonché per francese spontanea vocazione, prendendo atto della necessità di creare un partenariato fra uguali nell'area, fondato sulla pari dignità culturale e sociale pur nel diverso concetto di democrazia partecipativa e giuridica che i due mondi mostrano, rimanendo facce diverse della stessa
medaglia, cioè di sette secoli di latinità.
Il progetto francese, ovviamente, sta nella creazione di un sistema giuridico articolato nelle diversità che trovi a suo fondamento quel complesso di prescrizioni scaturito dalla conferenza di Marrakech che hanno dato vita, fra l'altro, all'Organizzazíone Mondiale del Commercio.
Il perno della trasformazione sta nella nuova composizione del commercio mondiale, nel quale gli scambi quotidiani, economici o giuridici, richiedono l'armonizzazione dei diritti dei singoli Stati.
La regola è divenuta la ricerca della percezione che f imprenditore e il consumatore hanno della propria soddisfazione in funzione del proprio reddito e. in dipendenza di ciò, il loro grado di accettazione e di identificazione del sistema fondato su una pari dignità nella competizione e un pari diritto di accesso ) senza che sia più ammissibile il predominio dell'attività finanziaria su quella reale.
In un tale maturo disegno economico e giuridico, che comprende al suo interno il processo di globalizzazione inteso nel senso Kissingeriano di baricentramento delle attività produttive sempre più in aree subcontinentali capaci di contenere il costo di beni e servizi, si colloca la consapevolezza dell'interazione che ormai sussiste fra i singoli e le aziende di paesi lontani, non solo geograficamente, ma anche per livello di sviluppo; vuoi nell'ambito della politica industriale della competizione fra grandi imprese che fondano la loro attività sul successo della subfornitura; vuoi nella competizione fra piccole imprese autonome ma fra loro complementari, sino a divenire filiera e quindi sistemico distretto produttivo, superando l'endemica ristrettezza di risorsa capitalistica e di addetti, nonostante l'alta intensità di lavoro che ancora le caratterizza.
Una tale presa di coscienza ha fatto comprendere come non sia più possibile guardare alle sponde meridionali del Mediterraneo e a quelle dipendenti del Mar Nero come a qualcosa di estraneo alla capacità europea di essere competitivi in termini globali verso la grande Asia e gli altri mercati del Pacifico e dell'Oceano Indiano.
Tuttavia, un'area di tal fatta richiede la pari dignità capace di rendere irredimibile il processo.
E' perciò necessario che i paesi della sponda meridionale mediterranea e del Mar Nero, e dell'Asia Centrale, siano posti nella condizione di partecipare al progetto in maniera equa e solidale per una comune prosperità.
L'obiettivo, quindi è quello di compiere un primo passo per dare risposte alle imprese che se da un lato trovano nell'Europa Centro Orientale e nel Mediterraneo buone occasioni di delocalizzazione, dall'altro vengono scoraggiate dai sistemi paese ancora legati a sistemi normativi affatto diversi, fondati su un diritto civile e processuale ancora non coordinato a livello pluriregionale, con la conseguenza dell'assenza di strumenti utili di mediazione e conciliazione e con la mancanza di un comune ceto professionale capace di interagire con le domande di assistenza provenienti dalle varie regioni dell'area.
La sfida che i paesi in transizione e quelli della sponda sud del mediterraneo conducono è quella di passare dalla teleologia preesistente all'ordinamento giuridico alla teleonomia delle relazioni, evolvendosi così dal noumeno al fenomeno in una chiave di riconoscimento dei diritti dell'altro da se espressi negli strumenti pattizi esistenti o in corso di elaborazione (pensiamo alla continua produzione di novelle da parte della Commissione dell'Unione Europea che contiene al momento più di 100mila capitoli che devono essere recepite nei vari paesi dell'area di vicinato per realizzare l'assunto di una competitività di confronto con il resto del mondo, fondata sul produrre insieme e vendere insieme).
La mondializzazione si è ormai costituita in termini di coesistenza a diversi livelli di partecipazione, attraverso la creazione di un arsenale giuridico e politico in continua evoluzione, divenendo un fatto di cronaca anche contestabile, col quale dobbiamo fare i conti considerato fra l'altro l'accesso a vele spiegate della Cina e quanto emerso dalla Conferenza di DOHA che ha segnato l'apertura dei confini come misura irreversibile, nonostante la mancata rivalutazione del Rembimbi/Yuan.
Non essere sorpassati dagli eventi vuol significare adeguarsi agli stessi.
I prodotti tradizionali del bacino mediterraneo, che rimangono pur sempre la forza dell'Unione per il Mediterraneo, offerti individualmente sul mercato, pur rimanendo di qualità, non risultano negoziabili. Occorre creare strumenti giuridici atti a consentire la
nascita di un mercato di nicchia capace di soddisfare i bisogni essenziali anche in termini di qualità della vita (misura alternativa a PIL in termini di felicità e non di economicità) nel rispetto della capacità di reddito di ciascun paese.
Naturalmente una tale innovazione si deve manifestare in chiave di una svolta economico liberale, fondata sulla trasparenza finanziaria, su un puntuale adempimento fiscale adeguato, inquadrata in un certo numero di regole da applicare particolarmente nel campo dell'International Business Law.
Ovviamente il problema è particolarmente presente nei paesi candidati all'allargamento verso est e verso sud. in quanto devono in fretta. ma senza subire sconvolgimenti sociali, provvedere a dare adeguata certezza esterna alle loro procedure e ai loro ordinamenti.
Aldilà di questa emergenza. I'UPM (Unione del Mediterraneo) in forza dell'art. XXIV dello OMC può riconoscere ed incoraggiare la regionalizzazione prima dell'integrazione cioè la realizzazione di un tavolo di lavoro che programmi diritti ed economie comuni, fra aree complementari ed in questo senso tendenti ad una pregnante omogeneità vuoi nella piena condivisione delle regole dell'O.M.C. che nella piena adesione agli strumenti di varia natura giuridica dell'Unione Europea.
Il fenomeno di cui parliamo ha fin qui preso varie forme: unioni doganali, zone di libero scambio, zone franche associate, zone di unioni economiche e monetarie (ad es. Comesa, Uoma, Nama, Mercosur, Aladi). Occorre a questo punto che nascano strumenti di collaborazione professionale al servizio degli operatori economici e di quelli politici nonché delle famiglie che nei loro territori desiderano poter disporre di una possibilità di successo personale uguale a quella offerta nella sponda nord del Mediterraneo. La collaborazione fra professionisti consentirebbe di creare le stesse strutture, condivise e fondate su un approccio professionale diretto, derivanti dalla concreta manifestazione delle esigenze economico giuridiche esistenti.
La nascita di tali preliminari forme di consultazione e di raggruppamento di professionalità consente ai membri di affrontare meglio la concorrenza internazionale, di rafforzare i propri valori di riferimento e i risultati economici attesi che troverebbero origine dalla collaborazione fra Europa e Mediterraneo.
Il risultato che si otterrebbe comunque attraverso l'Unione per il Mediterraneo è quello di un ruolo politicamente più pesante ne1le negoziazioni economiche multilaterali e soprattutto una chiave per preparare in concreto l'integrazione dei vari paesi.
In tale quadro l'inizíativa del Presidente Sarkozy consentirebbe di affrontare organicamente i problemi connessi all'armonizzazíone delle istituzioni normative subcontinentali con quelle di rango nazionale nel rispetto dei vincoli nascenti dal contesto istituzionale politico, culturale, religioso da cui le legislazioni promanano.
Nella società dell'informazione e della conoscenza la politica culturale può avere una posizione strategica nel guidare il cambiamento, ma anche nell'aprire nuove opportunità economiche ed occupazionali. Si va sempre più comprendendo che uno sviluppo che tenga conto dei bisogni dei popoli e delle culture rappresenta un necessario contrapposto ad un modello di crescita dalle valenze esclusivamente economico-finanziarie.
Governare i processi di mutamento culturale che derivano dall'intensificarsi dei contatti tra individui e gruppi con differenti culture, proponendo dei modelli di interazione basati sul rispetto della diversità e sull'accettazione delle differenze, è l'unica strada per evitare nazionalismi e fondamentalismi, ed instaurare un regime pacifico di cooperazione internazionale.
In questa prospettiva si muove da tempo l'analisi delle grandi organizzazioni culturali internazionali come il Consiglio d'Europa e I'UNESCO, i quali sottolineano la necessità che le politiche culturali e la quantificazione delle risorse umane assumono un ruolo determinante nell'orientamento generale delle politiche per 1o sviluppo. Questo è tanto più vero se si riflette sul ruolo centrale che nei processi di integrazione europea rivestono le politiche culturali, tendenti ad evitare tanto il fenomeno dell'omologazione, quanto quello del fondamentalismo, specie nei rapporti con i Paesi terzi del Mediterraneo e con quelli dell'est europeo.
Certo le modalità con cui le due dimensioni - cultura e sviluppo - interagiscono vanno sempre più approfondite attraverso la chiarificazione degli obiettivi, l'analisi delle politiche e la dotazione di strumenti di intervento adeguati.
Questo permetterà di aumentare le possibilità d'integrazione regionale e di sensibilizzazione degli operatori dei paesi dell'area Balcanico-danubiana e mediterranea verso l'esigenza di una cultura giuridica armonizzata sul piano dei diritti umani e civili, come pure sul piano del diritto commerciale, ambientale e di tutela dei consumatori e della piena applicazione dei principi contabili internazionali e di quelli sulla concorrenza, in un contesto in cui diversamente si manifesterà una già annunciata marginalizzazione.
Tutto ciò premesso, occorre rinunciare all'oligopolio che stati e sistema imprenditoriale
quotato hanno dato di sé, al momento anche attraverso la manipolazione delle certificazioni effettuate in più paesi, attraverso la quale hanno realizzato il più perfetto saccheggio di risparmio dal tempo del banchiere Law, le prove meno edificanti del neocolonialismo da qualsiasi parte esso si sia originato nonché guerre combattute ma mai dichiarate al puro servizio dello sfruttamento di risorse naturali o primarie utili al comparto trasporti o farmaceutico.
La spartizione della preda in termini neocoloniali ha avuto diversi nomi, oggi concentrabili nell'unico: neoliberismo. Il risultato è in una serie di illusioni:
a) che il passaggio dall'economia collettiva a quella di mercato rendesse tutti gli esseri umani più ricchi, gli effetti concreti sono stati il frazionamento della proprietà contadina, in dimensioni tali da non consentire un qualche progetto produttivo e distributivo, quindi con la conseguente impossibilità per gli stessi di passare dal servaggio collettivo, ad un reddito autonomo sufficiente ai mantenimento proprio e della propria famiglia, così in Polonia, come in Romania o in Russia o negli altri PVS/LDC.
In conseguenza di ciò la grande distribuzione, certamente portatrice di un ottimo rapporto qualità/ prezzo ha trovato modo di soppiantare l'antico mercato delle erbe con il proprio, spingendo un disperato consumatore a rinunciare a un anonimo acquisto su quel mercato locale, divenuto troppo caro e portatore di un'immagine tradizionale da sostituire con una tecnologicamente più avanzata ed igienica, meno costosa, standardizzata e avvertita come funzionale al bisogno da soddisfare.
b) la privatizzazione con la generalizzata chiusura dei kombinat,ha comportato 1a dispersione di capacità e competenze, anche notevoli, fra operai, quadri e dirigenti, il deprezzamento della dignità, l'alterazione della capacità produttiva, l'accaparramento da parte di soggetti locali o di enti internazionali delle strutture e delle aziende. I nuovi investitori si sono ben guardati poi dal tener fede agli impegni assunti in termini di mantenimento dell'occupazione e di prestazione dei servizi minimi prima garantiti.
A questo punto occorre provvedere ad effettuare un cambiamento di rotta di 180' attraverso quello che gli studiosi di organizzazione aziendale, di origine americana, più avvertiti hanno chiarito essere la "nuova responsabilità sociale delle imprese"; sulla scia del concetto di responsabilità sociale si riapre il dibattito sulla proprietà e sulla gestione dei mezzi di produzione, ripartendo così da quelle esperienze di segno opposto che comunque avevano segnato il secolo passato: la cogestione della Lega dei socialisti jugoslava e la mittbestimmung in Germania.
Ovviamente a cavallo dei due secoli molte cose sono cambiate, dal protezionismo nazionale siamo passati al protezionismo continentale, dai diritti nazionali siamo trascorsi a quelli multilaterali, dai tribunali ordinari siamo passati a quelli arbitrali, dalle borse territoriali siamo passati a quelle universali, dal mercato interno siamo passati a quello globale, accanto e sopra le potenze tradizionali sono emerse le nuove realtà, peraltro, in due casi di antichissima civiltà: Cina e India, e nell'altro caso si parla dell'unico paese al mondo che non conosce conflitti etnici o pregiudizi ruzziah: il Brasile, mentre subisce ancora la diversa velocità di crescita fra campagna e città.
Dall'indifferenza dall'ateismo siamo caduti nell'integralismo trionfalistico, sia teista che non.
In tutto però è venuta meno la coesione sociale, il linguaggio comune, specie nel momento in cui è nata la società della conoscenza per definizione discriminata per la mancanza di strumenti di accesso (elettricità e ordinatori, etc.) e mentre nel nome di ogni possibile settarismo capitalistico i poveri del mondo divengono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, e mentre crescono le solitudini urbane nasce la solitudine delle "comunità virtuali".
Occorre iniziare quella grande marcia che ha consentito a suo tempo al futuro Presidente Mao Tze Dung di portare la Cina al di là del bisogno primario. La grande marcia che riporta al centro la persona umana è la riscoperta del settore primario, orientato finalmente a sollevare il produttore dal vincolo del distributore e creando una autonoma catena del valore, capace di portare finalmente ad un rapporto congruo, il rapporto costo/beneficio per il consumatore/elettore e per il produttore/elettore.
Il capitalismo puro successivo alla caduta del muro di Berlino è stato utilizzato per delocalizzare sfruttando il differenziale materie prime-lavoro umano a tutto vantaggio di un recupero di competitività non fondata sull'innovazione tecnologia ma solo su una obsolescenza non più controllabile e deprecata perché costosa e non utile nel sistema occidentale.
Il mondo dopo la crisi finanziaria ha percepito il fenomeno e se da una parte ha posto in atto gli scudi fiscali utili alla rilegittimazione dei capitali riciclati o quantomeno sottratti al fisco, dall'altra ha creato un complesso di norme finanziarie atte a consentire l'internazionalizzazione dell'impresa nel senso di creazioni di sedi secondarie o di sussidiarie produttive ma serventi solo i mercati di nuovi insediamento o quelli regionali relativi, salvo ripresa a tassazione delle maggiori plusvalenze realizzate con la mera delocalizzazione.
Non tutto quanto è stato realizzato dal socialismo reale era da buttare: libertà di imparare, di amare, di essere rispettati nella salute, nella cura dei bambini, degli anziani, dell'ambiente, delle madri. E' stato un fatto forte che può essere posto a base di un nuovo fondante umanesimo diffuso e non più arcadico, cioè un umanesimo della responsabilità sociale delle imprese ma anche del settore pubblico allargato.
Allo stesso modo le imprese e la P.A. devono attendere alla compilazione del bilancio etico, certamente figlio di quello contabile ma innovativo, in quanto esprime la capacità di remunerare non solo i quattro fattori classici della produzione: terra, capitale, lavoro, organizzazione ma anche il quinto : il consumatore-azionista-elettore.
Vincenzo Porcasi: commercialista, anni 63. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.